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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 6.1897

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https://doi.org/10.11588/diglit.69899#0160

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NAPOLI NOBILISSIMA

dell’arte la facilità con cui i nostri scrittori, auspice il De Dominici,
hanno asserito tante inesattezze, da poter ancora affidarsi ciecamente
alla loro testimonianza. Ora è tempo di abbandonare la poesia per
tessere la storia dell’arte napoletana sui documenti. Questo principio
appunto ho avuto di mira nella compilazione del mio studio sul Cac-
cavelle; ed ho ragione di credere che al eh. critico sieno sfuggite al-
cune mie parole, che qui mi permetto porgli sott’occhi, le quali, a
parer mio, rispondono pienamente alla sua osservazione: « La deplore-
« vole inesattezza di parecchi nostri scrittori — ho detto a p. LXVII —
« nell’attribuire moltissime opere ad artefici che non ne furono i veri
« autori, e l’attuale sistema di severa critica, che a ragione reagisce
« alle loro facili asserzioni, ci costringono ad attenerci, nelle cose di
« arte, a quelle notizie soltanto che possono essere convalidate dai
«documenti». E più sotto: «Sebbene il De Dominici ed altri scrit-
« tori attribuissero ad Annibaie un certo numero di opere, io, pur ri-
« conoscendo che alcune tra esse presentino i caratteri della sua mano,
« per le su esposte ragioni, non ne terrò conto alcuno, ad eccezione
« di quelle accertate dai documenti ».
b) Non so perchè l’egregio critico voglia protrarre la vita di Anni-
baie Caccavelle fin quasi al 1579, mentre è probabile che morisse
verso il 1570. Se a lui non sembrano sufficienti le ragioni dalle quali
10 deduco l’epoca probabile della morte dello scultore, ha egli ragioni
migliori per prolungargli la vita di circa due lustri?
c) « Ci sembra dubbio — continua il Padiglione — che la epigrafe
« ricordata a carta 56 ...., posta nel 1618 da un Nardo Caccavella in-
vi dichi la sepoltura dello scultore...., giacché due Caccavella ebbero lo
« stesso nome di Annibale .... e vissero nello stesso tempo. Nè nell’epi
« grafe vi è cenno alcuno dell’arte possedutainsommo grado dall’artista ».
Io credo invece che non vi sia dubbio alcuno che l’epigrafe sud-
detta si riferisca al Caccavelle scultore e non al suo omonimo, nè il
mio critico avrebbe avuto ragioni per dubitarne se avesse considerato
che il Nardo Caccavelle, che pose l’epigrafe, era legato da stretto vin-
colo di parentela allo scultore. Infatti a p. XLVI ho documentato che
avendo l’artista disposto nel suo ultimo testamento che dalla sua ere-
dità si fosse pagata una certa somma come sovvenzione « per la
« scuola de’ fanciulli più propinqui della linea seu casata d’esso te-
« statore»; furono appunto i figli di Nardo i primi a godere di tale
benefizio. La quale circostanza, unita alle parole stesse dell’epigrafe
in questione (v. p. LVI), ci può risparmiare, a parer mio, la pena di
andare a cercare un Annibaie Caccavelle che non sia lo scultore.
In effetti poi quale altra ragione ha il dubbio del mio eh. critico
se non quella di non leggersi nell’epigrafe la parola scultore accanto
ad Annibaie Caccavelle?!
d) Mi accusa pure di aver io asserito che le notizie registrate nel
Diario del Caccavelle non oltrepassino l’anno 1567, mentre a p. 132
egli ne ha trovate dell’anno 1569. Mi permetta però l’egregio Com-
mendatore che io gli faccia osservare che le notizie dell’anno 1569
segnate a p. 132 non fanno parte del Diario, perchè il Diario non
oltrepassa la pagina 122; ma son comprese in un’appendice ove con
la denominazione di Carte Volanti ho pubblicato il contenuto di tante
piccole carte inserite, forse per segno, nel registro dello scultore.
e) Inoltre egli non ritiene « esatta l’affermazione che il trovarsi in
« tutti i monumenti funerari del secolo XVI simboli di guerra, anche su
« tombe di persone non dedite alle armi, sia stato l’effetto dell’ornamenta-
li zione dell’epoca », ma crede piuttosto che tali elementi decorativi
indichino la nobiltà del sepolto « sia per la origine che generalmente
11 si attribuisce aiNobili, sia perchè solo ad essi era dato cingere la spada ».
Anche questa volta son dolente di non poter dividere l’opinione
dell’egregio critico, che vuol vedere un simbolismo, alludente ad una
determinata casta, in quella ornamentazione che troviamo usata su
così larga scala nei monumenti di ogni genere del XVI secolo.
Tutti quei gruppi di lance, di elmi, di scudi non hanno verun sim-
bolismo nei nostri monumenti; simboleggiarono forse, nella loro ori-
gine, l’indole bellicosa e le vittorie del fiero popolo romano che amò
vederli eternati nei suoi monumenti: ma nel Cinquecento altro non
sono che un semplice motivo di decorazione, venuto in uso insieme a
tutte le altre forme decorative ed architettoniche dello stile classico
romano, che il Rinascimento richiamò in vita, ispirandovisi prima li-
beramente per poi divenirne schiavo.
Al tempo di Giovanni da Nola la decorazione di armi romane
cominciava ad essere usata con frequenza nei monumenti di Napoli;

