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Le pitture antiche d'Ercolano e contorni (Band 7) — Neapel, 1779 [Cicognara, 2645-8]

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https://doi.org/10.11588/diglit.9170#0258
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248 TAVOLA LVI.

color verde, e coir abito interiore di color rojfo \ la qua-
le tiene colle due mani un papiro svo/to ^.

corone effer di olivo (v. 15.):

Cernite, fulgentes ut eat facer agnus ad aras;
Vin&aque poft olea candida turba comas.
Benché anche V alloro foffe adoperato con modo fpecia-
le nelle luftrazioni (Lomejero de Luftr. cap. 35.) . Si
faceano le luflrazioni ancora per le pecore , di cui
Ovidio (Faft.IV.735.); e nell'antico Calendario Ru-
nico fi legge'. Menfe Aprili oves hftrantur. Si veda
il Lomejero ( de Lufìr. cap. 29. ) . E' vero però, che
la vittima dovea andar co' piedi fuoi , non ejfer por-
tata , come offerva il Broukufio ( a Tibullo 1. c. v. 15. );
e in fatti Plinio (Vili. 45.) dice efpreffamente : Hoc
quoque notatum, vitulos ad aras bumeris bominis al-
ìatos non fere litare ; ficut nec claudicante , nec
aliena hofìia deos placari, nec trahente fe ab aris.
Sebbene Servio (Aen.II. 133.) /pieghi, che le vittime
fi conduceano legate all' ara , e fieli' atto del facrificio
fi fcioglieano : Atqui folutae funt hoftiae . . . fed
Jioc erat in ipjà rempòWfacflficiorum \ ante enim
iigabantur. E" certo ad ogni modo, che in Tanagra ,
come fi è veduto, portavafi su gli omeri F agnello, il
quale verifimilrnente dovea effer la vittima. In un
marmo del Mufeo Etrufco ( Tab. CLXXII. ) fi vede
una donna , che porta tratte braccia un 'o»5l!o
facrificio . E olirà ciò e i teneri agnelli , e le pecore
figliate fi portavano 0 traile braccia , 0 su gli omeri
{Virgilio Ecl. L 13. Tibullo I. El. H n. Calpumio
Ecl. V. 41.). E notabile ancora quel, che dice Gra-
zio ( v.490.) :

Hoedus, & ad ramos etiamnum haerentia poma
Luflralis de more facri, quo tota juveritus
Luftraturque deae, proque anno reddit honorem.
E così potrebbe darfì ragione di quejìa pittura, quan-
do fi voglia in effa rapprefentato non altro , che un
facrificio, e una offerta, che vada a fare un Pajlore;
Jiccome di un Satiro , che porta fulle fpalle un ca-
pretto , 0 fimìle animale , e un paniere di frutti ,
fojpetta lo fiejfò il Begero ( Thef. Br. To. III. p. 257. ).
Si vedano nella nota feguente le altre congetture.

(4) Son noti da Teocrito ( Id. V. 96. ), da Virgi-
lio (Ecl. II.40. IH. 68.), da Nemefìano (Ecl. I.67.),
daCalpurnio (Ecl. III. 76.) i doni , che i pallori facea-
no alle loro ninfe , dì frutta , dì cavriuoli , e anche
di agnelli, e filmili animaletti {Teocrito III. 34- Vir-
gilio Ecl. II. 21. Nemefìano Ecl. I. 35. ), rammentati
anche da Ovidio (Met.XIII. 819. ^'831. e fegg.) :
Nec tibicaftaneae, me conjuge, nec tibi deerunt
Arbutei foetus : omnis tibi ferviet arbos.
Nec tibi deliciae faciles, vulgataque tantum
Munera contingent, damae, leporefque, capraeque.
E a quefti regali aggiungevano anche i verfi. Calpurnio
(Ecl. III. 40.) introduce Liei da, che manda per Jola i
fuoi verfi a Fillide fcritti fulln forticcia di un ciriegio :

Lic. Jamdudummedìtor quo Phyllida Carmine placem.

Forfitan audito poterit mitefeere canta ;

Et folet ille meas ad fiderà ferre camoenas.
Jol. Die age; nam cerafi tua cortice verba notabo,.

Et decifa feram rutilanti carmina libro.
Poi fiegue la canzone ; e terminata „ dice Licida a
fola {v.93.) :

Perfer, & exora modulato Phyllida canta:
L'XJlizio co' MSti t e c°Me antiche edizioni legge :

Perfer, Se ore tuo modulabor Phyllida cantu.
Ma 0 neW unat maniera , 0 tìsll' altra fempre fi rile-
va , che fola non dovea folamente leggere i verfi di
Licida , ma cantargli ancora a Fillide , e accompa-
gnargli col fuono {fi veda ivi il Burmanna ; e a Ne-
mejìano I. 25.) . Quejlo cojlume fi ufa anche tra noi,
e dicefi mandar la ferenata all'imam-morata. Nè fo-
lamente i verfi propri/, ma ambe quei degli altri can-
tavano alle loro Ninfe i Paflori. Teocrito (Id.IV. 31.):

Kyju fiip tcì FMuxacg oc'yKpéofxxi, ed Ss tx Hógfa.

Di Glauca io canto ben , di Pirro i verfi.
Dove lo Scoliafle: ET VTiocvkcc , Xicx to yhog, xp8[j.ix-
tonotòg , yéyoi/s siti LTtoAs[xai8 tS QiTiCtdéAQz ' '"hf
(pacati/ ó QsócPgccsoc èqxqpwxL ò ds Tlu^'og E'pu-

opaiog, 0 Assptog , fJS2m notYiTYig. <&i*«c* . nata nell*
ifola di Chio, fonattice di naccare, fu ai tempo di
Tolomeo Fiiadelfo ; e quefta dice Teofrafto , che fu
amata da un Ariete. Pirro poi Eritreo, di Lesbo,
fu poeta melico . Di Glauca parla anche Eliano
(V. H. IX. 39. e HA. VI. 29. e Vili, il.), e la chia-
ma Citarifìria , e dice, che fu amata da un Cane, 0
fecondo altri , da un'Oca. , e da un Ariete . Plinio
(X. 22.), e Plutarco { de Sol. Anim. p.972.) anche
la dicono Citarifìria , e amata da un' Oca , e da un
Ariete . Or combinando tutto ciò , può dirjì, che l»
donna legga qualche canzone al Paftore. Se pur non
voglia penfarfi a qualcbs magia ; fapendojì la forza,
che fi attribuiva a' verfi per conciliar l'amore, e fa-
pendojì ancora , che quejìa era opera per lo più delie-
donne . Virgilio ( Aen. IV. 487.) :

Haec fe carminibus promittit folvere mentes,

Quas velit, aft aliis duras immittere curas.
Tibullo ( I. El. II. 41. e fegg. ) ;

Nec tamen huic credet conjux tuus , ut mihi
verax

Pollicita eft magico faga minifterio.
E lopjfo (v.53.):

Haec mihi compofuit verfus, queis fallere poiles.
Ter cane, ter di&is delpue carminibus.
Si veda ivi il Broukufio, dal quale fon citati gli al-
tri , e tutto è raccolto. E riguardo a' Pallori fi ve-
da Teocrito (Id. IL), e dopo hi Virgilio (Ecl. VIII.),
e Nemefiatto (Ecl.lV.).

TAVOLA LVII.
 
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