Due iscrizioni votive
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è il modello in argento, in segno di grazie al dio, Neochares Iu-
liano, liberto di Augusto » (sottint. : pose, àvs&rjxs, o alcun che
di simile).
Quantunque sia ignota la provenienza di questo marmo,
sembra peraltro assai verisimile che fosse stato dedicato nel ce-
lebre santuario di Esculapio, nell' isola inter duos pontes.
La forma delle lettere è la solita, lunata con apici poco
vistosi, del miglior tempo imperiale. Tranne T omissione costante
dello tara TCQoGysyqaiinévov e l'uso dello i in luogo dell' si ori-
ginario, la grafìa è notevolmente corretta. Da osservare sono l'ana-
coluto, per cui nel principio si passa dalla terza persona alla
seconda, e parimenti la sintassi assai dura della seconda parte,
comunque si interponga e si legga.
v. 2. [isyCtìTO): questo epiteto, comune per qualche divinità
superiore, come Zeus non trova per Asclepio altro riscontro,
che le parole di Coccala in un mimiambo (2) di Herondas.
— (XwrrjQi : è V epiteto più, comune del dio.
v. 3. svsoys'rrj : non si trova mai detto di Asclepio nella
poesia greca (3).
— oyxov : aspetteremmo un genetivo, ma la lezione mi par
certa, essendo 1' asta visibile troppo alta per esser compita coi
due rebbi di un Y. L'insolita forma, se non vogliamo porla in
conto del lapicida, ci può essere forse spiegata dalla incertezza
sintattica di tutta l'epigrafe, che rivela l'inesperienza somma di
colui che scrisse. Sembra che questi abbia preso per oggetto del
verbo sottinteso il tumore, anzi che il segno di grazie ; e che poi,
non sapendo in qual modo trarsi d'impaccio, abbia lasciato il
periodo così com' è rimasto. Tuttavia non è da lasciare senza nota
(i) Cfr. Iliad. B. 412 e passim.
(») Mim. IV, v. 86.
(3) Peraltro del padre, Apollo, Pindaro, Pyth. V, 44, dice eveQyétav.
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è il modello in argento, in segno di grazie al dio, Neochares Iu-
liano, liberto di Augusto » (sottint. : pose, àvs&rjxs, o alcun che
di simile).
Quantunque sia ignota la provenienza di questo marmo,
sembra peraltro assai verisimile che fosse stato dedicato nel ce-
lebre santuario di Esculapio, nell' isola inter duos pontes.
La forma delle lettere è la solita, lunata con apici poco
vistosi, del miglior tempo imperiale. Tranne T omissione costante
dello tara TCQoGysyqaiinévov e l'uso dello i in luogo dell' si ori-
ginario, la grafìa è notevolmente corretta. Da osservare sono l'ana-
coluto, per cui nel principio si passa dalla terza persona alla
seconda, e parimenti la sintassi assai dura della seconda parte,
comunque si interponga e si legga.
v. 2. [isyCtìTO): questo epiteto, comune per qualche divinità
superiore, come Zeus non trova per Asclepio altro riscontro,
che le parole di Coccala in un mimiambo (2) di Herondas.
— (XwrrjQi : è V epiteto più, comune del dio.
v. 3. svsoys'rrj : non si trova mai detto di Asclepio nella
poesia greca (3).
— oyxov : aspetteremmo un genetivo, ma la lezione mi par
certa, essendo 1' asta visibile troppo alta per esser compita coi
due rebbi di un Y. L'insolita forma, se non vogliamo porla in
conto del lapicida, ci può essere forse spiegata dalla incertezza
sintattica di tutta l'epigrafe, che rivela l'inesperienza somma di
colui che scrisse. Sembra che questi abbia preso per oggetto del
verbo sottinteso il tumore, anzi che il segno di grazie ; e che poi,
non sapendo in qual modo trarsi d'impaccio, abbia lasciato il
periodo così com' è rimasto. Tuttavia non è da lasciare senza nota
(i) Cfr. Iliad. B. 412 e passim.
(») Mim. IV, v. 86.
(3) Peraltro del padre, Apollo, Pindaro, Pyth. V, 44, dice eveQyétav.