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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 32.1929

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Sinibaldi, Giulia: Caratteri orientali nell'arte d'Ambrogio Lorenzetti
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https://doi.org/10.11588/diglit.55190#0090

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CARATTERI ORIENTALI
NELL’ARTE D’AMBROGIO LORENZETTI

Il Vasari disse che i costumi d’Ambrogio Lorenzetti furono « piuttosto di genti-
luomo che d’artefice », e oggi lo si considera il primo tra gli artisti letterati e scienziati.
Si pensa a lui come a un innamorato dell’arte classica e a un precursore dell’umanesimo.
Ma se egli ebbe quelle attitudini e quella cultura, chi voglia distinguere il più e il me-
glio di quest’artista, non lo giudicherà caratterizzato da quelle attitudini e da quella cul-
tura. Poiché che cosa ne venne di vivo alla pittura del Lorenzetti? A me pare che questo
artista sia invece legato da una misteriosa ma stretta parentela con l’arte dell’estremo
Oriente. La Madonna di Vico l’Abate mi dà sensazioni paragonabili soltanto a quelle
che fanno provare certi Budda cinesi e soltanto m essi trovo ragione della « filosofia »
del Lorenzetti. Anche i Budda cinesi hanno una divinità come temperata e addolcita e si
potrebbe dire comprensibile, cioè simpatica. Certo le figure dell’arte bizantina sono state
per così lungo tempo in orrore proprio perchè non erano che divinità lontane e non c’era
simpatia tra esse, sogno religioso, e l’amore umano. I Budda cinesi sono sì il segno d’un
assorbimento costante e convinto nelle cose dello spirito, ma lo spirito era in pace con
sè stesso nel momento che li creava.
I contrasti e le ribellioni sono invece caratteristiche dell’anima occidentale. Per
questa una anticipo di cielo non è possibile, perchè è troppo grande l’amore per la vita.
Al cielo si può salire soltanto in lotta implacabile con sè stessi, martirizzandosi. Il mar-
tirio può diventare passione, ma passione dolorosa: pace e accordo non c’è. Il sorriso leg-
gero dei Budda fa invece pensare non a una speranza di beatitudine, bensì a una beati-
tudine già ben conosciuta; non pare che abbia intenzioni morali, cioè costrittive, ma sia
sorriso di gioia per quella trasfusione dell’uomo nel dio ottenuta senz’alcun martirio. Tutto
è avvenuto senz’urti e quasi senza che si possa distinguere un principio e una fine in quel
passaggio: tutto è avvenuto quasi con tenerezza. C’è perfino della sensualità nella mol-
lezza della linea che conduce i piani: h conduce e h domina tanto che non c’è nulla di
più inafferrabile e di meno reale di quei piani. Anche a proposito d’Ambrogio Lorenzetti
s’è parlato tante volte di voluttà. Il Gielly per esempio va in estasi per la voluttà che
esprimono le figure d’Ambrogio, anzi per definirlo non dice altro che questo: voluttuoso.
L troppo semplice dire soltanto così. Ma a pensare ai Budda ci si spiega anche come si possa
sentire qualche cosa di tenero e quasi di voluttuoso nella spiritualità delle figure d’Ambro-
gio. Certo una tale disposizione di spirito è . il suolo su cui fioriscono tutte le sue imma-
gini più belle. Soltanto, il passaggio non è dimenticato nel Lorenzetti: la sua melanconia
lo ricorda; ma quel passaggio c’è. Giotto e Simone Martini hanno uno dei termini più
marcato, quasi punto d’arrivo: il loro tema contiene la sua soluzione. Quello del Loren-
zetti invece non la contiene. Il suo valore è appunto nel non contenerla: dall’uno all’al-
tro termine si va senz’arresto, cioè infine i due termini s’identificano. Ciò non avviene con
gioia, ma soltanto la mancanza di gioia distingue l’artista senese dal modo di contemplare
degli artisti orientali. ;£ i ■ | dJLìiiJ f®1 VS ì 5
Comunque si sia accettata la spiegazione dell’arte dei pittori del trecento come arte
nata da un’ispirazione divina, è stato giusto e buono rivedere tutti quei pittori insieme,
 
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