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NAPOLI NOBILISSIMA
S. Maria delle Grazie a Caponapoli, da chi voglia dimo-
strarmi come maestro Tommaso sapesse anche essere
squisitamente fino senza lasciare di esser vero ed espres-
sivo. Quelle due meravigliose figure di Joannello e di
Lucrezia Candida, scolpite nel suddetto monumento, non
sono opera di Tommaso Malvito seniore, come da tutti
si continua a credere; ma di Giovan Tommaso suo fi-
gliuolo, che si rivela come scultore di figure superiore,
e di molto, al padre (O. I documenti che comprovano
l’attribuzione di quell’opera insigne son di pubblica ragio-
ne; ma perduti di vista (1 2 3 4 5).
Tommaso si dimostra inarrivabile nell’intaglio in mar-
mo, di cui il nostro Soccorpo offre esempii di una perfe-
zione unica. Essi, oltre il gusto col quale i motivi orna-
mentali sono scelti e composti, hanno un che di tagliente
e una disinvoltura di stile, che lo Schulz (3) giustamente
osserva esser lontana dalla eccessiva e ammanierata ele-
ganza degli artisti napoletani del tempo. Anche il Friz-
zoni (4) e più di lui il Burckhardt (5) hanno parole di vera
ammirazione per quel lavoro decorativo; benché il primo
si mostri troppo mal prevenuto contro la statua, che
chiama lavoro poco elevato sia nel concetto sia nell’ese-
cuzione.
Nulla poi dico del Perkins (6 7), che ne definisce cattivo
lo stile, grossolana l’esecuzione, e dei bassorilievi del sof-
fitto dice che son privi d’importanza e di una grande vol-
garità. A chi fosse disposto a credergli consiglierei di ve-
rificare la cosa coi suoi occhi, anche guardando solamente
qualche buona fotografia. Il Burckhardt nemmeno mi pare
che abbia in tutto ragione nel dire che quell’architettura
non ha un organismo severo, che le linee sono troppo gra-
cili e i sostegni troppo decorativi. Per la poca severità son
d’accordo; ma dev’essere severo, domando, quel che non
è nato per esser tale? Se il carattere di quello stile è ap-
punto la leggerezza, anzi la gaiezza e l’eleganza festosa
del risorgimento umanistico e paganeggiante, come può
venir in capo a qualcuno di cercarvi la severità? (7).
(1) Il Pèrcopo (Una statua di Tommaso Malvito ed alcuni sonetti
del Tebaldeo, in Napoli nobilissima, voi. II, 1893, p. io), lo crede infe-
riore e vorrebbe dargli la paternità della statua di Oliviero; ma una
tale supposizione cade da sè dopo rettificati i fatti.
(2) V. Capasso, Appunti per la storia delle arti in Napoli, in Archi-
vio Stor. Nap., 1881, pp. 531 e seg. Filangieri, Documenti etc., voi. Ili,
p. 99 e 100, e voi. IV, pp. 147 e seg.
(3) Denkmaeler der Kunst in Siid-ltalien, III, Neapel, Dresden, 1860,
P- 33 e seg.
(4) Arte italiana del Rinascimento, Milano 1891, p. 56.
(5) Le Cicerone, Paris, 1892, p. 154.
(6) Les sculpteurs italiens, Paris, 1869, voi. Il, p. 180.
(7) Il Bertaux a pag. 23 dell’importantissimo suo lavoro: I mo-
numenti medievali della regione del Vulture (Napoli, 1897, Supplemento
alla Napoli nobiliss., an. VI), scopre un marcato rapporto fra la cripta
del duomo di Acerenza e il nostro Soccorpo. In quella non mancano
Lo Schulz se mostra anch’egli un po’ di rigore sover-
chio, come quando dice che le teste di angeli, messe nei
canti delle figure del soffitto, sono di una pesante model-
lazione di forma, che le figure stesse son condotte con
una certa negligenza, e che anche il volto della statua del
Cardinale ha un carattere alquanto grossolano (’) e non
mostra un vero spirituale raccoglimento, non nega che si
trovi in questa della verità e molta vita, senza le forme
leccate che caratterizzano le opere del Merliano (2).
Quel che in diversi scrittori s’incontra fino ad oggi
circa lo scultore del Soccorpo è ora soverchio ripetere,
ora che un documento viene a confermare la tradizione
e qualche fondato indizio che si aveva, in mancanza di
pruove dirette, che Tommaso Malvito o Sumalvito da
Como fosse l’autore di tutto intiero il monumento (3).
