124
NAPOLI NOBILISSIMA
veneta dei caminetti sopra i tetti allargati a guisa d’im-
buto, dei campanili di terracotta a lunghe scannellature
lungo i fianchi (*).
Ma io voglio rinunziare a questi indizi, sia perchè al-
tri come il Burckhardt, al quale tu ti accosti, veggono in
quegli affreschi reminiscenze della scuola umbra, sia per-
chè i caratteri della scuola non han sempre legame con
la patria dell’artista. Se quegli affreschi sono di scuola
umbra, ciò vorrebbe dire che lo Zingaro si educò a quella
scuola. Del resto, a giudicar nettamente sui caratteri della
scuola io mi dichiaro incompetente, specie quando veggo
le opposte opinioni dei competentissimi, e quando tra me
stesso considero che gli studii sull’arte vanno acquistando
tal precisione che fra breve sembrerà tanto strano il sen-
tenziare dei profani su questi argomenti quanto già ora
sembra (grazie al cielo) strano il cercare etimologie e pa-
rentele fonetiche e morfologiche senza conoscere i metodi
e senza possedere la suppellettile della filologia moderna.
Sarebbe importante avere un termine di confronto in
altre opere sicure dello Zingaro. Ma, per isfortuna, finora
di firmato ed autentico non si conosce di lui altro che il
quadro descritto nell’opuscolo del Meschini. Questo qua-
dro ha fatto, dal 1828 in poi, parecchie peregrinazioni. Da
uno scritto di N. Laviano, pubblicato nel 1842, si rileva
che « fu trasportato nella Galleria del Duca di Leuchten-
berg a Monaco, dove al presente (1842) si rattrova ». Ed
infatti, è pubblicato con disegno a contorni nella tavola 29
dell’opera: Gemàlde-Sammlung in Mùnchen Seiner Kónigl.
Hoheit des Dom. Augusto Herzogs von Leuchtenberg und Santa
Cruz, ecc. ecc. in Umrissen auf Kupfer mit deutschen und
franzosiseben Texte hg. von I. N. Muxel Inspector, Mun-
ck en, in der Fimberlischen Buchhandlung, s. a. Ed egual-
mente nella seconda edizione di quest’opera coi disegni a
contorni del Muxel e mit umgearbeitetem Texte von I. D.
Passavant, Frankfurt a. M., los. Baer, 1851; dov’è ripro-
dotto alla tav. I. Nella prima edizione il pittore è dato
per napoletano con le solite frottole; nella seconda, di-
venta veneziano, pure restando intatte le altre frottole del
De Dominici. L’annotatore Passavant nota che « l’arte del
Solario ha somiglianza con quella dei pittori veneziani
Antonio da Murano e Iacopo Bellini ». — Ma il comune
amico Ceci, che ha preso per me queste notizie a Mo-
naco, non ha potuto vedere l’originale nè procacciarsi una
fotografia, perchè la Galleria Leuchtenberg si trova ora a
Pietroburgo, essendo passata per eredità in una famiglia
russa.
Dobbiamo quindi contentarci del disegno a contorno
fatto da Giovanni Marchesi, ed inciso da Francesco No-
velli, che adorna l’opuscolo del Meschini; e che io ripro-
duco qui, perchè quel quadro sia meglio conosciuto. Ri-
trae, come si vede, la Vergine sostenente in piedi il Bam-
bino, che gioca con un uccellino legato a un filo; alla
destra della Vergine è il piccolo S. Giovanni, che prende
parte al giuoco fanciullesco.
Dietro le spalle della Vergine si apre una finestra.
Ma guarda un po’: caccia il capo fuori la finestra. Non ti
par di vedere uno di quei paesaggi che il pittore degli
affreschi di S. Severino prediligeva? Gli stessi gruppi di
alberi slanciati e sottili, e, in lontananza, la roccia coronata
da un gruppo di case?
