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per non che usavano ancora Lucilio e Varrone.*)
. Non s'intendo dunque perchè i parecchi dotti in-
terpreti senza vedere qui rò nàg nodóg, si siano
affannati a cercarvi ciò che non può esservi.
Dal fin qui detto già apparisce chiaro il signi-
ficato di questa riga, ben diverso da quello che
apparve a tutti gli altri interpreti, e possiamo
quindi studiare in questa nuova luce la voce einom
che è la sola di tutta la riga in cui possa trovarsi
qualche difficoltà. Questo einom dal primo e da
altri interpreti fu ravvicinato alle voci umbre enom,
ennom, eine e all' osco inim e tradotto quindi per
et o igitur o itaque o mine. La cosa parve così
certa al Buecheler che senza esitare registrò nel
suo Lexicon italicum questo einom latino allato
alle voci italiche sopra riferite. Solo il Pauli ri-
cusò tale idea, criticandola a lungo e minutamente,
ma con debole conclusione e per sostituirvi un
suo ei nom che vorrebbe dire i nunc, sul quale è
inutile qui trattenerci. Veramente, convien dire che
il significato che per questa riga risulta da quanto
abbiamo osservato, non esclude affatto la interpre-
tazione di einom sopra riferita e potrei perfetta-
mente accettar questa, interpungendo prima anziché
dopo einom. Ma confesso che quella interpreta-
zione è una di quelle novità troppo nuove che mi
ripugna di ammettere in un testo che non offre nulla
di tanto remoto ;2) nò vane certamente sono tutte
le osservazioni linguistiche del Pauli circa la dif-
ficoltà di ammettere un passaggio da un più an-
tico einom al più recente enim; a questo conviene
aggiungere la inverisimiglianza che sorge dalla
troppo grande novità nel significato e nell'uso sin-
tattico di questo antico einom confrontato con
enim. C è poi anche da tener conto deli' armonia
e del ritmo della frase ; la sua struttura ci fa sen-
tire che manom einom stanno in quello stesso rap-
porto in cui stanno die noine e ci spinge a rico-
noscere in einom un accusativo che si accorda con
manom. La sola parola latina che si presti a ciò,
convenendo pel senso e approssimandosi per la
forma è oinom. Oinos è invero la più antica forma
conosciuta eli unus, nè certamente io tenterei di
provare che questa possa essere stata preceduta
da una più antica cinos che fosse tuttora in uso
all'epoca di questa iscrizione quando già si usava
noinos. Penserei piuttosto ad un errore commesso,
') Cfr. Corssen, Ausspr. Vocalism. ecc. I, p. 702.
s) Biferirsi all' inom della problematica iscrizione C. I. L.
I, 194, è come voler rischiarare il buio colle tenebre.
come più altri, dall'autore dell'iscrizione che an-
che qui si' rivela non romano. Egli scrisse erronea-
mente einom per oinom come nella prima riga
scrisse et per at; e c'è anche neh'e un segno ag-
giunto che accenna a correzione. Tale spiegazione
di einom mi pare assai men dura ad ammettere
e men remota che Yaltra in cui si fanno intervenire
l'umbro e l'osco. Quanto al senso, en manom vuol
dire in bonum cioè " a buon fine „ come ha già
ben riconosciuto il Pauli, ed a questo si aggiunge
unum in senso limitativo e avverbiale di solo,
soltanto ; nè in tutto ciò c' è nulla che si allontani
gran fatto dall'uso latino a noi noto.
Quanto a statod, non c' è altro da notare se non
il fatto già da tutti gli altri avvertito e che ri-
man sempre un fatto in qualunque interpretazione,
quello cioè dell'uso transitivo di sto. Quest'uso
naturalmente si connette con uno special signifi-
cato del verbo; Buecheler, secondo la sua inter-
pretazione, vi trovò il significato di sisto ; ora ve-
diamo che è piuttosto quello di statuo.
Questa riga dice adunque, ridotta in comun la-
tino " D venus me fecit in bonum unum ; die nullo
me malo statue. „ Dvenos non è l'autore del vaso,
chè non varrebbe la. pena di segnarvi il nome di
chi lo fece, ma è l'autore del contenuto il cui ef-
fetto è detto nella prima riga esser così miraco-
loso. Ma di questo effetto ■ si poteva abusare, e
Dvenos avverte aver fatto quel farmaco segreto
soltanto a buon fine, perchè la ragazza se ne gio-
vasse ad esser nitens e comis e nulla più ; la esorta
quindi a non destinarlo mai a fine cattivo, impie-
gando male, come ben s'intende, l'attraenza per
quello ottenuta.
E così vediamo che queste due righe offrono un
senso chiaro e distinto, frasi che non hanno nulla
di strano o di deforme nella loro composizione,
parole che non contengono arcaismi incredibili e
antidiluviani, ma trovansi nei limiti della latinità
arcaica a noi nota dagli scrittori e dai monumenti
superstiti ; talché quella spaventevole enciclopedia
di novità d'ogni specie che parve ad altri dover
riconoscere in questa epigrafe oggi si riduce a
poca cosa.
