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NAPOLI NOBILISSIMA
li valutarono 32,000 ducati, e i Gesuiti ebbero in cambio
il feudo di Casolla, che fu ceduto in burgensatico al Col-
legio del Carminello al Mercato U).
Un bando severissimo fu emesso per vietare agli indi-
geni de’ vicini casali, Pozzuoli, Pianura, Soccavo e Anti-
gnano, l’entrata al bosco, non che la caccia: non ne ho
letto il testo, ma dovette essere analogo a quello per
l’isola di Procida, caccia di faggiani, nel quale spigolo:
« 1. Chi ammazza un faggiano o coniglio è condannato
a 500 ducati e 7 anni di presidio chiuso se nobile, 7 anni
di galera se ignobile; 2. È proibito di sparare con scop-
petta a grillo o a miccio in tutto il territorio dell’isola pena
50 ducati di multa e sei mesi di carcere: è permesso di
sparare nell’isola solo nel caso di invasione di corsari
(meno male!); 3. È proibito di molestare con mazze, maz-
zarelle, canne appuntate o spuntute, chiappitela, pietre e di
tener cani: vi può essere nell’isola, un sol cane conse-
gnato al capocaccia, e che deve servire solo al Re per
scovare i conigli dalle tane; 4. Se il contravventore è un
ecclesiastico, le pene si eseguono sui parenti più vicini (!!);
5. Basta per la prova un sol testimone de visu e due de
auditu-, 6. Sono indizii sufficienti per l’applicazione della
tortura penne di faggiano trovate in casa, o l’esser trovato
col fucile in ispalla dopo che s’è udito un colpo (1 2 3). »
Non ostante tutte queste pene, di fronte alle quali quelle
contro gli anarchici sono carezze, a Procida, come agli
Astroni, i contravventori abbondarono, sopra tutto tra gli
ecclesiastici, divenuti così una sciagura nelle rispettive
famiglie. Meglio di qualunque bando, ma anche di poca
efficacia, dovette essere il muro, col quale Carlo III fece
chiudere tutto il ciglio degli Astroni.
Il duca di Bovino, d. Inigo Guevara, cacciatore mag-
giore, provvide a popolare di giovani caprii e cinghiali la
reai caccia ed alla costruzione d’un riposo, che esiste tut-
tora mezzo nascosto dagli alberi nella parte di fronte al-
l’entrata. Nel 1743 si fecero venire da Bovino, dove era
un’altra riserva reale, vacche, capre e bufale, per metter su
agli Astroni una piccola cascina.
*
Rifatta, ritornata all’antico splendore, trovarono nel 1799
la vecchia caccia aragonese i francesi, nella magnifica caccia
ad essi offerta (3). Faceva onore ai sospirati conquistatori
una larga rappresentanza della migliore aristocrazia napole-
tana, di quella che parteggiava pe’ francesi; allietavano la
riunione le belle dame, spregiatrici di Maria Carolina e
di sua corte.
Qualche anno dopo, nel 1807, l’antico vulcano diè prova
di essere per sempre del tutto estinto, quando, senza un
sussulto, ricevette re Giuseppe alla testa del gaio squadrone
delle dame cacciatrici. Erano le destinate a divenir dame
di corte della regina, la quale non venne mai a Napoli:
aspettandola, faceano compagnia al Re, col quale, la sera,
giocavano al ventuno, andavano alla pesca, alla caccia,
non dandogli mai tempo d’annoiarsi. Erano dodici, fra le
quali, la principessa d’Avellino, la principessa Zurlo, la
principessa d’Avella, la marchesa di Montesarchio, la du-
chessa di Civitella, la duchessa di Monteiasi e la duchessa
di Cassano (’).
