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NAPOLI NOBILISSIMA
IL LARGO DI PALAZZO
Aurea nunc, olim silvestribus horrida dumis.
Aen., VIII, 348.
I.
Le opere, che dì per dì si vanno facendo a Napoli,
sono mirabili senza dubbio, e dànno alla città un aspetto
ordinato, nobile, grandioso; io credo però, che quanto
s'è guadagnato di magnificenza, tanto s'è perduto di na-
turale bellezza, sul mare specialmente, dove la linea di-
ritta delle costruzioni ha modificato di molto le curve
del golfo. Chi ha un poco di pratica delle memorie anti-
che, e dal Castello dell' Ovo guarda la città, agevolmente
si convince, che in tempi remoti il capo dell'Echia si avan-
zava sul mare dirotto e a precipizio, fra molli insenature,
le quali davano alla bella spiaggia una singolare vaghezza:
il seno di Chiaia a destra, quello di S. Lucia di sotto. Dalle
cose, che abbiamo viste noi stessi, possiamo argomentare
delle passate: pare, che gli uomini si siano accordati in
una congiura per togliere a Napoli le note speciali della
bellezza famosa e così di S. Lucia non resta, che il ricordo
poetico e l'eco di una dolce canzone (0. Tutta la collina
dell'Echia, digradando lievemente fra oriente e mezzodì,
cadeva rotta sul mare fino al porto, detto Vulpulo nel me-
dio evo, il quale entrava molto dentro alla nostra piazza
del Municipio. Queste cose si veggono apertamente, po-
nendo mente alla differenza di livello, che è tra il mare,
la piazza del Plebiscito, i giardini del Palazzo reale e la
base dell'arco d'Alfonso d'Aragona, dove forse un tempo
erano collinette silvestri e valloncelli.
Ora tutto è mutato: la stessa piazza del Plebiscito è
stata spianata e ornata di recente; e noi vorremmo ridare
al luogo 1' apparenza d' una età remota, ma troppa gente
d'ogni tempo e d'ogni nazione v'è passata, dagli Elleni a
noi, per poter sicuramente ricercare le orme sparite. Le
mura di Palepoli scendevano laggiù? Publio Filone, quando
assediò i palepolitani, pose le tende là? Pel molle declivio
della collina fiorivano le aiuole di Lucullo
violaria et
myrtus et omnis copia narium?
Dove giungevano le mura del castro lucullano ? Dove e-
rano le torri più avanzate ?
Il medio evo trasformò ogni cosa, e la pietà dei fedeli
disseminò monasteri e chiese fra le selvette, le vigne, gli
orti, dal sommo della collina dell'Echia fino alla contrada,
che si stendeva sul mare, detta Campus oppidi, dove Carlo I
(1) Sul mare luccica
L'astro d'argento...
edificò il Castelnuovo, che per molto tempo restò isolato
e fuori della città. A mezzodì di esso era il mare Beve-
rello, che diede il nome ad una torre ed un giardino; a
ponente era una collina dirupata, che toglieva la veduta
del Castello dell'Ovo, ed il Re la fece spianare; fra oriente
e settentrione si stendeva la piazza delle Correje dal Ca-
stello all'Incoronata. Carlo II poi edificò palagi intorno a
Castelnuovo pei numerosi figliuoli suoi, e Roberto abbellì
il giardino di Beverello, e ne fece un parco con grotte,
fontane, casini e covi per bestie rare e forestiere. Quella
parte del Campus oppidi, che si stendeva a ponente, fu pre-
sto occupata da nuovi monasteri (D.
II.
