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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 24.1916

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Galli, Edoardo: Il sarcofago etrusco di torre San Severo: con quattro scene del ciclo Trojano
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https://doi.org/10.11588/diglit.11257#0051
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93 tL SARCOFAGO ETRUSCO D

Per ben capire poi il rapporto che corre tra
questa rappresentazione e l'ultima misteriosa scena
del sarcofago scolpita sul lato D, bisogna tener pre-
senti la natura di Circe, siccome il mito omerico la
raffigura, e il carattere speciale che la sua virtù ma-
gica le conferiva secondo il pensiero etrusco, profon-
damente nutrito di idee animistiche, e corrivo ad ac-
cogliere nell'àmbito della propria filosofia n'uove teorie
assimilabili ai concetti fondamentali della religione
funebre locale. In altri termini, lo scultore etrusco
che conosceva il racconto omerico ed era in grado,
più che oggi noi non siamo, per la conoscenza più
che probabile di altre fonti poscia scomparse, di \a-
lutare nella sua giusta misura l'aspetto spirituale e
catactonico di Circe (1), riprodusse a ragion veduta,
ed ubbidendo ad un criterio di coordinazione, l'ultimo
quadro della cassa. Un metodo analogo egli aveva
seguito già nel contrapporre le due scene relative àd
Achille sui lati lunghi.

Il rapporto che passa tra le rappresentazioni di
C e D si rivela nitidamente come di causa ad effetto,
poiché è la stessa maga che istruisce Ulisse intorno
all' itinerario da seguire per giungere nell' isola dei
beati, ed ivi dopo aver compiuto uno speciale rito
propiziatorio, poter sentire dalla bocca dell'indovino
Tiresia, che emergerà dall'Ade, la profezia intorno
ai futuri pericoli a cui sarebbe andato ancora incon-
tro, prima di ritornare finalmente alla sua casa in
Itaca. La saggia dea esplica pertanto una vera fun-
zione sacerdotale, istruendo Ulisse in ogni particolare
circa la via da tenere e il rito da compiere ; e svela
inoltre chiaramente, col suo sapere sul mondo dei
morti, l'intima natura infernale adombrata già nelle
stesse magiche arti da lei praticate. Questa specie di
iniziazione ai sacri misteri della Nekyia greca è de-
scritta da Omero alla fine del cauto X dell' Odissea (2);
mentre il successivo canto XI contiene — come è
noto — per intero il racconto di ciò che Ulisse vide
ed udì nella terra dei Cimmerii (3).

Ma non è inutile riassumere qui i punti princi-
pali di detta narrazione, avanti di fissare lo sguardo

(') Per l'affinità di Circe con Medea ed Hecate, cfr. Prel-
ler, Griech. Iilythologie, I, pag. 259 sg.
(■) Odissea, X, v. 487-540.

(3) C. Pascal, Le credenze d'oltretomba, I, pag. 219 sgg.,
nota 1, ed ivi la bibliografia.

TORRE SAN SEVERO ECC. 4

sul nostro quadretto a rilievo, che riproduce — come
vedremo — l'episodio introduttivo del congresso di
Ulisse con le anime dei trapassati.

Dopo aver disarmato Circe mediante l'erba Moli,
Ulisse e i compagni rimasero presso di lei un anno
intero, godendo i benefici della sua larga e sontuosa
ospitalità. Un giorno però gli uomini richiamarono
l'attenzione del loro duce sulla convenienza ormai di
troncare il periodo di riposo e di godimento, per met-
tersi di nuovo in viaggio e raggiungere le avite case.
Circe non si oppose al desiderio così formulato dal
suo amante, ma gli indicò quale sarebbe stata la via
da tenere per conseguire lo scopo. Egli avrebbe do-
vuto cioè mettersi in mare e giungere al regno di
Ade e di Proserpina, per interrogarvi lo spirito del
tebano Tiresia, che gli avrebbe svelato l'avvenire
circa il suo ritorno in patria. Naturalmente occorreva
celebrare un solenne sacrificio, appena giunto alla mi-
steriosa ed ignota terra, che era di là dall' Oceano,
con lidi bassi e rivestita di folta vegetazione. Ulisse
avrebbe scavato per tal bisogna una fossa di un cu-
bito ai piedi della rupe, da cui scaturiscono i due
fiumi infernali, Oocito e Pirifiegetonte, che si fon-
dono nell'Acheronte; nella fossa avrebbe sparso vino,
miele ed altri ingredienti ; e, dopo aver fatto voti e
promesse ai defunti, avrebbe scannato su di essa una
pecora nera ed un montone, avendo cura di tener ri-
volta la loro fronte verso 1' Èrebo, nell'atto del sacri-
ficio. Dopo ciò egli avrebbe veduto una folla di ombre
accorrere alla fossa per bere il sangue delle vittime:
ma si sarebbe loro opposto, finché non avesse parlato
prima con il famoso indovino, al quale Proserpina aveva
lasciato la facoltà profetica anche dopo la morte (').
Sul resto del racconto non è il caso di insistere, perchè
esula dai limiti della nostra rappresentazione.

Circe stessa consegnò ai partenti la nera pecora
e il montone da sacrificare ; e la nave mossa da vento
propizio si avviò al suo destino, toccando dopo una
felice e placida traversata, la riva fatale. Quivi giunti,
fu tirato in secco il naviglio, e vennero sbarcati sulla
spiaggia gli animali, che i due compagni di Ulisse,
Euriloco e Perimede, condussero al luogo designato
per il sacrificio (2).

(') Odissea, X, v. 494-5.
(*) Odissea, XI, v. 23-4.
 
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