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NEL MUSEO NAZIONALE DI NAPOLI

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trarre il disegno che qui offro (fig. 3G) dove però la
rotondità della pancia è riuscita, se non erro, alquanto
esagerata.

Fir,. 36.

Di fronte ad una massa così imponente di riscontri
egeo-asiani, quali sono gli elementi che possono dirsi
derivati da altra fonte, e particolarmente dall'elle-
nismo ? Neppure tutti quei pochissimi di cui non trovo
uno stretto riscontro nella ceramica egea. Non certo
la scaletta ad occhi, combinazione locale di elementi
dati : non la decorazione a bande di colore, scompar-
tite in senso verticale, che altri ha messo in relaziono
con lo stile fenicio, e di cui il presente studio con-
tribuirà, come vedremo, a chiarire l'origine. Appena ap-
pena le palmette e i fiori di loto, che compariscono
su esemplari evidentemente già in via di derogare alle
tradizioni dello stile locale, si può dire che ricordino
le corrispondenti della ceramica a figure nere attica
del VI secolo; e non senza molte riserve potrebbe
qui aggiungersi il delfino, che rassomiglia per la sa-
goma a quelli che ricorrono su vasi attici del VI se-
colo, specialmente tazze, se pure non è più prudente
pensare a fonte comune. Analoghe riserve bisogne-
rebbe fare ove si volesse ammettere sulla forma delle
oinochoai /?/? e yy una influenza delle protocorinzie geo-
metriche : certo gli ornati delle spalle ritengono ancora
dello stile affatto egeo. Con maggior sicurezza si può
riconoscere nel vaso dò, già grecizzante negli ornati
e nella tecnica, l'imitazione del kalathos greco (').

(!) Esiste, inedito, nel Museo di Siracusa, un piccolo vaso di
forma simile, trovato a Megara Hyblaea (cfr. Notìzie degli

11 materiale ceramico arcaico dell'Apulia, consi-
derato nel suo complesso, non offre dunque alcun in-
dizio apprezzabile di elementi « italici » o di altri
che non siano nò greci nè egei; di elementi greci
abbiamo una minoranza insignificante, vera parvità di
materia, che ha chiaramente il carattere ascitizio ; di
elementi egei, la quasi totalità, che hanno al contrario
un evidente carattere primitivo. Le diversità sono suf-
ficienti per distinguere la nostra ceramica dalla egea ;
ma d'altra parte.i riscontri sono più che bastevoli
per escludere assolutamente l'attribuzione di essi ad
un mero caso.

Dopo questi fatti vorrei mi si concedesse proporre
ai dotti alcune ipotesi, che forse non saranno indegne
della loro attenzione. A me sembra che in generalo
le date, quali si assegnano al materiale archeologico
dell'Italia meridionale, vengano troppo abbassate, e
che troppo preoccupi gli studiosi la colonizzazione
greca e la discesa che popoli venuti dal nord avreb-
bero fatta nella parte bassa della penisola. Inviterei
a riflettere se lo stesso nome d'Italia l'abbiano por-
tato i Greci o questi popoli nordici; ovvero se, come
pare storicamente certo, essendo questo nome nato
nel sud e di là a poco a poco avendo guadagnato il
settentrione, non sia esso testimonianza o indizio va-
lido di una civiltà indigena primitiva, che fosse risa-
lita in su dal mezzogiorno.

Altra cagione della inesatta cronologia assegnata
finora alla suppellettile figulina indigena delle Puglie
è stata la imperfetta conoscenza della storia della cera-
mografia, specialmente italiota. Ma le scoperte avve-
nute sul suolo greco hanno fatto risalire la cronologia
dei vasi ellenici; e quanto agli italioti bisognerà ben
persuadersi, davanti ad esemplari come l'idria con la
rappresentanza del mito di Canace in Bari ed altri
che segnalerò in un mio prossimo lavoro, che la loro
fabbricazione non è cominciata al terzo secolo, come
scriveva ancora il Collignon nel 1888 ('), bensì al
quinto, come riconosceva almeno contemporaneamente

scavi 1892, p. 128, sep. G40, n. 8, ove 6 qualificato per bic-
chiere) in cui un traforo a giorno rende anche più evidente
l'imitazione, forse simbolica, del kalathos. La tomba in cui fu
rinvenuto appartiene al VI secolo.

(') Rayet et Collignon, Ilistoire de la céramiquc grecque
(Paris 1888), p. 303 (i capitoli XIV e sgg. sono del Collignon).
 
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