Senza voler dare troppa importanza a questo indizio,
mi sembra di poter concludere che neanche ciò che sap-
piamo del prezioso quadro sta in contraddizione colle al-
tre notizie che possediamo concernenti il pittore Antonio
da Solario e gli affreschi di S. Severino.
Riama
l’afi.mo tuo
Benedetto Croce.
LA CORPORAZIONE
DEGLI SCULTORI E MARMORARI
Gli scultori e marmorari napoletani si riunirono in
corporazione nel secondo decennio del milleseicento, e
presentarono i loro statuti al Viceré don Pietro Giron Duca
d’Ossuna per l’assenso, che fu concesso il 17 marzo 1618.
Le norme in essi stabilite riguardano, oltre l’ordinamento
interno della corporazione, il duplice scopo che essa si
proponeva: « attendere al servizio di Dio et all’aiuto del
prossimo » e regolare i rapporti degli artefici tra loro e
con quelli che commettevano i lavori (J). Era qualche cosa
di più di una confraternita, senza raggiungere l’impor-
tanza di una corporazione propriamente detta, come era
per esempio a Firenze l’arte dei maestri in pietra e in le-
gname a cui appartenevano appunto gli architetti e gli
scultori.
Messa sotto il patrocinio dei « gloriosi santi quattro
coronati per essere stati quelli scultori », la corporazione
napoletana ebbe la sua sede dapprima in uno degli oratori
dei Gerolomini, di poi passò in una cappella della chiesa
di S. Chiara, dove si trovava stabilita nel 1729. Ne fa-
cevano parte gli scultori e marmorari, napoletani e fore-
stieri dimoranti in Napoli (ne venivano da Carrara prin-
cipalmente e da Firenze), divisi in capimastri e scarpellini
(1) Arte italiana del Rinascimento, pp. 49-51.
(1) Una copia degli statali degli scultori e marmorari è all’Archi-
vio di Stato: Interno, Capitolazioni di arti e mestieri, voi. Ili, n. 22.
NAPOLI NOBILISSIMA
veneta dei caminetti sopra i tetti allargati a guisa d’im-
buto, dei campanili di terracotta a lunghe scannellature
lungo i fianchi (*).
Ma io voglio rinunziare a questi indizi, sia perchè al-
tri come il Burckhardt, al quale tu ti accosti, veggono in
quegli affreschi reminiscenze della scuola umbra, sia per-
chè i caratteri della scuola non han sempre legame con
la patria dell’artista. Se quegli affreschi sono di scuola
umbra, ciò vorrebbe dire che lo Zingaro si educò a quella
scuola. Del resto, a giudicar nettamente sui caratteri della
scuola io mi dichiaro incompetente, specie quando veggo
le opposte opinioni dei competentissimi, e quando tra me
stesso considero che gli studii sull’arte vanno acquistando
tal precisione che fra breve sembrerà tanto strano il sen-
tenziare dei profani su questi argomenti quanto già ora
sembra (grazie al cielo) strano il cercare etimologie e pa-
rentele fonetiche e morfologiche senza conoscere i metodi
e senza possedere la suppellettile della filologia moderna.
Sarebbe importante avere un termine di confronto in
altre opere sicure dello Zingaro. Ma, per isfortuna, finora
di firmato ed autentico non si conosce di lui altro che il
quadro descritto nell’opuscolo del Meschini. Questo qua-
dro ha fatto, dal 1828 in poi, parecchie peregrinazioni. Da
uno scritto di N. Laviano, pubblicato nel 1842, si rileva
che « fu trasportato nella Galleria del Duca di Leuchten-
berg a Monaco, dove al presente (1842) si rattrova ». Ed
infatti, è pubblicato con disegno a contorni nella tavola 29
dell’opera: Gemàlde-Sammlung in Mùnchen Seiner Kónigl.
