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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 6.1897

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https://doi.org/10.11588/diglit.69899#0048

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NAPOLI NOBILISSIMA

di S. Martino, adorna dei quadri dello Spagnoletto, dello Stanzioni, etc.:
proprio quella, insomma, ch’è sulla collina di S. Elmo!
Si vorrà perdonare al simpatico Alessandro Dumas questa ardita
trasposizione di luoghi, quando, in un libro di viaggio di un altro il-
lustre scrittore, d’Ippolito Taine, si leggono notizie come questa sulla
plebe napoletana: molti della plebe camminano con una scarpa sola. Te-
stuale! « Plusieurs de ceux-ci n’ont qu’un soulier » (Voyage en Italie,
Paris, Hachette, 1866, I, 57).

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* #
Dello stesso argomento.
Sono dolente di non ricordare il nome di uno scrittore francese,
il quale nota che il viaggiatore che viene da Napoli, per orientarsi,
deve salire... sulla Lanterna del Molo!
In cambio, presento ai lettori il sig. Belley, autore di un Voyage
en Italie (Paris, Charpentier, 1885). Già, fin dal suo ingresso in Italia
il signor Belley non è contento. Gl’Italiani, dice, non mangiano che
fagioli: figurarsi poi! A Firenze, assiste ad un pranzo in casa del prin-
cipe Masciaulini (chi diavolo era costui?), discendente dagli antichi
gonfalonieri, abitante un suo antico e magnifico palazzo messo dans
une ruelle tout près de Longo l’Arno. Le pareti delle sale erano coperte
di affreschi di Raffaello e di arazzi del Tiziano; la principessa era
adorna di gioielli antichi ereditati dai papi suoi antenati (?!), intorno
intorno erano, in fila, dei servi vestiti alla moda di quattrocento anni
fa (di piastra e maglia?). Di Napoli, veramente, non dice troppo male:
vede solo delle cose non mai viste da altri. Assicura che i mendicanti
domandano l’elemosina a cavallo: osserva che il clima di Napoli è diviso
esattamente in due zone, la zona calida e la zona frigida, col centro
di partenza dalla Piazza del Palazzo reale! Chi va verso l’oriente è
soffocato dall’aria calda che esce dalla bocca del Vesuvio, zona calida:
chi, viceversa, cammina verso l’occidente, è assiderato dal vento gla-
ciale, che soffia dalle Alpi, zona frigida!
Ma queste scoverte climatologiche sono assai innocenti di fronte
alle scoverte sociologiche del signor Renato Fucini (questo è un ita-
liano!), che, mosso da spirito filantropico, mise a nudo le piaghe di
Napoli (Napoli ad occhio nudo, Firenze, Lemonnier, 1878). Il sig. Fu-
cini narra che un giorno, presso Piedigrotta, un povero, per vincere
il suo rifiuto a fargli l’elemosina, gli si buttò ai piedi, gli spolverò le
scarpe col suo berretto e cominciò a baciargliele ed a leccargliele, ab-
bracciandogli strettamente le gambe! Altrove dice che un operaio, per
ringraziarlo di un piacere ricevuto, gli disse: Eccellenza, comandate un
vostro servo: son pronto a fare per voi i più sporchi servigi!
Si può inventar nulla di più scimunito?
Sarà continuato!
Don Fastidio.

DA LIBRI E PERIODICI
Emilio Bertaux ha pubblicato nell’ultimo fascicolo dell’anno se-
condo, nuova serie, dell’Archivio storico dell’Arte (Roma, Danesi, no-
vembre-dicembre 1896) uno studio su l’Esposizione di Orvieto e la sto-
ria dell’Arte, che è di un particolare interesse per la storia dell’ore-
ficeria nell’Italia Meridionale. Da qui infatti erano stati inviati oggetti
molto importanti, che erano rimasti finora ignorati o mal conosciuti
per la troppo gelosa cura con cui sono custoditi nei tesori delle no-
stre cattedrali.
Cominciando dall’arte bizantina, il Bertaux volge principalmente la
sua attenzione alla croce pettorale mandata da Gaeta e alla croce di
altare del duomo di Cosenza: entrambi bellissimi lavori in oro con