Fra Bernardino non ne scrive il nome che verso la
fine; ma di un solo maistro o capo mastro parla sempre,
e due volte soltanto, la prima a proposito della grata di
ferro intorno all’altare centrale, e l’altra nel descrivere il
pavimento di musaico, accenna ai maìstri, che lavoravano
a quelle due opere, che niente avevano che fare con l’arte
professata da maestro Tommaso. Una terza volta ancora
parla in plurale di quegli experti et dodi laboranti, dei quali
ci fa sapere nella st. 28.“ che lavoravano
in ogni tempo, punti, giorni et hora,
salvo li giorni de magiori sancti...
Ma qui è troppo chiaro che si ha ad intendere per la-
voranti gli apprendisti o garzoni, che sotto la direzione
del maestro o capomastro eseguivano le parti dell’opera
di subordinata importanza, le quali erano a loro affidate.
Fin quando arriva il nostro descrittore alle porte di
bronzo, quasi a prevenire qualche dubbioso, trattandosi di
un lavoro non da marmorario qual era il Malvito, non
manca d’informarci che
quii mastro electo sopra nominato
far queste digne porte è preparato.
le mezze figure di santi ne’ cassettoni del soffitto; salvo che invece
di essere scolpite sono dipinte. Fu costruita, giusta l’iscrizione appo-
stavi dal cardinale Giovanni d’Aragona nel 1524.
(1) « .... etwas plumperer Charakteristik ....»,
(2) Voi. e p. cit.
(3) Il Croce nella sua Lettera aperta al D.r G. Rode. Per la settima
ediz. del « Cicerone » del Burckhardt (in Napoli nobiliss., voi. VI, 1897,
p. 49), non ha mancato di mettere in vista il valore dell’allusione che
si fa alla cappella Carafa in un documento notarile, indicato nel III
volume del Filangieri (Documenti, etc., pag. 88). È un compromesso
col quale Tommaso da Como si obbliga di eseguire in S. Giovanni
a Carbonara, per Francesco Bastiano Recco, una capella in marmo
simile a quella di S. Francesco nell’Annunziata, con lavori e figure
come veggonsi nel Soccorpo del Duomo. Il documento testuale, che
trassi io stesso dal protocollo del 1503-1504 di N.r Francesco Russo,
porta la data de’ 25 luglio 1504, e fu riserbato per pubblicarsi inte
gralmente dal Filangieri nell’illustrazione della chiesa e del con-
vento di S. Giovanni a Carbonara rimasta inedita ed incompiuta.
NAPOLI NOBILISSIMA
S. Maria delle Grazie a Caponapoli, da chi voglia dimo-
strarmi come maestro Tommaso sapesse anche essere
squisitamente fino senza lasciare di esser vero ed espres-
sivo. Quelle due meravigliose figure di Joannello e di
Lucrezia Candida, scolpite nel suddetto monumento, non
sono opera di Tommaso Malvito seniore, come da tutti
si continua a credere; ma di Giovan Tommaso suo fi-
gliuolo, che si rivela come scultore di figure superiore,
e di molto, al padre (O. I documenti che comprovano
l’attribuzione di quell’opera insigne son di pubblica ragio-
ne; ma perduti di vista (1 2 3 4 5).
Tommaso si dimostra inarrivabile nell’intaglio in mar-
mo, di cui il nostro Soccorpo offre esempii di una perfe-
zione unica. Essi, oltre il gusto col quale i motivi orna-
mentali sono scelti e composti, hanno un che di tagliente
e una disinvoltura di stile, che lo Schulz (3) giustamente
osserva esser lontana dalla eccessiva e ammanierata ele-
ganza degli artisti napoletani del tempo. Anche il Friz-
zoni (4) e più di lui il Burckhardt (5) hanno parole di vera
ammirazione per quel lavoro decorativo; benché il primo
si mostri troppo mal prevenuto contro la statua, che
chiama lavoro poco elevato sia nel concetto sia nell’ese-
cuzione.
Nulla poi dico del Perkins (6 7), che ne definisce cattivo
lo stile, grossolana l’esecuzione, e dei bassorilievi del sof-
fitto dice che son privi d’importanza e di una grande vol-
garità. A chi fosse disposto a credergli consiglierei di ve-
rificare la cosa coi suoi occhi, anche guardando solamente
qualche buona fotografia. Il Burckhardt nemmeno mi pare
che abbia in tutto ragione nel dire che quell’architettura
non ha un organismo severo, che le linee sono troppo gra-
cili e i sostegni troppo decorativi. Per la poca severità son
d’accordo; ma dev’essere severo, domando, quel che non
è nato per esser tale? Se il carattere di quello stile è ap-
punto la leggerezza, anzi la gaiezza e l’eleganza festosa
del risorgimento umanistico e paganeggiante, come può
venir in capo a qualcuno di cercarvi la severità? (7).
