STORIA DELL'ARTE C A P. III. 87
Rispetto agli assiri, quantunque trovasi esposto da Diodoro siculo che dopo Ninia sino a Sardanapolo fosse
fatto presso di essi nulla di memorabile, pure seguendo l'autorità dello stesso storico, e quella di Erodoto e di
Strabone in particolare si conosce che la città di Susa si credeva essere stata fondata da Titone, padre di quel
Memnone che portò soccorso a Priamo nella guerra contro i greci, e che vi aveva stabilito una reggia, quale fu
indicato in fine dell'antecedente capitolo, come pure si era dato a quella città un perimetro di cento venti stadj
in modo però che la sua lunghezza eccedeva di alcun poco la larghezza. Osservava Strabone in particolare che
le mura della stessa città, i tempj ed anche la reggia anzidetta, erano costrutte come le fabbriche di Babilonia con
mattoni cotti al fuoco e commessi col bitume. Però si asseriva da Policleto che Susa aveva bensì un circuito di
duecento stadj, ma non era murata (1). Siccome dalla sovraindicata prima estensione di stadj cento venti, ve-
nendo portata a duecento, si dovette occupare altro spazio fuori delle mura stabilite nella sua fondazione; così,
trovandosi le primitive mura o ricoperte delle moderne costruzioni o distrutte, si viene a contestare quanto fu
esposto da Strabone che Io dedusse da ciò che aveva scritto Policleto ; e così si viene ancora a conoscere che
la città stessa venne ingrandita dopo il suo stabilimento. Laonde è da credere che molte delle fabbriche aggiunte
in tale ingrandimento nell'epoca ora considerata fossero edificate con nobile architettura; poiché viene annove-
rata esser quella l'età di maggior rinomanza per una tale città, la quale, come osservava Strabone, non aveva
intrapresa mai cosa alcuna da per se stessa nei tempi più cogniti, se non forse anteriormente nell'età eroica.
Benché non sussistano certe reliquie di fabbriche che si possano ascrivere a quell'età, pure dal conoscersi
che vennero esse costrutte in egual modo di quelle di Babilonia, può dedursi che sieno state ancora egualmente
architettate e decorate. Siccome già si è dimostrato che, per quanto lo concedeva la diversità dei materiali, la
maniera impiegata nelle fabbriche babilonesi erette nella cotanto celebrata epoca di Semiramide partecipavano
alquanto di quella propria dell'Egitto; così anche l'accennate di Susa, benché edificate diversi secoli dopo,
dovevano essere in circa egual modo architettate.
I fenici dopo gli assiri vengono più celebrati per la loro vetusta prosperità, e precipuamente per il com-
mercio che facevano in mare, come già si è indicato in fine dell'antecedente capitolo sull'autorità di Erodoto,
dal quale precipuamente si conosce quanto venne trasportato dalla Fenicia in Grecia colla tanta celebrata ve-
nuta di Cadmo, come più opportunamente si prenderà ad esaminare nella Sezione II. Ed anzi dal medesimo
storico, prendendo a dimostrare l'antichità del culto di Ercole, riferiva che in Tiro di Fenicia esisteva un tempio
dedicato a questo nume riccamente adornato di donativi, fra i quali si ammiravano due colonne, l'una di oro
purissimo e l'altra di pietra detta smeraldo. Un tal tempio si spacciava dai sacerdoti, addetti al suo culto, essere
stato edificato insieme con Tiro due mille e trecento anni prima che Erodoto visitasse quel luogo. Aggiungeva
inoltre lo stesso storico che in Tiro esisteva pure altro tempio sacro ad Ercole avente il sopranome di tasio; e
quindi altro in Taso stabilito dai fenici pure trovò sussistere. Tutti e due gli stessi tempj si consideravano edifi-
cati cinque generazioni di uomini anteriori al nascimento in Grecia di Ercole d'Amfitrione (2). Ed anche secondo
alcune memorie riferite da Eusebio nella sua preparazione Evangelica sull'autorità di Sanconiatone, antico
scrittore fenicio, si vengono a dedurre essersi presso i medesimi fenici erette opere di architettura in tempi
etustissimi. Però da quanto venne esposto in particolare da Giustino sull'autorità di Trogo Pompeo si conosce
1 i fenici stabilirono la indicata città di Tiro soltanto alcun tempo dopo di aver fondata Sidone e precisamente
11' nno primo della distruzione di Troia (3). Qualunque sia la precisa epoca dello stabilimento di tale insigne
'tf dei fenici sempre però, secondo la più approvata opinione, si stabilisce che soltanto in modo ragguarde-
1 nte nobile imprendessero i fenici ad innalzare opere di architettura nell'età ora considerata, quantunque
t ssero una anteriore prosperità nel commercio. Infatti Strabone, sull'autorità di Omero, osservava che i
sidoni erano celebrati per essere stati precipuamente periti sino da tempi antichi nell'astronomia e nell'aritmetica,
alla cognizione delle quali dottrine erano pervenuti col mezzo della speculazione del calcolo e della navigazione
notturna; perciocché tutte e due abbisognavano al commercio ed all'esercizio del navigare. Inoltre lo stesso
Strabone osservava che Tiro era considerata per la più grande e più antica città della Fenicia, ed emula di
(1) Strabone Lib. XV. e. 3. Erodoto Lib. V. e. 54. Ellano (3) Eusebio Praepar. Evangelica Lib. III. e. ultim. e 19.
e Pausania. & Giustino Hist. Lib. XFIIL e. 3.
