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Di un frammento epigrafico cristiano
provare ohe fino dal secolo quinto l'isola tiberina trovavasi nella
giurisdizione del vescovo di Porto; mentre noi, per quanto mi
risulta, dalla lapide del vescovo Formoso che citai poc' anzi,
non possiamo ciò certificare che per il secolo nono; ad ogni
modo, nella seconda metà del secolo quinto, i vescovi di Porto
non devono aver avuto giurisdizione sull'isola, nè la chiesa
di s. Giovanni Battista credo fosse ancora edificata. In quel
tempo, nell' isola, esisteva un carcere in cui si rinchiudevano
i condannati a morte per gravi delitti contro lo stato, affinchè
quivi aspettassero i trenta giorni che, secondo le disposizioni
di un antico senatusconsulto Tiberiano, dovevano trascorrere dal
momento in cui la sentenza era pronunciata a quello in cui
doveva essere eseguita. Infatti, nell'anno 469, in quel carcere
fu rinchiuso, come ci narra Sidonio Apollinare in una sua lettera,
Arvando prefetto delle Gallie condannato a morte per reati di
concussione e di alto tradimento verso lo stato (') ; ora è molto
probabile la congettura del De Suares che quel carcere appunto
fosse poi trasformato nella chiesa di s. Giovanni Battista (2),
la quale, per conseguenza, non esisteva ancora quando i Vandali
vennero ad occupare Roma. Ma questi argomenti che chiamerò
(!) Epist. I, l:sed [Arvandus] capite multatus in insulam conie-
ctus est serpentis Epidauri, ubi usque ad inimicorum dolorerà deve-
nustatus et a rebus humanis voluti vomitu fortunae nauseantis exsputus,
nunc ex vetere senatusconsulto Tiberiano triginta dierum vitam post sen-
tentiam trahit, uncum et Gemonias et laqueum per horas turbulenti car-
nificis horrescens (ed. Luetj oliami).
(2) Il De Suares (lett. citata) ritiene questo carcere per quello stesso
che è ricordato negli atti dei santi martiri persiani, Mario, Marta e com-
pagni, (le cui reliquie furono collocate nella chiesa di s. Giovanni Calibi! a,
come apparisce da una iscrizione ivi esistente [Forcella, X, p. 220, n. 344])
i quali morirono nella persecuzione di Claudio II; in codesti atti è detto che
quei martiri venientes in castra trans Tiberim, in carcere invenerunt ho-
minem venerabilem Cyrinum nomine (Acta Sanctorum, li, 216); ma io avrei
qualche dubbio in proposito, perché i castra ivi nominati o sono i castra
Ravennatium o i castra lectìcariorum che noi sappiamo essere esistiti nella
regione transtiberina (cf. Vaglieri, Castra [Dizionario Epigrafico di E. De
Ruggiero II, 138]) non però nell'isola Licaonia.
Di un frammento epigrafico cristiano
provare ohe fino dal secolo quinto l'isola tiberina trovavasi nella
giurisdizione del vescovo di Porto; mentre noi, per quanto mi
risulta, dalla lapide del vescovo Formoso che citai poc' anzi,
non possiamo ciò certificare che per il secolo nono; ad ogni
modo, nella seconda metà del secolo quinto, i vescovi di Porto
non devono aver avuto giurisdizione sull'isola, nè la chiesa
di s. Giovanni Battista credo fosse ancora edificata. In quel
tempo, nell' isola, esisteva un carcere in cui si rinchiudevano
i condannati a morte per gravi delitti contro lo stato, affinchè
quivi aspettassero i trenta giorni che, secondo le disposizioni
di un antico senatusconsulto Tiberiano, dovevano trascorrere dal
momento in cui la sentenza era pronunciata a quello in cui
doveva essere eseguita. Infatti, nell'anno 469, in quel carcere
fu rinchiuso, come ci narra Sidonio Apollinare in una sua lettera,
Arvando prefetto delle Gallie condannato a morte per reati di
concussione e di alto tradimento verso lo stato (') ; ora è molto
probabile la congettura del De Suares che quel carcere appunto
fosse poi trasformato nella chiesa di s. Giovanni Battista (2),
la quale, per conseguenza, non esisteva ancora quando i Vandali
vennero ad occupare Roma. Ma questi argomenti che chiamerò
(!) Epist. I, l:sed [Arvandus] capite multatus in insulam conie-
ctus est serpentis Epidauri, ubi usque ad inimicorum dolorerà deve-
nustatus et a rebus humanis voluti vomitu fortunae nauseantis exsputus,
nunc ex vetere senatusconsulto Tiberiano triginta dierum vitam post sen-
tentiam trahit, uncum et Gemonias et laqueum per horas turbulenti car-
nificis horrescens (ed. Luetj oliami).
(2) Il De Suares (lett. citata) ritiene questo carcere per quello stesso
che è ricordato negli atti dei santi martiri persiani, Mario, Marta e com-
pagni, (le cui reliquie furono collocate nella chiesa di s. Giovanni Calibi! a,
come apparisce da una iscrizione ivi esistente [Forcella, X, p. 220, n. 344])
i quali morirono nella persecuzione di Claudio II; in codesti atti è detto che
quei martiri venientes in castra trans Tiberim, in carcere invenerunt ho-
minem venerabilem Cyrinum nomine (Acta Sanctorum, li, 216); ma io avrei
qualche dubbio in proposito, perché i castra ivi nominati o sono i castra
Ravennatium o i castra lectìcariorum che noi sappiamo essere esistiti nella
regione transtiberina (cf. Vaglieri, Castra [Dizionario Epigrafico di E. De
Ruggiero II, 138]) non però nell'isola Licaonia.