*
* *
Ritornano con Ferdinando I i Borboni. E il vecchio
vulcano, paziente, li accoglie. Indifferenti a tutti i cambia-
menti di governi, e quello non dovea essere l’ultimo, sem-
pre le erbe nel suo cratere crescevano nutrendo le bestie,
che liberamente si moltiplicavano fra le sue mura; e sem-
pre in ogni primavera, le violette, umili sotto le querce
e i castagni rigogliosi, spandevano per l’aria il medesimo
profumo sottile. Ma alle mura di Carlo III non era stato
indifferente il tempo, e neanche i guasti de’ contravven-
tori, per modo che Ferdinando II dovè rifarle ricorrendo
all’opera de’ soldati (2).
Dopo il ritorno de’ Borboni, allargati un poco i freni, fu
lecito, se non altro, d’entrare nel bosco, perchè si hanno
notizie di gite ivi fatte. Una nel 1830, ebbe la sorte di
essere poetata da un Ferdinando Ferrari (3): era una co-
lonia di villeggianti alle Due Porte, circa una trentina,
tra cui
Garzon, donzelle, cavalier prestanti
Genitor gravi, giovinetti sposi,
Vedovette da’ cuori affettuosi.
Il poema è in sestine:
Gli scherzi, le avventure, il dilettevole
Pasto, i dolci sospir d’una brigata,
Che degli Astroni al bosco andò festevole
In famosa asinesca cavalcata,
Con facil penna ed umil verso io narro,
Mosso da naturale estro bizzarro;
dice l’autore; ma prima, nella prefazione, dichiara, che è
una frottola scritta pe’ suoi pochi amici, e che non pre-
tende a celebrità di poeta. Stia pur tranquillo su questo
punto: non l’avrà nè anche da una mia esumazione.
*
* *
(1) Diario Napoletano 1798-1826, Ms. presso la SS.
(2) Rosati, Le cacce reali, Napoli, 1871.
(3) Una gita a diporto nel bosco degli Astroni, Poemetto giocoso di
Ferdinando Ferrari, 1830.
(1) Giustiniani, loc. cit.
(2) Siti Reali.
(3) Mémoires du generai Thiébault, Paris, Plon.
NAPOLI NOBILISSIMA
li valutarono 32,000 ducati, e i Gesuiti ebbero in cambio
il feudo di Casolla, che fu ceduto in burgensatico al Col-
legio del Carminello al Mercato U).
Un bando severissimo fu emesso per vietare agli indi-
geni de’ vicini casali, Pozzuoli, Pianura, Soccavo e Anti-
gnano, l’entrata al bosco, non che la caccia: non ne ho
letto il testo, ma dovette essere analogo a quello per
l’isola di Procida, caccia di faggiani, nel quale spigolo:
« 1. Chi ammazza un faggiano o coniglio è condannato
a 500 ducati e 7 anni di presidio chiuso se nobile, 7 anni
di galera se ignobile; 2. È proibito di sparare con scop-
petta a grillo o a miccio in tutto il territorio dell’isola pena
50 ducati di multa e sei mesi di carcere: è permesso di
sparare nell’isola solo nel caso di invasione di corsari
(meno male!); 3. È proibito di molestare con mazze, maz-
zarelle, canne appuntate o spuntute, chiappitela, pietre e di
tener cani: vi può essere nell’isola, un sol cane conse-
gnato al capocaccia, e che deve servire solo al Re per
scovare i conigli dalle tane; 4. Se il contravventore è un
ecclesiastico, le pene si eseguono sui parenti più vicini (!!);
5. Basta per la prova un sol testimone de visu e due de
auditu-, 6. Sono indizii sufficienti per l’applicazione della
tortura penne di faggiano trovate in casa, o l’esser trovato
col fucile in ispalla dopo che s’è udito un colpo (1 2 3). »
Non ostante tutte queste pene, di fronte alle quali quelle
contro gli anarchici sono carezze, a Procida, come agli
Astroni, i contravventori abbondarono, sopra tutto tra gli
ecclesiastici, divenuti così una sciagura nelle rispettive
famiglie. Meglio di qualunque bando, ma anche di poca
efficacia, dovette essere il muro, col quale Carlo III fece
chiudere tutto il ciglio degli Astroni.
