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Napoli nobilissima — 3.1894

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i56

NAPOLI NOBILISSIMA

del Piano ed il cennato palazzo. Così fatte le debite for-
malità ed ottenuto il regio assenso il feudo di Villa Mirra
collocato sul territorio di Pietra Bianca, fu intestato a be-
nefìcio di detto Pietro Antonio, e notato nel cedolario
sotto la data del 1785 (T); e così questa minuscola e pe-
ripatetica baronia, una di quelle che i librettisti ed i com-
mediografi del secolo passato mettevano spesso ed assai
genialmente in canzonatura (1 2 3 4), senza parlare delle più an-
tiche trasmigrazioni, in pochi anni da Sorrento passava a
Napoli, e da Napoli a S. Giovanni a Peduccio con grande
sciupìo di carta e d’inchiostro per le necessarie relazioni,
consulte e decreti.
Del resto, per quanto riguarda quella parte del palazzo
di Mezzocannone, che cadde nel dominio della famiglia
Mirra, debbo qui soltanto aggiungere che essa fu allora il-
lustrata dai fratelli Saverio e Gaspare, valentissimi chirurgi
di quel tempo, e che morto Domenico passò naturalmente
al figlio Pietro Antonio, ed indi, dopo costui, a Gennaro
Mirra, che nei principi! di questo secolo la possedeva (3).
Ora trovasi in altre mani; ritiene sempre però la volgare
denominazione di palazzo del barone Mirra.
Passando poi all’altra e più importante porzione del pa-
lazzo, ed ai Piscopo padroni di essa e ritornando alquanto
indietro, io per circa un secolo, non trovo notizia di co-
loro che ai primi acquirenti del 1646 successero. Solo
verso la metà del secolo XVIII, s’incontra un individuo
della famiglia, che umile e modesto cultore degli studi sto-
rici e appassionato raccoglitore delle patrie memorie ac-
coppia il suo nome a quello di un insigne filologo di quel
tempo, e ci fa indirettamente ricordare un’epoca gloriosa
ed interessante della napoletana letteratura. Fu costui il
dottor Aniello Piscopo, figlio di Ferdinando, il quale pos-
sedeva allora la porzione del palazzo derivata dai detti Fi-
lippo ed Onofrio, mentre l’altra proveniente da Francesco
e Giovan Antonio appartenevasi a Vincenzo ed Attana-
sio (4). Della sua vita ho pochissimi particolari, non ostante

(1) Cedolario della prov. di Terra di Lavoro dal 1767 al 1806,
P. II, 1778-1790; f. 248 a 687.
(2) Tra i librettisti ricordo principalmente il Trincherà ed il Lo-
renzi; e tra i commediografi il Cerlone. Forse non sarà discaro al
lettore, che io qui adduca un esempio sul proposito che fa molto al
caso di Villa Mirra. Il Lorenzi nelle Trame zingaresche mettendo in
scena due ridicoli personaggi del genere, la baronessa di Terrarossa
ed il barone di Terraverde, fa dire alla prima accennando a suo pa-
dre che: s’addottorale e se comprale sto regno, cioè il feudo di Terrarossa.
Al che soggiunge Marcello il figlio del barone di Torraverde: co cinco
case e tridece vassalle. Sì, ribatte la baronessa, ca lo regno vuosto - sarrà
lo regno de la China China. E Marcello : La China no; ma poco manco:
penza - che sette moggia d'arbustato avimmo - atra li territorii che bedim-
mo. Lorenzi, Opere teatrali, t. III, p. 281.
(3) Catasto provvisorio della città di Napoli, 1809-1821, nell’Archivio
Municipale.
(4) Notamenti tra le carte di Aniello Piscopo.

che li avessi in ogni modo e con molta insistenza chiesti
e ricercati. Trovo soltanto che il Piscopo ebbe in moglie
la signora Teresa Spezie (0 che giusta i privilegi della fa-
miglia fu più di una volta governatore laico della par-
rocchiale chiesa di Mortora, ove nel 1736 fece edificare
un nuovo campanile (2), e che, essendo di famiglia dedita
all’industria serica, fu per lungo tempo coadiutore fiscale
nel tribunale della nobil’arte della seta (3). Nè conosco altro.
Del resto i particolari della sua vita, quali che essi sieno,
non hanno certamente un grande interesse per noi. Im-
portano piuttosto i suoi studi dei quali abbiamo lodevoli
testimonianze nei suoi manoscritti superstiti, ed anche più
nelle lettere di Giacomo Matterelli a lui indirizzate. E da
queste possiamo anche rilevare non solo la stima che l’il-
lustre autore dell’opera: De regia theca calamaria aveva del
Piscopo, e la grande familiarità che passava fra loro, ma
anche la frequente dimora che il Martorelli faceva nel pa-
lazzo di via Mezzocannone, ove spesso andava ad intratte-
nersi col proprietario e con varii amici in dotti e ameni
ragionamenti.
(1) Atto di morte di lui, che appresso si riporterà.
(2) Notamenti cit. e communicazione del Rev. Parroco di Mortora.
(3) Discorso istorico osia Notiziario dell’anno 1745, p. 123. Calen-
dario della Corte del 1767, p. 51 ed altrove. Cfr. intorno a questo tri-
bunale il Galanti, Descrizione delle due Sicilie, t. I, p. 346.
continua.
Bartolommeo Capasso.

MEMORIE DEGLI SPAGNOLI
NELLA CITTÀ DI NAPOLI

V.
Tombe di altri uomini d’arme.
Seguitando a passare in rapida rassegna le altre memorie sepol-
crali d’uomini d’arme spagnuoli, le disporremo, quasi sempre, in or-
dine puramente cronologico.
Anche nella chiesa di Piedigrotta vi erano i sepolcri di Luigi Via-
campo, aragonese, nativo di Xaca, « alae Caes. Signifer, Cohortis Hisp.
« Praef. », che, dopo forti fatti di guerra, morì a Bologna, nel 1530,
al tempo dell’incoronazione di Carlo V; e di quel Rodrigo Ripalta,
che, come abbiamo visto, elevava nel 1531 il monumento al prode
Dorbino. Il Ripalta era di Navarra, capitano di fanti, castrorum prae-
jectus: egli, « dum disiecta Coeri moenia recognoscit, ab defensoribus
« archibusii ictu pectus transfoditur », il i.° novembre 1536, a 35 anni.
Ad entrambi pose il monumento Francesca Viacampo, moglie prima
dell’uno e poi dell’altro, che volle poi esser sepolta nel 1554 accanto
al primo marito (1).

(1) Sulla lapide del Ripalta si legge propriamente: « cuius ossa Ferdinandus
« frater neap. transferenda cum Francisca Viacampa coniugi concordissima
ecc. ». Mi par chiaro che fosse moglie di Rodrigo e non di Ferdinando (Db
Stefano, 83-4, D’Engbnio, 661).
 
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