ed egli stesso se ne serviva con gusto squisito, come ci attestano
Porta Capuana, la tomba del Caracciolo di Vico e molte altre sue
opere, facendo di quella foggia ornamentale direi quasi la nota carat-
teristica della sua scuola. E se tanto egli che i suoi discepoli son ri-
tenuti buoni decoratori, è in questo genere appunto di decorazione
che principalmente si distinsero.
Sebbene però (e qui ripeto quello che ho già detto a p. XXX del
mio lavoro), tali motivi guerreschi non simboleggiassero nel Cinque-
cento più di quanto avean significato i leggiadrissimi ornati a basso-
rilievo nelle tombe del secolo precedente; pure non v’ha dubbio che
quegli ingegnosi aggruppamenti di armi romane, nelle loro numerose
riproduzioni, si addicevano non poco alle tombe che immortalavano
l’aristocrazia guerriera di quel tempo.
In ultimo debbo fare osservare al eh. scrittore che egli, nell’accen-
nare per sommi capi la materia della mia Introduzione, mi fa dire
cose che non ho detto. Così ad esempio mi fa dire che al tempo del
Caccavelle Firenze era sede dell'arte del Rinascimento; mentre io, nel
capo II, ho distinto abbastanza chiaramente i due differenti periodi
dell’arte, dicendo come il primo (quello di Donatello) ebbe come cen-
tro del suo svolgimento Firenze; ma che il secondo (propriamente
detto il Cinquecento^, si svolse in Roma con Michelangelo, sotto gli
auspicii del Papato. A questo periodo appartiene Giovanni da Nola e
la sua scuola.
Dice altrove il critico che io accenno « ai sommi artisti quali il
11 Donatello, il Vasari, il Buonarroti, etc. ». Io non ho punto collocato
il Vasari accanto al sommo Donatello ed al divino Michelangelo, e
se gli è capitato di leggere il nome dell’Aretino nella medesima pa-
gina ove son nominati i suddetti grandi artisti, sappia egli, che, quan-
tunque il Vasari fosse stato un buon pittore, io non l’ho citato se
non come biografo degli artisti.
Mi perdoni adunque l’egregio Comm. Padiglione se, malgrado che
le sue osservazioni sieno acutissime, io non posso accettarle; ma gli
sarò sempre grato, ritenendomi non poco lusingato che la sua dotta
penna ed il noto suo acume critico si sieno rivolti al mio modestis-
simo scritto.
A te, caro Don Fastidio, dopo i debiti ringraziamenti per la gen-
tile ospitalità, rivolgo le mie scuse, come pure ai cortesi lettori, per
aver usurpato uno spazio che poteva esser tanto meglio occupato.
27 settembre 1897.
Antonio Filangieri di Candida.
* *
Fontana Medina.
Dall’Arpa Poetica di Tomaso Gaudiosi (Napoli, 1671), p. 278:
Per la fontana Medina di Napoli.
Erge superbo, à fulminar le stelle
Con saette di stille, il gran Tridente
Lo Dio dell’onde, e la quadriga algente
Vibra spumanti incontr’al Ciel procelle.
Stabile è il carro, e nel suo star corrente,
Si slarga, e spande in queste parti e ’n quelle;
Disfidar Paure à la battaglia imbelle
De’ verdi Numi il mormorar si sente.
Segna la fama in sù gl’eletti marmi
Augustissimo nome (à cui s’inchina
Riverente l’invidia) in simil carmi:
— Questa squamosa Deità marina
Assolda in pace, e con sì tener’armi,
Sa trionfar, de’ secoli, Medina! —
Don Fastidio.
 
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