Il duca di Bovino, d. Inigo Guevara, cacciatore mag-
giore, provvide a popolare di giovani caprii e cinghiali la
reai caccia ed alla costruzione d’un riposo, che esiste tut-
tora mezzo nascosto dagli alberi nella parte di fronte al-
l’entrata. Nel 1743 si fecero venire da Bovino, dove era
un’altra riserva reale, vacche, capre e bufale, per metter su
agli Astroni una piccola cascina.
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Rifatta, ritornata all’antico splendore, trovarono nel 1799
la vecchia caccia aragonese i francesi, nella magnifica caccia
ad essi offerta (3). Faceva onore ai sospirati conquistatori
una larga rappresentanza della migliore aristocrazia napole-
tana, di quella che parteggiava pe’ francesi; allietavano la
riunione le belle dame, spregiatrici di Maria Carolina e
di sua corte.
Qualche anno dopo, nel 1807, l’antico vulcano diè prova
di essere per sempre del tutto estinto, quando, senza un
sussulto, ricevette re Giuseppe alla testa del gaio squadrone
delle dame cacciatrici. Erano le destinate a divenir dame
di corte della regina, la quale non venne mai a Napoli:
aspettandola, faceano compagnia al Re, col quale, la sera,
giocavano al ventuno, andavano alla pesca, alla caccia,
non dandogli mai tempo d’annoiarsi. Erano dodici, fra le
quali, la principessa d’Avellino, la principessa Zurlo, la
principessa d’Avella, la marchesa di Montesarchio, la du-
chessa di Civitella, la duchessa di Monteiasi e la duchessa
di Cassano (’).
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Ritornano con Ferdinando I i Borboni. E il vecchio
vulcano, paziente, li accoglie. Indifferenti a tutti i cambia-
menti di governi, e quello non dovea essere l’ultimo, sem-
pre le erbe nel suo cratere crescevano nutrendo le bestie,
che liberamente si moltiplicavano fra le sue mura; e sem-
pre in ogni primavera, le violette, umili sotto le querce
e i castagni rigogliosi, spandevano per l’aria il medesimo
profumo sottile. Ma alle mura di Carlo III non era stato
indifferente il tempo, e neanche i guasti de’ contravven-
tori, per modo che Ferdinando II dovè rifarle ricorrendo
all’opera de’ soldati (2).
Dopo il ritorno de’ Borboni, allargati un poco i freni, fu
lecito, se non altro, d’entrare nel bosco, perchè si hanno
notizie di gite ivi fatte. Una nel 1830, ebbe la sorte di
essere poetata da un Ferdinando Ferrari (3): era una co-
lonia di villeggianti alle Due Porte, circa una trentina,
tra cui
Garzon, donzelle, cavalier prestanti
Genitor gravi, giovinetti sposi,
Vedovette da’ cuori affettuosi.
Il poema è in sestine:
Gli scherzi, le avventure, il dilettevole
Pasto, i dolci sospir d’una brigata,
Che degli Astroni al bosco andò festevole
In famosa asinesca cavalcata,
Con facil penna ed umil verso io narro,
Mosso da naturale estro bizzarro;
dice l’autore; ma prima, nella prefazione, dichiara, che è
una frottola scritta pe’ suoi pochi amici, e che non pre-
tende a celebrità di poeta. Stia pur tranquillo su questo
punto: non l’avrà nè anche da una mia esumazione.
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(1) Diario Napoletano 1798-1826, Ms. presso la SS.
(2) Rosati, Le cacce reali, Napoli, 1871.
(3) Una gita a diporto nel bosco degli Astroni, Poemetto giocoso di
Ferdinando Ferrari, 1830.
(1) Giustiniani, loc. cit.
(2) Siti Reali.
(3) Mémoires du generai Thiébault, Paris, Plon.