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Bulletin du Musée National de Varsovie — 37.1996

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Nr. 1-2
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Miziołek, Jerzy: Meleagro, Diana e Atteone su un cassone fiorentino nel Museo Nazionale di Varsavia
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https://doi.org/10.11588/diglit.18945#0029
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e risale a non oltre il primo o secondo decennio del Quattrocento. In questo caso
alla battuta venatoria partecipa una schiera di cacciatori, di cui solo sei appaiono
in primo piano; gli altri si affollano fra le rocce e, così come avviene nel
dipinto varsaviano, sono disposti in cerchio intorno alla fiera. Tra loro, inoltre,
sono ben quattro le figure muliebri, due armate d’arco, di cui una è sicuramente
Atalanta. Così come altre scene di caccia al cinghiale su cassoni ispirate al
poema Caccia di Diana, anche il nostro dipinto richiama in modo evidente
disegni simili a quelli conservati nella Pierpont Morgan Library di New York,
datati agli anni Settanta del Trecento (fig. 8)25.

Il poemetto Caccia di Diana, degli anni 1333-1334, narra che, all’alba, la dea
chiamò a raccolta alcune decine di ninfe (tutte portano il nome di donne
napoletane del tempo, note al Boccaccio) e, dopo essersi bagnata insieme
a loro, le munì dell’equipaggiamento venatorio, di falconi e di cani e, suddivisele
in quattro squadre, le mandò a cacciare26. Nei successivi canti sono narrate le
imprese venatorie delle rispettive squadre, la prima delle quali è capeggiata dalla
dea in persona. Ma allorché, a mezzogiorno, Diana richiama tutte le ninfe perché
offrano a Giove la selvaggina cacciata, rinnovando a lei, dea della castità, i voti
fatti, scoppia una ribellione. A Diana, tornata in cielo, subentra Venere. Gli
animali abbattuti dalle ninfe si tramutano in giovani che queste sposano. Lo stesso
accade al narratore-cervo, che si trasforma in essere umano. Il riferimento al
Lucio di Apuleio e ad Atteone è evidente27. Probabilmente la prima raffigurazione
ispirata alla Caccia di Diana, risalente al tardo Trecento, adorna la fronte di un
cassone carico di manomissioni e aggiunte, conservata nel Museo Stibbert di
Firenze (figg. 6 e 7). Il dipinto, certo tra le opere più antiche del Maestro di Carlo
(o Ladislao) d’Angiò Durazzo, si compone di tre parti incorniciate da una
gessatura dorata28. Da sinistra a destra si succedono le scene di Diana con la

2^ B. Degenhart und A. Schmitt, Corpus der Italienischen Zeichnungen 1300-1450, Teil I: Süd-und
Mittelitalien, Berlin 1968, voi. 1, pp. 166 sgg. e voi. 3, tav. 133; Watson, 1979, fig. 75. Secondo
L. Bellosi, (“Su alcuni disegni italiani tra la fine del Due e la metà del Quattrocento”, Bollettino d’Arte,
LXX, 1985, pp. 15-21) il taccuino fu eseguito da Tommaso da Modena.

26 G. Boccaccio, Caccia di Diana, in: Opere minori in volgare, a cura di M. Marti, IV, Milano 1972,
9—49; Diana’s hunt: Caccia di Diana Boccaccio’s first fiction, ed. end trans, by A.K. Cassel and W.
Kirkham, Philadelphia 1991; un racconto somigliante si trova nel Quadriregio di Federico Frezzi;
si veda II Quadriregio, a cura di E.Filippini, Bari 1914, pp. 3-8 (cap. I, Nel regno di Diana).

27 Cassel and Kirkham in: Diana’s hunt, 1991, pp. 38 sgg. M. Thiébaux, The stag of love. The chase
in Medieval literature, Ithaca and London 1974, pp. 53-58 e 60; della conoscenza e del ricorso alla
storia di Lucio da parte del Boccaccio tratta S.Guastella, “Apuleio e il suo modello nell’editio princeps
dell’Amorosa visione”, Filologia e critica, XVI, 2, 1991, pp. 165-186.

2f! Questo cassone non è stato mai appropriatamente studiato, cfr. Schubring, 1923, no. 20, p. 223
(lo studioso crede che il dipinto sia un falso); G. Cantelli, Il Museo Stibbert a Firenze, II, Milano
1974, no. 165, p. 42, tav. 12 (parla di “stato di conservazione generale precario con leggere
ridipinture, la cornice falsa”). E stata E. Callmann (“The growing threat to marital bliss as seen in
fifteenth century painting”, Studies in Iconography, V, 1979, p. 89, n. 3) a datarlo intorno al 1420.
Secondo Cassel e Kirkham in: Diana’s hunt, 1991, p. 92, n. 38, è poco probabile che il cassone
raffiguri scene tratte dalla Caccia di Diana; lìF. Watson, (“A preliminary list of subjects from Boccaccio
in Italian painting 1400-1550”, Studi sul Boccaccio, XV, 1985/86, p. 153) ritiene che che la

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