pietre preziose e con smalti del secolo XI. Dopo averli minutamente
descritti, offrendo anche al lettore l’aiuto di una riproduzione in foto-
tipia, egli li paragona ad altri oggetti coevi, e passa infine a discor-
rere di quelli fabbricati posteriormente. « Gli oggetti smaltati di stile
bizantino — conchiude — che oggi si conoscono nelle provincie me-
ridionali d’Italia, formano due serie: quelli con iscrizioni greche, che
sono certamente stati importati d’oltre mare; quelli con iscrizioni la-
tine che sono stati probabilmente fabbricati sul posto. Ma tutti, per
me, sono opera di Greci ».
Nella seconda parte del suo scritto il Bertaux ricorda che gli og-
getti smaltati di Limoges furono per la prima volta importati in Italia
da prelati di origine francese, come il pastorale di Montecassino ov-
vero il bel reliquiario, il piede di Croce e la colomba eucaristica della
chiesa di S. Sepolcro a Barletta. Di questo genere di lavori nota, fra
quelli esposti ad Orvieto, una lastra rappresentante S. Matteo coll’an-
gelo, che era stata mandata da Otranto. Questa è firmata colla let-
tera R., iniziale dei Reymond, i celebri smaltatori di Limoges del
Millecinquecento.
Nella terza parte, e la più importante, il B. tratta dell’arte italiana
passando prima in rassegna le opere firmate e tentando poi di clas-
sificare quelle anonime. E un notevole contributo portano le sue in-
dagini non soltanto pei nuovi artefici che ci rivelano, ma principal-
mente per lo studio intorno ad un orefice del Quattrocento di cui era
conosciuto finora il solo nome: Pietro Vanini di Ascoli. Le sue opere
che erano all’Esposizione di Orvieto — la croce processionale della
cattedrale di Osimo, l’ostensorio del duomo di Bovino, e il taberna-
colo di Montalto nelle Marche —, e quelle che il Bertaux ha osser-
vato ad Amatrice — reliquiario —, a Pinaco — croce processionale —,
e a Ascoli stesso —- statua di argento di S. Emidio, nel duomo —
mostrano nel Vanini un artefice pari « per abilità tecnica e forse su-
periore per nobiltà di stile a Nicola di Guardiagrele ».
Di quest’ultimo artista era esposta la bellissima e oramai famosa
croce del Laterano, ma niente avevano mandato gli Abruzzi. La scuola
di Sulmona era rappresentata da due oggetti assai brutti, che portano
la firma di due artisti sconosciuti finora: Nicola de Rapallo e Paolo
de Sulmona.
Il B. accenna appena agli oggetti di arte italiana lei Quattrocento
mandati dalle Puglie. Il più bello era il calice di Bitonto col marchio
Ter., degli orefici di Teramo; gli altri non servivano se non a ram-
mentare la povertà artistica in cui si trovavano quelle provincie men-
tre gli Abruzzi producevano la fiorente scuola di oreficeria che ha
ora tanti illustratori.
*
Di due nostri pittori, del Ribera e del Giordano, si occupò il pro-
fessore C. Justi in un articolo dal titolo Die hh. Maria Magdalena und
Agnes von Ribera und Giordano, inserito nel voi. V della Zeitschrift
fur christliche Kunst (Dusseldorf, 1892), che è così riassunto dal pro-
fessore De Fabkiciis nell’ultimo fascicolo dA\' Archivio storico dell’arte:
« Il prof. Justi rivela in un quadro di possesso privato a Bonn una
riproduzione con parecchie alterazioni della celebre « Estasi della Mad-
dalena » del Ribera nell’Accademia di S. Fernando a Madrid, e ne
riconosce come autore Luca Giordano « fa presto ». Viene poi a di-
scorrere, in generale, dell’influenza che il Ribera esercitò su Giordano,
e in fine rettifica un errore di denominazione incorso nella rinomata
tavola del Ribera nel Museo di Dresda. Mentre la Santa effigiatavi si
riteneva essere S. Maria Egiziaca, il Justi dimostra ch’essa rappresenti
Sant’Agnese, e segnatamente quella scena della sua leggenda, quando
condannata a essere tutta nuda rinchiusa in un lupanare, la Santa da
angeli viene vestita di una stola candidissima ».
Don Ferrante.
 
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