Hoheit des Dom. Augusto Herzogs von Leuchtenberg und Santa
Cruz, ecc. ecc. in Umrissen auf Kupfer mit deutschen und
franzosiseben Texte hg. von I. N. Muxel Inspector, Mun-
ck en, in der Fimberlischen Buchhandlung, s. a. Ed egual-
mente nella seconda edizione di quest’opera coi disegni a
contorni del Muxel e mit umgearbeitetem Texte von I. D.
Passavant, Frankfurt a. M., los. Baer, 1851; dov’è ripro-
dotto alla tav. I. Nella prima edizione il pittore è dato
per napoletano con le solite frottole; nella seconda, di-
venta veneziano, pure restando intatte le altre frottole del
De Dominici. L’annotatore Passavant nota che « l’arte del
Solario ha somiglianza con quella dei pittori veneziani
Antonio da Murano e Iacopo Bellini ». — Ma il comune
amico Ceci, che ha preso per me queste notizie a Mo-
naco, non ha potuto vedere l’originale nè procacciarsi una
fotografia, perchè la Galleria Leuchtenberg si trova ora a
Pietroburgo, essendo passata per eredità in una famiglia
russa.
Dobbiamo quindi contentarci del disegno a contorno
fatto da Giovanni Marchesi, ed inciso da Francesco No-
velli, che adorna l’opuscolo del Meschini; e che io ripro-
duco qui, perchè quel quadro sia meglio conosciuto. Ri-
trae, come si vede, la Vergine sostenente in piedi il Bam-
bino, che gioca con un uccellino legato a un filo; alla
destra della Vergine è il piccolo S. Giovanni, che prende
parte al giuoco fanciullesco.
Dietro le spalle della Vergine si apre una finestra.
Ma guarda un po’: caccia il capo fuori la finestra. Non ti
par di vedere uno di quei paesaggi che il pittore degli
affreschi di S. Severino prediligeva? Gli stessi gruppi di
alberi slanciati e sottili, e, in lontananza, la roccia coronata
da un gruppo di case?
Senza voler dare troppa importanza a questo indizio,
mi sembra di poter concludere che neanche ciò che sap-
piamo del prezioso quadro sta in contraddizione colle al-
tre notizie che possediamo concernenti il pittore Antonio
da Solario e gli affreschi di S. Severino.
Riama
l’afi.mo tuo
Benedetto Croce.
LA CORPORAZIONE
DEGLI SCULTORI E MARMORARI
Gli scultori e marmorari napoletani si riunirono in
corporazione nel secondo decennio del milleseicento, e
presentarono i loro statuti al Viceré don Pietro Giron Duca
d’Ossuna per l’assenso, che fu concesso il 17 marzo 1618.
Le norme in essi stabilite riguardano, oltre l’ordinamento
interno della corporazione, il duplice scopo che essa si
proponeva: « attendere al servizio di Dio et all’aiuto del
prossimo » e regolare i rapporti degli artefici tra loro e
con quelli che commettevano i lavori (J). Era qualche cosa
di più di una confraternita, senza raggiungere l’impor-
tanza di una corporazione propriamente detta, come era
per esempio a Firenze l’arte dei maestri in pietra e in le-
gname a cui appartenevano appunto gli architetti e gli
scultori.
Messa sotto il patrocinio dei « gloriosi santi quattro
coronati per essere stati quelli scultori », la corporazione
napoletana ebbe la sua sede dapprima in uno degli oratori
dei Gerolomini, di poi passò in una cappella della chiesa
di S. Chiara, dove si trovava stabilita nel 1729. Ne fa-
cevano parte gli scultori e marmorari, napoletani e fore-
stieri dimoranti in Napoli (ne venivano da Carrara prin-
cipalmente e da Firenze), divisi in capimastri e scarpellini
(1) Arte italiana del Rinascimento, pp. 49-51.
(1) Una copia degli statali degli scultori e marmorari è all’Archi-
vio di Stato: Interno, Capitolazioni di arti e mestieri, voi. Ili, n. 22.