(2) Erodoto Lib. II. e. 44.
Rispetto agli assiri, quantunque trovasi esposto da Diodoro siculo che dopo Ninia sino a Sardanapolo fosse
fatto presso di essi nulla di memorabile, pure seguendo l'autorità dello stesso storico, e quella di Erodoto e di
Strabone in particolare si conosce che la città di Susa si credeva essere stata fondata da Titone, padre di quel
Memnone che portò soccorso a Priamo nella guerra contro i greci, e che vi aveva stabilito una reggia, quale fu
indicato in fine dell'antecedente capitolo, come pure si era dato a quella città un perimetro di cento venti stadj
in modo però che la sua lunghezza eccedeva di alcun poco la larghezza. Osservava Strabone in particolare che
le mura della stessa città, i tempj ed anche la reggia anzidetta, erano costrutte come le fabbriche di Babilonia con
mattoni cotti al fuoco e commessi col bitume. Però si asseriva da Policleto che Susa aveva bensì un circuito di
duecento stadj, ma non era murata (1). Siccome dalla sovraindicata prima estensione di stadj cento venti, ve-
nendo portata a duecento, si dovette occupare altro spazio fuori delle mura stabilite nella sua fondazione; così,
trovandosi le primitive mura o ricoperte delle moderne costruzioni o distrutte, si viene a contestare quanto fu
esposto da Strabone che Io dedusse da ciò che aveva scritto Policleto ; e così si viene ancora a conoscere che
la città stessa venne ingrandita dopo il suo stabilimento. Laonde è da credere che molte delle fabbriche aggiunte
in tale ingrandimento nell'epoca ora considerata fossero edificate con nobile architettura; poiché viene annove-
rata esser quella l'età di maggior rinomanza per una tale città, la quale, come osservava Strabone, non aveva
intrapresa mai cosa alcuna da per se stessa nei tempi più cogniti, se non forse anteriormente nell'età eroica.
Benché non sussistano certe reliquie di fabbriche che si possano ascrivere a quell'età, pure dal conoscersi
che vennero esse costrutte in egual modo di quelle di Babilonia, può dedursi che sieno state ancora egualmente
architettate e decorate. Siccome già si è dimostrato che, per quanto lo concedeva la diversità dei materiali, la
maniera impiegata nelle fabbriche babilonesi erette nella cotanto celebrata epoca di Semiramide partecipavano
alquanto di quella propria dell'Egitto; così anche l'accennate di Susa, benché edificate diversi secoli dopo,
dovevano essere in circa egual modo architettate.
I fenici dopo gli assiri vengono più celebrati per la loro vetusta prosperità, e precipuamente per il com-
mercio che facevano in mare, come già si è indicato in fine dell'antecedente capitolo sull'autorità di Erodoto,
dal quale precipuamente si conosce quanto venne trasportato dalla Fenicia in Grecia colla tanta celebrata ve-
nuta di Cadmo, come più opportunamente si prenderà ad esaminare nella Sezione II. Ed anzi dal medesimo
storico, prendendo a dimostrare l'antichità del culto di Ercole, riferiva che in Tiro di Fenicia esisteva un tempio
dedicato a questo nume riccamente adornato di donativi, fra i quali si ammiravano due colonne, l'una di oro
purissimo e l'altra di pietra detta smeraldo. Un tal tempio si spacciava dai sacerdoti, addetti al suo culto, essere
stato edificato insieme con Tiro due mille e trecento anni prima che Erodoto visitasse quel luogo. Aggiungeva
inoltre lo stesso storico che in Tiro esisteva pure altro tempio sacro ad Ercole avente il sopranome di tasio; e
quindi altro in Taso stabilito dai fenici pure trovò sussistere. Tutti e due gli stessi tempj si consideravano edifi-
cati cinque generazioni di uomini anteriori al nascimento in Grecia di Ercole d'Amfitrione (2). Ed anche secondo
alcune memorie riferite da Eusebio nella sua preparazione Evangelica sull'autorità di Sanconiatone, antico
scrittore fenicio, si vengono a dedurre essersi presso i medesimi fenici erette opere di architettura in tempi
etustissimi. Però da quanto venne esposto in particolare da Giustino sull'autorità di Trogo Pompeo si conosce
1 i fenici stabilirono la indicata città di Tiro soltanto alcun tempo dopo di aver fondata Sidone e precisamente
11' nno primo della distruzione di Troia (3). Qualunque sia la precisa epoca dello stabilimento di tale insigne
'tf dei fenici sempre però, secondo la più approvata opinione, si stabilisce che soltanto in modo ragguarde-
1 nte nobile imprendessero i fenici ad innalzare opere di architettura nell'età ora considerata, quantunque
t ssero una anteriore prosperità nel commercio. Infatti Strabone, sull'autorità di Omero, osservava che i
sidoni erano celebrati per essere stati precipuamente periti sino da tempi antichi nell'astronomia e nell'aritmetica,
alla cognizione delle quali dottrine erano pervenuti col mezzo della speculazione del calcolo e della navigazione
notturna; perciocché tutte e due abbisognavano al commercio ed all'esercizio del navigare. Inoltre lo stesso
Strabone osservava che Tiro era considerata per la più grande e più antica città della Fenicia, ed emula di
(1) Strabone Lib. XV. e. 3. Erodoto Lib. V. e. 54. Ellano (3) Eusebio Praepar. Evangelica Lib. III. e. ultim. e 19.
e Pausania. & Giustino Hist. Lib. XFIIL e. 3.
(2) Erodoto Lib. II. e. 44.