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DI UN FRAMMENTO DI LEGGE ROMANA

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Napoli, il cui nome desiderò il prof. Viola ricordare con
sensi di gratitudine per la grande cura eh' egli pose nel-
l'arduo lavoro. Si dovè qualche volta adoperare il mar-
tello, e talvolta sottoporre la lamina all'azione lenta
di una pressa; altra volta si dovè ricorrere all'aziono
del fuoco, massime por liberare il bronzo dalle fortis-
sime incrostazioni calcaree che molte parti ne rico-
privano. Fu lavoro paziente e lungo, che richiedeva
abilità somma e che portò il beneficio di presentarci
bene riunita in un quadro tutta la tavola, che com-
prende una preziosa porzione di una legge romana.

A prima vista l'attenzione si ferma sul fatto del
grado diverso di conservazione, con cui si mostrano
i vari pezzi raccolti in quello stesso sito ; alcuni avendo
la superficie quasi intatta, altri essendo lisci e come
consumati dall' attrito. Nacque al prof. Viola il sospetto,
che la lamina fosse stata, in tempi di decadenza, ado-
perata come semplice coperchio del pozzo, e che in
questo uso una parte di essa fosso rimasta maggior-
mente offesa per l'attrito dei vasi di rame, con cui
l'acqua si attingeva.

Prima di darne il testo secondo l'apografo del prof.
Viola, è utile riassumere alcuni studi che il prof. Viola
stesso ebbe occasiono di fare e che si riferiscono ad un pro-
cedimento tecnico che da nessuno, per quanto si sappia,
era stato finora notato. Le lettere eseguite col proce-
dimento solito, cioè per mezzo di punzone, non appa-
riscono a semplice incavo e vuote, ma sono per lo più
ripiene di una sostanza o bianca o nerastra a seconda
dei punti, nei quali la lamina conserva più o meno
l'aspetto primitivo. Perocché le parti, nello quali le
lettere appariscono ripiene di materia nerastra, sono
appunto quelle in cui per scoprire la scrittura fu me-
stieri distendere l'acido solforico; onde avvenne che,
mentre cadde lo strato che ricopriva la leggenda, rimase
alterata la sostanza che nel campo delle lettere era
stata applicata. Ma in origine questa sostanza doveva
essere tutta biancastra, probabilmonte a base di piombo
o d'argento, per rendere la lettura di questo documento
pubblico assai più agevole, che se fosse stata a sem-
plice incisione sulla nuda lamina. Tale ipotesi viene
convalidata dal fatto, che avendo il eh. prof. Ogliarolo,
direttore del Gabinetto chimico della R. Università di
Napoli, presa in esame, a preghiera del prof. Viola, una
piccola porzione di questa sostanza, benché la quantità
offerta non si prestasse alle analisi più minute, rico-

nobbe trattarsi di composizione in cui il piombo aveva
una parte preponderante. Abbiamo dunque un vero
pigmento, con cui furono riempite le lettere nel bronzo
tarantino.

Parendo naturale che un procedimento simile non
fosse solo usato in questo nostro bronzo, ma che anche
nella incisione di altre leggi si procedesse nel modo
medesimo, volle il prof. Viola esaminare altre tavole
enee iscritte ; e riconobbe quivi 1' uso dello stesso pig-
mento. Basta citare fra tutte il cospicuo bronzo dei
pueri et puellae alimentariae dei Liguri Bebiani,
che è uno dei principali tesori del Museo Nazionale
Romano nelle Terme di Diocleziano. Nel qual bronzo,
meglio che altrove, si è mantenuta la materia bian-
castra con cui le lettere vennero riempite. Nel Museo
Nazionale di Napoli poi ognuno può verificare il fatto
medesimo nella iscrizione più antica delle tavole di
Eraclea.

Non è qui il luogo di estendersi a trattare di
un procedimento simile, che si usò pei graffiti orna-
mentali delle cisto e degli specchi cosi detti etruschi,
essendo opinione generalmente accettata fra i dotti, che
tali graffiti preparassero piuttosto l'ornamento o la rap-
presentanza, che si compiva riempiendo la linea incisa
con intarsio di altro metallo o con l'applicazione di altra
materia (').

Venendo all'esposizione del testo, devesi premet-
tere che il nostro frammento si compone di sei pezzi, i
quali, salvo qualche piccolissima lacuna, bene si ricom-
mettono tra di loro, ed uniti misurano mm. 456 in
altezza, ed hanno la larghezza massima di mm. 435,
con lo spessore variabile che arriva al massimo di
mm. 8. Però, mentre con questi frammenti abbiamo
l'altezza originale del bronzo, non ne abbiamo la lar-
ghezza, che probabilmente doveva essere circa il doppio
di quanto ci è pervenuto ; ciò deducendosi dai chiodi
che mostrano essere stati applicati nella linea centrale
della lamina. Per tali chiodi abbiamo il buco in cui
passava il chiodo superiore, praticato nello spazio cor-
rispondente alla terza linea del testo, e la testata in
ferro del chiodo inferiore, clic si conserva ancora presso

(') Per la cista Ficoroni cfr. Marchi, La cista del Museo
Kircheriano, Roma 1848; Brondsted Den Ficoroniske Cista,
Copenhagen 1847; Schone, Ann. Inst. 18G6, p. 155; e per le
altre citazioni cfr. Helbig, Fùhrer, II, pag. 393 e 394.
 
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