(1) Il Pèrcopo (Una statua di Tommaso Malvito ed alcuni sonetti
del Tebaldeo, in Napoli nobilissima, voi. II, 1893, p. io), lo crede infe-
riore e vorrebbe dargli la paternità della statua di Oliviero; ma una
tale supposizione cade da sè dopo rettificati i fatti.
(2) V. Capasso, Appunti per la storia delle arti in Napoli, in Archi-
vio Stor. Nap., 1881, pp. 531 e seg. Filangieri, Documenti etc., voi. Ili,
p. 99 e 100, e voi. IV, pp. 147 e seg.
(3) Denkmaeler der Kunst in Siid-ltalien, III, Neapel, Dresden, 1860,
P- 33 e seg.
(4) Arte italiana del Rinascimento, Milano 1891, p. 56.
(5) Le Cicerone, Paris, 1892, p. 154.
(6) Les sculpteurs italiens, Paris, 1869, voi. Il, p. 180.
(7) Il Bertaux a pag. 23 dell’importantissimo suo lavoro: I mo-
numenti medievali della regione del Vulture (Napoli, 1897, Supplemento
alla Napoli nobiliss., an. VI), scopre un marcato rapporto fra la cripta
del duomo di Acerenza e il nostro Soccorpo. In quella non mancano
Lo Schulz se mostra anch’egli un po’ di rigore sover-
chio, come quando dice che le teste di angeli, messe nei
canti delle figure del soffitto, sono di una pesante model-
lazione di forma, che le figure stesse son condotte con
una certa negligenza, e che anche il volto della statua del
Cardinale ha un carattere alquanto grossolano (’) e non
mostra un vero spirituale raccoglimento, non nega che si
trovi in questa della verità e molta vita, senza le forme
leccate che caratterizzano le opere del Merliano (2).
Quel che in diversi scrittori s’incontra fino ad oggi
circa lo scultore del Soccorpo è ora soverchio ripetere,
ora che un documento viene a confermare la tradizione
e qualche fondato indizio che si aveva, in mancanza di
pruove dirette, che Tommaso Malvito o Sumalvito da
Como fosse l’autore di tutto intiero il monumento (3).
Fra Bernardino non ne scrive il nome che verso la
fine; ma di un solo maistro o capo mastro parla sempre,
e due volte soltanto, la prima a proposito della grata di
ferro intorno all’altare centrale, e l’altra nel descrivere il
pavimento di musaico, accenna ai maìstri, che lavoravano
a quelle due opere, che niente avevano che fare con l’arte
professata da maestro Tommaso. Una terza volta ancora
parla in plurale di quegli experti et dodi laboranti, dei quali
ci fa sapere nella st. 28.“ che lavoravano
in ogni tempo, punti, giorni et hora,
salvo li giorni de magiori sancti...
Ma qui è troppo chiaro che si ha ad intendere per la-
voranti gli apprendisti o garzoni, che sotto la direzione
del maestro o capomastro eseguivano le parti dell’opera
di subordinata importanza, le quali erano a loro affidate.
Fin quando arriva il nostro descrittore alle porte di
bronzo, quasi a prevenire qualche dubbioso, trattandosi di
un lavoro non da marmorario qual era il Malvito, non
manca d’informarci che
quii mastro electo sopra nominato
far queste digne porte è preparato.
le mezze figure di santi ne’ cassettoni del soffitto; salvo che invece
di essere scolpite sono dipinte. Fu costruita, giusta l’iscrizione appo-
stavi dal cardinale Giovanni d’Aragona nel 1524.
(1) « .... etwas plumperer Charakteristik ....»,
(2) Voi. e p. cit.
(3) Il Croce nella sua Lettera aperta al D.r G. Rode. Per la settima
ediz. del « Cicerone » del Burckhardt (in Napoli nobiliss., voi. VI, 1897,
p. 49), non ha mancato di mettere in vista il valore dell’allusione che
si fa alla cappella Carafa in un documento notarile, indicato nel III
volume del Filangieri (Documenti, etc., pag. 88). È un compromesso
col quale Tommaso da Como si obbliga di eseguire in S. Giovanni
a Carbonara, per Francesco Bastiano Recco, una capella in marmo
simile a quella di S. Francesco nell’Annunziata, con lavori e figure
come veggonsi nel Soccorpo del Duomo. Il documento testuale, che
trassi io stesso dal protocollo del 1503-1504 di N.r Francesco Russo,
porta la data de’ 25 luglio 1504, e fu riserbato per pubblicarsi inte
gralmente dal Filangieri nell’illustrazione della chiesa e del con-
vento di S. Giovanni a Carbonara rimasta inedita ed incompiuta.