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Niccolini, Fausto; Niccolini, Felice
Le case ed i monumenti di Pompei disegnati e descritti (Band 1) — Neapel, 1854

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https://doi.org/10.11588/diglit.3926#0197
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4 CASA DETTA DEI CAPITELLI COLORATI

Quaranta. Non entrò il primo nella spiegazione della favola di Ciparisso, rappresentata nel dipinto,
diffusamente invece fu dal secondo trattata. Ora essendo questo un dipinto che non solo per la bellezza
dell'arte primeggia, ma bene pure per la varietà del subietto e da annoverarsi fra i più importanti
dissotterrati in Pompei. Così si fa a descriverlo il Quaranta: In mezzo ad un campo, dove sorgono
molti bruni cipressi, siede sopra una quadrata base un vago giovine,, cui fan vedere stanco dalla
caccia i due giavellotti che stringe mollemente nella manca mano. Gli sta sdraiato dappresso un cervo,
ed al di dietro un vago giovine il quale è indubitatamente un Apollo; e tale lo dichiarano l'alloro
ed il nimbo che gli circondano il capo, l'azzurra clamide, gentilmente affibbiata su gli omeri, gli
aurei coturni che ha ai piedi, e la lira, ed un ramo anche di alloro, che porta nelle mani.

Inoltre convien dire che anche a lui si appartenga il turcasso deposto sul tetto che copre la
piccola stanzetta che gli è alle spalle, destinata forse a ricovero di quel cervo, come pure il tripode
che sorge sopra altra base non molto lungi, e che tutto quello spazio, come sacro al nume del canto,
chiaramente ci addita 3.

Dopo aver così descritta questa importante pittura, osserva il citato commendatore Quaranta che
è facile comprendere come questo dipinto rappresenti la favola di Ciparisso, perciocché narravasi
come Ciparisso, figliuolo di Telcfo, avendo preso riposo sotto l'ombra di un albero, destosi di repente,
ucciso avesse un cervo mansueto che gli era carissimo; alla quale sventuca non potendo sopravvivere,
ottenuto avesse da Apollo, che assai lo amava, di essere trasformato in cipresso, ed in fatti nel
dipinto scorgiamo Apollo aver deposto l'arco appressandosi al cervo, tenendo la sola cetra ed un ramo
di alloro, forse per offerirlo al cervo ferito; e quel cipresso che spunta dalla fronte del vaghissimo
giovane, è indizio della sua cominciata metamorfosi.

Splendida, sopra tutte le altre di questa casa, è la pittura, nella medesima stanza rinvenuta,
rappresentante Galatea, e che perciò facemmo sopra più ampia scala ritrarre con l'antica vivezza dei
suoi colori, nella tavola IV. Aggiungere parole a dimostrare le bellezze di questa insigne pittura è
inutile opera, quando il lettore può valutarne gì'infiniti pregi nella copia fedele da noi qui prodotta.
Nulla davvero possono le parole aggiugnere al bello di quest'opera d'arte, e non vi è dubbio alcuno
che in essa non sia rappresentata la madre d'Amore che valica il mare, assisa mollemente su la
groppa di un tritone, e corteggiata da una vaga nercide e da tre vaghissimi amorini, i quali piacque
agli archeologi chiamarli Eros, hncvos, e Pothos. Ben a ragione fu scritto essere tanta la bellezza
della invenzione, tanto il magistero e la grazia con la quale sono disposte e condotte le figure in
questo dipinto, che direbbesi che la stessa dea del terzo cielo ne avesse ispirato all'artista il concetto,
e direttone il pennello, e qui vogliami dire di quell'artista che ne concepiva la prima volta il pensiero,
perocché il nostro pompeiano dipinto certamente è da credere che altro non sia che una copia ;
maestrevolmente eseguita, di una delle più vaghe e più leggiadre opere dell'antichità, uscita dal
pennello di un sovrano artefice.

Se non così splendidi, pure assai pregevoli sono da notarsi da ultimo i due dipinti ricopiati
nella parte superiore della tav. Ili, il primo rinvenuto nel triclinio, fu riacquistato alle arti, ma non
intero, esso abbenchè frammentato, ci mostra Apollo, o il Sole, sedente. L'arco e la faretra vota del
nume, riversa, avvolta ancora dalla fascia per la quale sospendeasi, giacciono a terra. Una giovane
donna con tunica verdastra, con manto paonazzo, e con un serto di rose candide e porporine in testa,
ed un altro nella sinistra, siede al fianco di Apollo, mentre posa la dritta sul dorso del sedile. Par
che una terza figura occupar dovesse l'altro lato del quadro, ma caduto l'intonaco, appena da un
lembo del panneggiamento se ne può argomentare la presenza. Qual mai sarà stato l'argomento che
ispirò all'artista questo dipinto? Invero non è facile il dirlo. Pur tuttavolta non è certo da obbliare,
a questo proposito, la spiegazione che ne dava il chiaris. Raffaele Liberatore. Questo egregio uomo
adunque illustrando il dipinto del quale è parola,, pensò che il pittore avesse voluto esprimere nelle
due figure che ci rimangono, il Sole e l'Ora di primavera, e però, secondo il Liberatore, l'artista
diede all'uno quel nimbo trasparente ed azzurrino, il quale rende somiglianza del colore del cielo
in quella stagione, diegli verde il mantello per alludere all'inverdire delle piante e della campagna,
ed in fine gli tolse le frecce, e riversò il turcasso, come a dinotare che non hanno allora forza di
ferire i suoi raggi, e proseguendo l'autore, dice che l'artefice die poi all'altra figura non solo tutta
quella freschezza che al giovinetto anno appartiene, ma corona di rose, e serto di fiori in mano,
comunissimi insegne di primavera. i Se alcuno potrà forse dire avventata questa divinazione del
chiarissimo Liberatore, non potrà dire però ch'essa non sia squisitamente ingegnosa.

3 Mus. cit. voi. Xll tav. II. * Mus. cit. voi. XI, tav. XXXIII.
 
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