Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

Ehrle, Franz [Hrsg.]; Bufalini, Leonardo [Hrsg.]; Bufalini, Leonardo [Ill.]
Le piante maggiori di Roma dei sec. XVI e XVII: riprodotte in fototipia (Band 1): Roma al tempo di Giulio III: la pianta di Roma di Leonardo Bufalini del 1551, riprodotta dall' esemplare esistente nella Biblioteca Vaticana — Roma, 1911

DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.25719#0030
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
26

Introduzione

grafico, nell’indicazione dei colli e delle valli, la stessa diligenza nel mettere ciascun oggetto al
suo posto, e nella distanza voluta rispetto ag'li altri vicini, sì da ottenere di tutto una immagine
vera e giusta. Finalmente ambedue le piante sono molto lontane dalla maniera poco seria, anzi
fantastica, delle piante pubblicate quasi contemporaneamente colla Bufaliniana da Giov. Oporino
nel 1551 e principalmente da Pirro Ligorio nel 1553. Anzi questa ultima viene stigmatizzata non
senza fondamento dal Marliano stesso come ciarlatanesca e ispirata dalla ignoranza e dalla curio-
sità del volgo. Al contrario vediamo il Marliano e il Bufalini tenersi nei loro disegni ai criteri
strettamente scientifici, con tutta la sobrietà e la serietà possibile. Essi disegnavano le vestigia di
Roma antica, come le vedevano, senza aggiungere o completare alcuna cosa.

Però nonostante la grande somiglianza e l’intima connessione fra le due piante, si potrebbe
dire, che non è lecito derivare senz’ altro tutti i pregi della pianta del Bufalini da quelli della
Marlianiana. Poiché è possibile supporre che ambedue si siano aiutati con disegni o stampati o
fatti a mano, i quali probabilmente già nei primi decenni del secolo xv erano fra gli archeologi
Romani come un patrimonio comune. Inoltre giova ricordare che il Bufalini, come attesta il Conte
Savorgnan, aveva già nella primavera del 1548 terminato la misurazione ed il disegno della città
e che nel 1544 l’aveva già cominciata almeno. - Ma contro tale ragionamento si può rispondere
che di questi pretesi disegni non apparisce alcuna traccia, se togliamo la piccola pianta della edizione
italiana della Antichità del Fauno. 1 Questa, nelle sue linee generali e nel disegno corografico
assomiglia moltissimo alla Marlianiana, ma ha una diversa orientazione. Essa mostra in alto
Porta Latina ed Ostiense colla Piramide di Cestio, alla destra il Vivario, alla sinistra il Gianicolo,
in basso Porta del Popolo ed il Vaticano. Del resto tale pianta manca nella meschina prima edizione
del Marliano del 1534 e non si trova neppure in quella bellissima del Fulvio del 1527. Ad arric-
chire le opere archeologiche di tali disegni, occorreva l’impulso dato, alcun tempo dopo, da Antonio
Salamanca e da' Antonio Lafréry. Se dunque non si può negare, che la pianta del Marliano possa
avere avuto qualche influsso sulla pianta Bufaliniana, questo influsso non deve essere esagerato,
tanto più che la prima pianta non presenta in ogni modo che un meschino embrione della seconda,
di maniera che, se si deve parlare di un maestro e di uno scolaro, abbiamo certamente a fare con
un scolaro, che superò di molto il suo maestro.

Ed in fatti il Bufalini proseguì, allargò e perfezionò coi mezzi migliori del suo tempo il
lavoro geodetico della pianta Marlianiana, di maniera che la piantina di mill. 306X464 del 1544
diventò, nel 1551, una pianta di quasi due metri di larghezza e un metro e mezzo di altezza,
composta da dodici fogli, ciascuno di- mill. 495X350 e di quattro striscie di mill. 495X132. Pari
alla grandezza della nuova pianta fu naturalmente anche la ricchezza dei disegni archeologici e
topografici ivi contenuti. E qui tocchiamo un nuovo lato dell’oggetto, che stiamo per illustrare:
l’archeologia e la topografia tanto classica e medievale, quanto cinquecentesca della nostra pianta.

Non vi è alcuno indizio che il Bufalini sia stato un archeologo, anzi molti indizi mostrano che
non fu tale. Poiché, come lo provano con evidenza le numerosissime leggende della sua pianta,
egli ignorava il latino, anzi scriveva a stento e senza correttezza perfino la sua lingua materna.
Con ciò non voglio negare che egli abbia avuto col latino quella familiarità che, specialmente
a Roma, fin alla generazione che sta per sparire, fu tanto comune; familiarità, che, sebbene
lontana dalle regole della grammatica, permetteva nondimeno al popolano d’afferrare con una
certa sveltezza brevi frasi ed espressioni latine e di maneggiarle con discreta facilità. Di questo

1 Lucio Fauno | Delle antichità | della città di
Roma | raccolte e scritte da M. Lucio Fauno con somma
breuità \ et ordine, con quanto gli Antichi ò Moderni \

scritto ne hanno, Libri V. SuH’ultima pag. : In Venetia per
Michele Tramessino. \ MDXLVIII. La pianta, di 195 X 148
millim., si trova fra la tavola ed il primo foglio.
 
Annotationen