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2 FORME IN GESSO

dal Vesuvio; essi la vedevano dalle strade, dal l'oro, dalle loro terrazze. Tutti avrebbero potuto salvarsi,
se fossero l'uggiti a tempo. I più savj o i più timidi si sottrassero infatti alla morte, gli altri vollero
aspettare , ehiudendosi nelle loro case. Chi può dir mai che cosa sia allora avvenuta ? Chi può mai
pensare che cosa consigliassero a quegl' infelici la paura e la disperazione ? Ben tosto le tenebre che
ravvolsero la città e la campagna , i lapilli e le scorie ardenti che con gran fracasso cadevano su i
tetti , fecero loro credere che il mondo ritornava al caos. Quando si vide che gli atrj e le strade
scomparivano sotto 1' alto strato di lapillo, che le colonne e i muri minacciavan rovina, la paura di
rimaner sepolti vivi determinò un'altra parte di Poinpejani a prender la fuga. Guanciali o stoffe ripiegate
proteggevano la loro testa contro la pioggia dei lapilli: lucerne e torcic mal rischiaravano la loro corsa
precipitosa. I cittadini, dice Cassio Dione, fuggivano nella campagna, quei della campagna riparavano nella
città. E Plinio il giovine aggiunge: « udivansi ululati di femmine, strida di fanciulli, clamori di uomini;
altri i genitori, altri i figliuoli, altri gli sposi chiamando o cercando di conoscere dalle voci; chi il proprio
fato, chi commiscrando l'altrui; ed eranvi di coloro, che per lo spavento della morte, la morte stessa
invocavano. Molti levavano supplichevoli le mani agli dèi; molti, ed erano in maggior numero, stimando
che gli dèi più non esistessero, reputavano quella l'eterna ed ultima notte. Né mancavano coloro, che
spacciando notizie di terrore, i veri pericoli aumentavano; e quelli, che il falso annunziando ai creduli,
dicevano che anche in Miscno era accaduto lo stesso, e che tutto vi era rovinato e distrutto dalle fiamme ».
In una parcla, come avviene in tutte le grandi calamità pubbliche, l'istinto aveva preso il luogo della
ragione; opperò bisogna rinunziare a divinare i disegni e i calcoli di una popolazione pazza di terrore.

La pioggia di cenere dovette con molta probabilità seguire immediatamente alla caduta dei lapilli,
poiché sopraggiunse ed allogò per via molti infelici, che usciti dalle case, dove a fatica avevano scampata
la furia dei sassi, tentavano di salvarsi con la fuga. Cadde la cenere tanto fitta e in tanta abbondanza, che,
compressa e indurita dall' acqua, ha lasciato sopra Pompei uno strato alto ragguaghatameute un metro e
mezzo; onde si può giudicare, che sciolta salisse oltre ai due metri. E diciamo ragguagliatamente, perchè
nel più alto punto della città se ne trova circa un metro; più giù sopra al sepolcro di Arrio Diomede ve
n'ha quasi uno e mezzo, e nei luoghi infimi, come presso la porta Stabiana, se ne misurano due
metri buoni. La qual cosa è naturalmente accaduta per effetto delle piovane, che spianarono e trasportarono
a basso una gran parte di cenere, prima che fosse rassodata. E che la cenere fosse caduta mista alle
piovane, lo conferma anche il fatto delle impronte: che, se la cenere non si fosse presto indurita, non
avrebbe serbate le forme dei corpi fresche e sode da parer calcate sopra uomini vivi; quando è noto
che 1 cadaveri, passato appena qualche giorno, cominciano ad avere il ventre gonfio e le membra
stremate e illanguidite dalla putrefazione.

Le vittime, in rapporto del numero degli scheletri sinora rinvenuti, si possono st mare in tutto da
seicento a settecento; sicché degli abitanti di Pompei, che secondo il credibilissimo computo del Fiorelli
sommavano circa dodicimila, la massima parte scamparono, fuggendo a piedi, a cavallo o sopra carri.
Il 19 aprile del 1748 l'Alcubierre segna così nel giornale officiale degli scavi la scoperta del
primo scheletro: Ilavietulose descubietio un muerto esiti mattana entre ci rapilo y la tterra, vale a dire
« essendosi scoperto questa mattina un morto tra il lapillo e la terra ». Laconismo questo assai deplorevole
per chi voglia rivolgere la sua indagine alla sorte di quei poveri sepolti! A quella guisa stessa che i
magistrati , (piando un delitto è stato commesso , portano il loro esame su tutto ciò che circonda il
il cadavere e constatano i particolari più futili, poiché questi particolari possono denunziare il colpevole,
così coloro che in diverse epoche furon preposti agli scavi di Pompei, e' istruirebbero non poco, se
avessero accuratamente descritta ciascuna scoperta di tal genere, notando la posizione dei corpi, il luogo
del trovamento , lo stato delle rovine o del suolo, in una parola tutte le circostanze , che potessero
contenere qualche insegnamento. Sventuratamente nulla di tutto questo troviamo in quel giornale officiale
degli scavi, e solo vediamo talora sostituita la parola scheletro alle parole cranio con ossa ! Nondimeno
recenti studj e ricerche ci mettono in grado di conoscercre i diversi generi di morte incontrata dagl'infelici
Poinpejani, e di argomentare in conseguenza i fenomeni che distrussero particolarmente Pompei. Innanzi
tutto non è da pensare a lava, che il Vesuvio abbia allora gettata, nò ad un grande e generale incendio
appiccato a tutta la città dalle pomici e dalla cenere ardente eruttate dal monte. Coloro che han creduto
di veder lava in Ercolano, oltre all'esser caduti in un grosso errore di fatto, non avvertirono che la
lava fusa e corrente non suole aver meno di mille gradi di calore, dalla cui veemenza sarebbero stati
inceneriti i muri e i dipinti, calcinati i marmi e fusi i vetri e i bronzi, che per contrario si vedono
tutti intattissimi. Più difficile e più avviluppata è veramente la questione dcgl'incendj, nella quale spesso
intervengono fatti a prima vista inesplicabili o ripugnanti tra loro. L'opinione però che il luoco abbia
distrutta la sventurata città , è manifestamente dimostrata falsa dalle considerazioni seguenti. Innanzi
tutto le ceneri minutissime, le pomici (pietre per loro natura disadatte a conservar lungamente il calore)
e i sassi di piccolo volume, se pure fossero usciti roventi dal monte, trascorrendo in aria, a dir poco,
dieci chilometri, comunque stivati in una fittissima nuvola, non è credibile che giungessero in modo
infocati da suscitare un incendio. In secondo luogo nessun legno, nessun frutto, nessuna tela si trova
o tutta o parte incenerita, che sarebbe il segno e 1' effetto più certo dell'arsione; si trovano invece le
materie combustibili generalmente ridotte in carbone, e la carbonizzazione non si produce in un modo
 
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