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Tasso, Torquato
La Gerusalemme liberata — Venedig, 1745

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https://doi.org/10.11588/diglit.5052#0291
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DECIMO.
XIV.
Loda il vecchio i suoi detti : e perchè 1' aura
Notturna avea le piaghe incrudelite ,
Un suo licor v* indilla, onde riltaura
Le forze, e salda il sangue e le ferite.
Quinci veggendo ornai, ch'Apollo inaura
Le rose, che l'aurora ha colorite j
Tempo è , dille, al partir ; che già ne scopre
Le sìrade il Sol, ch'altrui richiama all'opre.
xv.
E sovra un carro suo, che non lontano
Quinci attendea, col fier Niceno ei siede :
Le briglie allenta, e con maestra mano
Ambo i corsieri alternamente flede.
Quei vanno sì che '1 polveroso piano
Non ritien della ruota orma, o del piede.
Fumar gli vedi, ed anelar nel corso,
E tutto biancheggiar di spuma il morso.
XVI.
Meraviglie dirò : s' aduna, e stringe
L' aer d'intorno in nuvolo raccolto ,
Sicché 1 gran carro ne ricopre e cinge -,
Ma non appar la nube, o poco, o molto:
Ne sasso, che murai macchina spinge,
Penetreria per lo suo chiuso e folto.
Ben veder ponno i duo dal cavo seno
La nebbia intorno, e fuori il ciel sereno.
XVII.
Stupido il cavalier le ciglia inarca ,
Ed increspa la fronte, e mira fìso
La nube, e '1 carro eh' ogni intoppo varca
Veloce sì, che di volar gli è avviso.
L'altro, che di stupor l'anima carca
Gli seorge all' atto dell' imniobi 1 viso ,
Gli rompe quel silenzio, e lui rappella ;
Ond' ei si seote, e poi così favella.
( ii9 )
 
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