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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 2.1893

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Heft 10
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Ceci, Giuseppe: Il palazzo dei Carafa di Maddaloni [1]: poi di colubrano
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Croce, Benedetto: Sommario critico della storia dell'arte nel Napoletano [7]
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https://doi.org/10.11588/diglit.71016#0168

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NAPOLI NOBILISSIMA

« narsi ivi appunto del lavoro, sono pruove tutte se non
« m'inganno, che addimostrano, che quella testa così come
« ora si vede sia stata modellata e fusa dall' origine col
« freno e che mai s'appartenne a veruna statua di ca-
« vallo (!) ».
E poi, perchè il modo come quest'opera di arte pervenne
al Conte di Maddaloni è definitivamente accertato da una
lettera scritta da questo a Lorenzo il Magnifico nel 12 lu-
glio 1471, scoperta dal Milanesi nell'Archivio di Firenze
e pubblicata integralmente dal Filangieri. In essa Diomede
ringrazia del dono della testa del cavallo, « de che ne resta
« tanto contento quanto de cosa havesse desiderata », e av-
visa il Magnifico che « ll'ha ben locata in la sua casa che
« se vede de omne canto ». La testa famosa fu dunque
mandata da Firenze e da Lorenzo de Medici, non fu un dono
degli Aragonesi. Ma è essa antica, o piuttosto lavoro di
un artista fiorentino del Rinascimento?
La prima opinione, comune a tutti i nostri scrittori, ac-
cettata dal Winkelmann, è oramai abbandonata. La fonte
più sicura per la storia dell'arte nelle nostre provincie, la
lettera scritta nel 1524 da Pietro Summonte, afferma che
la testa è opera del Donatello. Dopo la quale testimonianza,
è quasi inutile ricordare che dello stesso parere sono il
Vasari e uno scrittore anonimo fiorentino suo contempo-
raneo (2). E si può anche rinunziare alla conferma che il
Filangieri credè di trovare nei documenti di casa Mad-
daloni (3).
La testa era messa a destra di chi entrava, dirimpetto
all'arco che precede la scala e che è elegantemente sor-
retto da una colonna antica. Sulla porta di ingresso era
scolpito:
Huc QUICUMQUE VENIS FAUSTE ET BENE VENERIS HOSPES
COMITER IN NOSTRA SUSCIPIERE DOMO (4).
Oltre la scala un porticato a due piani formava il lato
sinistro della corte. Nel mezzo di essa si elevava una co-

(i) Capasso, Historia diplomatica regni Siciliae, p. 50.

(2) V. oltre la monografia del Filangieri, il Catalogo delle opere di
Donatello e bibliografia degli autori che ne hanno scritto. Firenze, arte
della stampa 1887. Non vi è nome di autore, ma è lavoro del Mi-
lanesi.

(3) Il Filangieri accenna ad un inventario, fatto quando Roberta
Carafa Duchessa di Maddaloni istituì nel 1582 la secondogenitura dei
Principi di Colubrano, comprendendo nel fedecommesso il palazzo al
Sedile di Nido. Ma deve essere stata una confusione: Roberta Carafa
non ebbe figli, e i principi di Colubrano ebbero origine più tardi in
un altro ramo dei Carafa di Maddaloni. Se anche poi avesse istituita
una secondogenitura, del che dubito, non avrebbe certo potuto di-
sporre di beni non suoi, quale era questo palazzo, per giunta già sot-
toposto a fedecommesso in favore dei discendenti diretti di Diomede
primo conte di Maddaloni, come vedremo.

(4) Questa iscrizione non si vede più. Ci è conservata dallo Schra-
der nell'op. cit. con un'altra che si leggeva sul camino: Si propius
steteris flagras, si longius alges.

lonna con una piccola statua equestre in bronzo di Ferdi-
nando I. Essa ricordava che quel Re, venuto un giorno a
rilevare il suo favorito per una caccia, e non essendo
questi pronto, lo aveva aspettato proprio in quel posto. Al
lato destro del cortile era un grande ed ombroso giardino
che aveva una porta nel vicolo, ora chiuso, a destra del
palazzo.
Su questa porta si leggeva:
Hic HABITANT NYMPHAE DULCES ET SUADA VOLUPTAS
SiSTE GRADUM, ATQUE INTRANS NE CAPTARE CAVE.

Altre massime di un sapore schiettamente quattrocentista
si leggono tuttora sulle finestre: Si rado imperaverit eris
liber; ex animo ama ac servi; honeste para tempori confer; te
prius ispicias aliosque deinde notato.
continua.
Giuseppe Ceci.

SOMMARIO CRITICO
DELLA
STORIA DELL'ARTE NEL NAPOLETANO

IV. D).
Architettura sacra: chiese di Trani, Ruvo,
Altamura, Canosa.
La cattedrale di Trani fu edificata sulla fine dell' XI e
sui principii del XII secolo.
« Se in Sicilia — dice lo Schulz — è profusa un'infinita
magnificenza di colori sugli edifizii di quell'epoca, nelle
Puglie invece si svolge una decorazione in pietra, sotto-
messa a leggi rigorose; e tale decorazione appare nella sua
maggiore perfezione nella cattedrale di Trani. Certo, questo
edilizio, concepito con la più nobile semplicità, cede, nella
ricchezza degli ornati, all'altra grande opera dell'arte pu-
gliese, ossia alla cattedrale di Bari, la cui disposizione
mostra un pari senso della simmetria, e rispetto alla quale
essa è più povera, mancando del bell'ornamento della cu-
pola: ma, per compenso, i pochi ornati sono d'una rara
finezza d'esecuzione, cosicché non ci si sazia di contem-
plarne le parti ad una ad una » (T).
Si sale al duomo di Trani per una gradinata a due rami.
Innanzi all'entrata, sulla terrazza, doveva essere costruito
un vestibolo, che forse non fu mai compilato. Di questo
vestibolo dànno indizio i pilastri delle arcate, addossati alla
facciata: son quattro archi, dall'un lato e dall'altro della
porta principale, appoggiati su cinque mezze-colonne con

(1) Schulz, 0. c., I, 104.
 
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