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O. MARUCCHI
Io ragionai di questa congettura del Levison con alcuni amici
e colleghi ed in special modo con il dotto collaboratore del nostro
JBullettino Comm. Pio Franchi de’ Cavalieri. Egli pure (come
avevano fatto prima il Gatti ed il Grisar) accettò la mia tesi che
cioè le copie dei due codici Yirdunense e Cambridgense dipen-
dano da due originali diversi e che quella di C sia una copia
fatta da Simmaco deìla iscrizione di Fe che questa ultima senza
dubbio si riferisca a S. Pietro; ma inoltre il Franchi mi acceunò
al pensiero che la spiegazione del Levison possa accettarsi nel
senso che la iscrizione di C fosse un adattamento fatto da Sim-
raaco, il quale avrebbe applicato alFarcangelo un testo che in
origine era stato composto per l’apostolo.
lo mi posi subito allo studio di questo nuovo punto della
questione, e da tale studio mi sono formato la convinzione che
la cosa è veramente così.
In primo luogo è certo che in tempo di decadenza e povertà
letteraria, quale era il periodo del quinto e del sesto secolo,
eravi l’uso di adattare iscrizioni preesistenti trasportandole
con qualche variante ad altro significato. E così la iscrizione
citata di sopra Cede prius nomen novitati cede vetustas posta ai
tempi di Sisto III nella basilica eudossiana in Roma, non solo
fu copiata in Africa, come g'ià dissi, ma ivi con alcuni cam-
biamenti venne applicata ad un senso diverso L
Ma proprio Simmaco fece un simile adattamento di iscri-
zioni e ce ne fa testimonianza lo stesso codice di Cambridge.
Ivi è riportata l’epigrafe metrica Justitiae sedes fidei cìomus aula
pudoris la quale stava senza alcun dubbio nell'abside della ba-
silica vaticana (secondo la testimonianza delle altre sillogi) e
1 Per convincere cli ciò mi basterà di citare le parole scritte dal
De Eossi quando fece rilevare i cambiamenti introdotti nel carme romano
ricopiato in Africa. « Evidente è la ragione di queste goifagini : le parole
mutate ed omesse parlano di Sisto III e non erano applicabili al caso
déll’edificio africano ». Bull. d’arch. crist., 1878, pag. 17.
O. MARUCCHI
Io ragionai di questa congettura del Levison con alcuni amici
e colleghi ed in special modo con il dotto collaboratore del nostro
JBullettino Comm. Pio Franchi de’ Cavalieri. Egli pure (come
avevano fatto prima il Gatti ed il Grisar) accettò la mia tesi che
cioè le copie dei due codici Yirdunense e Cambridgense dipen-
dano da due originali diversi e che quella di C sia una copia
fatta da Simmaco deìla iscrizione di Fe che questa ultima senza
dubbio si riferisca a S. Pietro; ma inoltre il Franchi mi acceunò
al pensiero che la spiegazione del Levison possa accettarsi nel
senso che la iscrizione di C fosse un adattamento fatto da Sim-
raaco, il quale avrebbe applicato alFarcangelo un testo che in
origine era stato composto per l’apostolo.
lo mi posi subito allo studio di questo nuovo punto della
questione, e da tale studio mi sono formato la convinzione che
la cosa è veramente così.
In primo luogo è certo che in tempo di decadenza e povertà
letteraria, quale era il periodo del quinto e del sesto secolo,
eravi l’uso di adattare iscrizioni preesistenti trasportandole
con qualche variante ad altro significato. E così la iscrizione
citata di sopra Cede prius nomen novitati cede vetustas posta ai
tempi di Sisto III nella basilica eudossiana in Roma, non solo
fu copiata in Africa, come g'ià dissi, ma ivi con alcuni cam-
biamenti venne applicata ad un senso diverso L
Ma proprio Simmaco fece un simile adattamento di iscri-
zioni e ce ne fa testimonianza lo stesso codice di Cambridge.
Ivi è riportata l’epigrafe metrica Justitiae sedes fidei cìomus aula
pudoris la quale stava senza alcun dubbio nell'abside della ba-
silica vaticana (secondo la testimonianza delle altre sillogi) e
1 Per convincere cli ciò mi basterà di citare le parole scritte dal
De Eossi quando fece rilevare i cambiamenti introdotti nel carme romano
ricopiato in Africa. « Evidente è la ragione di queste goifagini : le parole
mutate ed omesse parlano di Sisto III e non erano applicabili al caso
déll’edificio africano ». Bull. d’arch. crist., 1878, pag. 17.