Il primo fu la Croce detta di Palazzo. Narrano, che nel
1327, quando Carlo duca di Calabria aveva la signoria di
Firenze, gli nacque di Maria di Valois un fanciullo, aspet-
tatissimo per assicurare la successione della corona: ma
all'ottavo giorno morì, e fu sepolto in Santa Croce (2). Il
Re Roberto, addolorato, in memoria del fatto fece levare in
Napoli la Chiesa ed il Monastero di Santa Croce e l'En-
genio (3), in conferma di ciò, cita un diploma dato da Ro-
berto il I.° di giugno 1328 (4). Il Re dice, che, in consi-
derazione delle grazie concesse di continuo dalla S. Ver-
gine, aveva deliberato di edificare una cappella da reputarsi,
membro della cappella regia, e un monastero dall'invoca-
zione S. Maria ad Crucem. Ma questo monastero di S. Ma-
ria ad Crucem era sito, come afferma Roberto « infra
« moenia prope pontem, loco qui dicitur. ... ». E nel
testo c'è una lacuna, e manca il nome del luogo (5). Da
queste indicazioni si rileva apertamente, che Roberto fece
edificare una chiesa alla Vergine nel luogo detto la Croce,
presso un ponte; mentre il monastero della Croce si le-
vava dove ora è il Palazzo del Comando, e sul principio
del secolo XIV era molto lontano dalle mura: basta ricor-
dare, che Carlo II d'Angiò aveva trasportato la porta, che
fu detta Reale, dal Largo di S. Domenico a quello del
Gesù Nuovo (6).
È certo invece, che la chiesa ed il monastero della Croce
furono edificati per munificenza della regina Sancia, vedova
di Roberto, la quale, « transitoria cum eternis commutans »,
(1) Il De Blasiis neWArch. Stor. nap., XI-XII (1886-7) ha illustrato
largamente la regione del Campus oppidi.
(2) Villani, Hist. Fior., lib. X, cap. XXI.
(3) Napoli Sacra, p. 556.
(4) Reg. 1327, G28 A, (N. 270), fol. 74.
(5) Il diploma fu pubblicato dal Wadding negli Annali, e ripro-
dotto da Mons. Capece Galeota nei Cenni storici sul Clero della R. Cap-
pella palatina. Ho riscontrato il doc. nell'originale del Registro Angioino,
e v'è la stessa lacuna nel luogo del nome.
(6) Cfr. Chiarito, Comm. Stor. Crit. Dipi, sulla Costituzione de in-
strumentis conficiendis etc., p. 223.
NAPOLI NOBILISSIMA
IL LARGO DI PALAZZO
Aurea nunc, olim silvestribus horrida dumis.
Aen., VIII, 348.
I.
Le opere, che dì per dì si vanno facendo a Napoli,
sono mirabili senza dubbio, e dànno alla città un aspetto
ordinato, nobile, grandioso; io credo però, che quanto
s'è guadagnato di magnificenza, tanto s'è perduto di na-
turale bellezza, sul mare specialmente, dove la linea di-
ritta delle costruzioni ha modificato di molto le curve
del golfo. Chi ha un poco di pratica delle memorie anti-
che, e dal Castello dell' Ovo guarda la città, agevolmente
si convince, che in tempi remoti il capo dell'Echia si avan-
zava sul mare dirotto e a precipizio, fra molli insenature,
le quali davano alla bella spiaggia una singolare vaghezza:
il seno di Chiaia a destra, quello di S. Lucia di sotto. Dalle
cose, che abbiamo viste noi stessi, possiamo argomentare
delle passate: pare, che gli uomini si siano accordati in
una congiura per togliere a Napoli le note speciali della
bellezza famosa e così di S. Lucia non resta, che il ricordo
poetico e l'eco di una dolce canzone (0. Tutta la collina
dell'Echia, digradando lievemente fra oriente e mezzodì,
cadeva rotta sul mare fino al porto, detto Vulpulo nel me-
dio evo, il quale entrava molto dentro alla nostra piazza
del Municipio. Queste cose si veggono apertamente, po-
nendo mente alla differenza di livello, che è tra il mare,
la piazza del Plebiscito, i giardini del Palazzo reale e la
base dell'arco d'Alfonso d'Aragona, dove forse un tempo
erano collinette silvestri e valloncelli.