Dallo spiegarsi poi queste due righe secondo le
ordinarie leggi della prisca latinità a noi già nota e
senza alcuna violenza tanto più evidente riesce la
diversità del linguaggio in cui è concepita la terza
per non che usavano ancora Lucilio e Varrone.*)
. Non s'intendo dunque perchè i parecchi dotti in-
terpreti senza vedere qui rò nàg nodóg, si siano
affannati a cercarvi ciò che non può esservi.
Dal fin qui detto già apparisce chiaro il signi-
ficato di questa riga, ben diverso da quello che
apparve a tutti gli altri interpreti, e possiamo
quindi studiare in questa nuova luce la voce einom
che è la sola di tutta la riga in cui possa trovarsi
qualche difficoltà. Questo einom dal primo e da
altri interpreti fu ravvicinato alle voci umbre enom,
ennom, eine e all' osco inim e tradotto quindi per
et o igitur o itaque o mine. La cosa parve così
certa al Buecheler che senza esitare registrò nel
suo Lexicon italicum questo einom latino allato
alle voci italiche sopra riferite. Solo il Pauli ri-
cusò tale idea, criticandola a lungo e minutamente,
ma con debole conclusione e per sostituirvi un
suo ei nom che vorrebbe dire i nunc, sul quale è
inutile qui trattenerci. Veramente, convien dire che
il significato che per questa riga risulta da quanto
abbiamo osservato, non esclude affatto la interpre-
tazione di einom sopra riferita e potrei perfetta-
mente accettar questa, interpungendo prima anziché
dopo einom. Ma confesso che quella interpreta-
zione è una di quelle novità troppo nuove che mi
ripugna di ammettere in un testo che non offre nulla
di tanto remoto ;2) nò vane certamente sono tutte
le osservazioni linguistiche del Pauli circa la dif-
ficoltà di ammettere un passaggio da un più an-
tico einom al più recente enim; a questo conviene
aggiungere la inverisimiglianza che sorge dalla
troppo grande novità nel significato e nell'uso sin-
tattico di questo antico einom confrontato con
enim. C è poi anche da tener conto deli' armonia
e del ritmo della frase ; la sua struttura ci fa sen-
tire che manom einom stanno in quello stesso rap-
porto in cui stanno die noine e ci spinge a rico-
noscere in einom un accusativo che si accorda con
manom. La sola parola latina che si presti a ciò,
convenendo pel senso e approssimandosi per la
forma è oinom. Oinos è invero la più antica forma
conosciuta eli unus, nè certamente io tenterei di
provare che questa possa essere stata preceduta
da una più antica cinos che fosse tuttora in uso
all'epoca di questa iscrizione quando già si usava
noinos. Penserei piuttosto ad un errore commesso,
') Cfr. Corssen, Ausspr. Vocalism. ecc. I, p. 702.
s) Biferirsi all' inom della problematica iscrizione C. I. L.
I, 194, è come voler rischiarare il buio colle tenebre.
come più altri, dall'autore dell'iscrizione che an-
che qui si' rivela non romano. Egli scrisse erronea-
mente einom per oinom come nella prima riga
scrisse et per at; e c'è anche neh'e un segno ag-
giunto che accenna a correzione. Tale spiegazione
di einom mi pare assai men dura ad ammettere
e men remota che Yaltra in cui si fanno intervenire
l'umbro e l'osco. Quanto al senso, en manom vuol
dire in bonum cioè " a buon fine „ come ha già
ben riconosciuto il Pauli, ed a questo si aggiunge
unum in senso limitativo e avverbiale di solo,
soltanto ; nè in tutto ciò c' è nulla che si allontani
gran fatto dall'uso latino a noi noto.
Quanto a statod, non c' è altro da notare se non
il fatto già da tutti gli altri avvertito e che ri-
man sempre un fatto in qualunque interpretazione,
quello cioè dell'uso transitivo di sto. Quest'uso
naturalmente si connette con uno special signifi-
cato del verbo; Buecheler, secondo la sua inter-
pretazione, vi trovò il significato di sisto ; ora ve-
diamo che è piuttosto quello di statuo.
Questa riga dice adunque, ridotta in comun la-
tino " D venus me fecit in bonum unum ; die nullo
me malo statue. „ Dvenos non è l'autore del vaso,
chè non varrebbe la. pena di segnarvi il nome di
chi lo fece, ma è l'autore del contenuto il cui ef-
fetto è detto nella prima riga esser così miraco-
loso. Ma di questo effetto ■ si poteva abusare, e
Dvenos avverte aver fatto quel farmaco segreto
soltanto a buon fine, perchè la ragazza se ne gio-
vasse ad esser nitens e comis e nulla più ; la esorta
quindi a non destinarlo mai a fine cattivo, impie-
gando male, come ben s'intende, l'attraenza per
quello ottenuta.
E così vediamo che queste due righe offrono un
senso chiaro e distinto, frasi che non hanno nulla
di strano o di deforme nella loro composizione,
parole che non contengono arcaismi incredibili e
antidiluviani, ma trovansi nei limiti della latinità
arcaica a noi nota dagli scrittori e dai monumenti
superstiti ; talché quella spaventevole enciclopedia
di novità d'ogni specie che parve ad altri dover
riconoscere in questa epigrafe oggi si riduce a
poca cosa.
Dallo spiegarsi poi queste due righe secondo le
ordinarie leggi della prisca latinità a noi già nota e
senza alcuna violenza tanto più evidente riesce la
diversità del linguaggio in cui è concepita la terza