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143

THAPSOS

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tradizione del banchetto funebre ; anzi essa si esplica
in modo così fastoso, come mai erasi prima osservato.
Non vi fu sepolcro, si può dire, che non abbia dato
avanzi del bacino colossale per liquidi, tazze ad alto
manico per attingere ad esso, e bacini ad alto gambo
per sostenere le vivande collocate davanti ai morti.
Ad accompagnamento dei quali una straordinaria quan-
tità di vasellame veniva profusa, tanto che oso dire,
il culto funebre abbia dato largo alimento ad una spe-
ciale industria.

La Ceramica. — Non discuto, se i vasi dei se-
polcri servissero anche nella vita quotidiana ; fin qui
non abbiamo quasi punto conoscenze sulle abitazioni
dei Siculi e sul loro contenuto, mentre conosciamo
diecine di necropoli, con centinaia di sepolcri; però
dallo esame degli Scarichi del villaggio di Castel-
luccio (in Bull, paletti, ital., 1893, p. 38 e segg.)
si arguisce, che solo una parte delle forme, ovvia nei
sepolcri, torna nello scarico ; onde concluderei che una
parte almeno del vasellame funebre era anche di uso
pratico. Non mi intrattengo sui riscontri delle forme ;
il materiale di Thapsos estende notevolmente le nostre
conoscenze sulla industria vasaria del 2° periodo ; ab-
biamo trovato forme nuove, e riconosciute per ovvie
altre che prima sembravano eccezionali e di lusso;
alludo specialmente ai grandi bacini lebetiformi con
grande ansa bicornuta, che non mancavano quasi in
verun sepolcro. Se alcune poche forme si accostano a
quelle del 1°, ed altre al 3° periodo, il complesso
del materiale rappresenta un tutto a sè, con fisionomia
propria, e trova i suoi diretti termini di riscontro al
Plemmirio, a Cozzo Pantano ed a Pantalica. E ciò
che vale per le forme può dirsi anche per la decora-
zione; della pittura, così diffusa nel 1° periodo, non
troviamo che languide tracce in due soli vasi (sep. 27
e 64) sopra parecchie centinaia, perchè alla decora-
zione cromica è subentrata una ornamentazione geo-
metrica a punta; il repertorio ne ò molto semplice e
monotono, e basta dare un'occhiata alle tavole ed alle
figure di questa memoria per andarne convinti. In con-
fronto di Cozzo Pantano abbiamo qualche novità nelle
losanghe isolate o composte ad elica, nelle linee se-
ghettate, nelle figure ad ascia e sopratutto negli in-
genui ed infantili tentativi di rappresentare uccelli
e quadrupedi ; un saggio di rappresentanza antropoide
(tav. IV, 7), infelicissimo, denota quanto fosse ancora

superiore alle forze dello stovigliaio siculo il tenta-
tivo che egli faceva. Ma sono i vasi importati dello
stile di Micene, che hanno per noi un valore eccezio-
nale, in quanto sono il migliore sussidio per la deter-
minazione cronologica della necropoli. Essi sono ap-
parsi in quantità prima d'ora sconosciuta per ne-
cropoli non greche, e sono eloquente documento dei
vivaci commerci fra Thapsos e la Grecia Micenea.
Erano in totale: anfore n. 13, vasi a calamaio n. 3,
fiaschetti n. 3, « pseudoanfore » n. 1, forme indeter-
minabili n. 4; in complesso n. 24. Ad onta delle
grandi alterazioni, che la maggior parte di essi ha
sofferto nell'epidermide, dallo studio delle forme ri-
sulta che appartengono al 3° stile, quello cioè della
« Firnissmalerei » o pittura a vernice » dalla creta
ben lavata, dalle superfìci nitide e levigate, di un
tono caldo » con decorazioni a vernice bruna, talvolta
rossastra (') ; questo stile, che precede quello del Di-
pylon ed è posteriore alla migrazione dorica, si po-
trebbe quasi definire proprio alle tombe a cupola ed
è precipuamente rappresentato in Beozia, nell'Attica
ed a Jalysos (-) ; quest'ultima necropoli ha nel caso
nostro peculiare valore cronologico, giacché ha dato
il maggior numero di vasi così per forma come per
stile eguali a quelli di Thapsos ; essi spettano in media,
ai secoli XI e X, ed a tale epoca deve perciò risalire
anche la necropoli (:ì).

(') Furtwaengler & Loeschcke, o. e, p. viij.

(2) Voti Rohden nei Baumeister's, Denkmaeler III, p. 1938.;
Perrot, La Grece primitive, p. 975.

(3) Come il calice di Cozzo Pantano (o. e, tav. I, 2) è
forma ovvia alla necropoli di Jalysos, così le nostre anforette
sono abbondantemente rappresentate in quella necropoli e poi
ad Haliki; nò a Jalysos è infrequente la forma a calamaio.
Sull'età di Jalysos mi sono già occupato, illustrando Cozzo Pan-
tano (o. e, p. 10, 11 e note). Il Reisch, uno degli ultimi, che
abbia trattato colla maggior temperanza, Die mykenische Fraqe
(nelle Verhandlungen der 42 Phitologenvermmrnlung 1893,
p. 101) colloca i sepolcri dell'Acropoli nei sec. XV-XII, ed am-
mette che quelli a cupola perdurano sino alla fine del XI ed
al principio del X; con ciò è data anche la cronologia delle
necropoli più recenti, tra le quali certo Jalysos ; di tale avviso
è pure il Furtwaengler (o. e, p. xij) che intorno all'800 col-
loca lo estinguersi dello stile miceneo. Invece il Montelius, pa-
letnologo, colloca tutti i sepolcri micenei a stanza, compreso
Jalysos, nella quarta fase della sua età del bronzo micenea, il
cui massimo fiorire egli fissa intorno al 1400, pur ammettendo
che abbia durato anche dopo {Die Bronzezeit in Orient uni
Griechenland, 1893, p. 34, 35) ; il suo principale argomento è
una pseudoanfora (identica all'esemplare nostro sep. 56) trovata
in Egitto, in strati che risalgono ad Amenhotep III. Le sue
idee sono condivise dallo Tsountas, certamente profondo cono-
 
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