Ora tutto è mutato: la stessa piazza del Plebiscito è
stata spianata e ornata di recente; e noi vorremmo ridare
al luogo 1' apparenza d' una età remota, ma troppa gente
d'ogni tempo e d'ogni nazione v'è passata, dagli Elleni a
noi, per poter sicuramente ricercare le orme sparite. Le
mura di Palepoli scendevano laggiù? Publio Filone, quando
assediò i palepolitani, pose le tende là? Pel molle declivio
della collina fiorivano le aiuole di Lucullo
violaria et
myrtus et omnis copia narium?
Dove giungevano le mura del castro lucullano ? Dove e-
rano le torri più avanzate ?
Il medio evo trasformò ogni cosa, e la pietà dei fedeli
disseminò monasteri e chiese fra le selvette, le vigne, gli
orti, dal sommo della collina dell'Echia fino alla contrada,
che si stendeva sul mare, detta Campus oppidi, dove Carlo I
(1) Sul mare luccica
L'astro d'argento...
edificò il Castelnuovo, che per molto tempo restò isolato
e fuori della città. A mezzodì di esso era il mare Beve-
rello, che diede il nome ad una torre ed un giardino; a
ponente era una collina dirupata, che toglieva la veduta
del Castello dell'Ovo, ed il Re la fece spianare; fra oriente
e settentrione si stendeva la piazza delle Correje dal Ca-
stello all'Incoronata. Carlo II poi edificò palagi intorno a
Castelnuovo pei numerosi figliuoli suoi, e Roberto abbellì
il giardino di Beverello, e ne fece un parco con grotte,
fontane, casini e covi per bestie rare e forestiere. Quella
parte del Campus oppidi, che si stendeva a ponente, fu pre-
sto occupata da nuovi monasteri (D.
II.
Il primo fu la Croce detta di Palazzo. Narrano, che nel
1327, quando Carlo duca di Calabria aveva la signoria di
Firenze, gli nacque di Maria di Valois un fanciullo, aspet-
tatissimo per assicurare la successione della corona: ma
all'ottavo giorno morì, e fu sepolto in Santa Croce (2). Il
Re Roberto, addolorato, in memoria del fatto fece levare in
Napoli la Chiesa ed il Monastero di Santa Croce e l'En-
genio (3), in conferma di ciò, cita un diploma dato da Ro-
berto il I.° di giugno 1328 (4). Il Re dice, che, in consi-
derazione delle grazie concesse di continuo dalla S. Ver-
gine, aveva deliberato di edificare una cappella da reputarsi,
membro della cappella regia, e un monastero dall'invoca-
zione S. Maria ad Crucem. Ma questo monastero di S. Ma-
ria ad Crucem era sito, come afferma Roberto « infra
« moenia prope pontem, loco qui dicitur. ... ». E nel
testo c'è una lacuna, e manca il nome del luogo (5). Da
queste indicazioni si rileva apertamente, che Roberto fece
edificare una chiesa alla Vergine nel luogo detto la Croce,
presso un ponte; mentre il monastero della Croce si le-
vava dove ora è il Palazzo del Comando, e sul principio
del secolo XIV era molto lontano dalle mura: basta ricor-
dare, che Carlo II d'Angiò aveva trasportato la porta, che
fu detta Reale, dal Largo di S. Domenico a quello del
Gesù Nuovo (6).
È certo invece, che la chiesa ed il monastero della Croce
furono edificati per munificenza della regina Sancia, vedova
di Roberto, la quale, « transitoria cum eternis commutans »,
(1) Il De Blasiis neWArch. Stor. nap., XI-XII (1886-7) ha illustrato
largamente la regione del Campus oppidi.
(2) Villani, Hist. Fior., lib. X, cap. XXI.
(3) Napoli Sacra, p. 556.
(4) Reg. 1327, G28 A, (N. 270), fol. 74.
(5) Il diploma fu pubblicato dal Wadding negli Annali, e ripro-
dotto da Mons. Capece Galeota nei Cenni storici sul Clero della R. Cap-
pella palatina. Ho riscontrato il doc. nell'originale del Registro Angioino,
e v'è la stessa lacuna nel luogo del nome.
(6) Cfr. Chiarito, Comm. Stor. Crit. Dipi, sulla Costituzione de in-
strumentis conficiendis etc., p. 223.