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— 148 —
suggello di storica autenticità dalle novelle scoperte monumentali. Dinanzi alla
cripta ed alle epigrafi, che ho descritto ed illustrato, il discutere se Cecilia fu
una martire non di Roma ma di Sicilia, se il racconto volgato della vita e morte
di lei è un pretto romanzo, ed altre siffatte esagerazioni della critica spregiante le
romane memorie dei martiri sepolti nei suburbani cemeteri, sarebbe inutile pompa
di facile trionfo. Ma non perciò tutto è divenuto chiaro e limpidissimo; ne tutte
le quistioni agitate sul tema degli atti di s. Cecilia sono dileguate come nebbia al
raggiare del sole. Anzi io stimo, che alcune tra quelle dubbiezze sieno divenute
più tormentose, che prima non erano ; e ne sia cresciuta la complicazione e l'am-
biguità. Accingiamoci ad esaminare quietamente ed attentamente l'arduo problema.

Del testo dei controversi atti e del secolo, in che fu loro data la forma, nella
nella quale noi li leggiamo, ho detto nei prolegomeni. È certo quel dettato non
essere più recente del secolo in circa quinto ; quando, come abbiamo veduto, i
Ceciliani discendenti della santa vivevano, e ambivano di avere sepoltura presso
le venerande reliquie della loro antenata. Le memorie, ch'ebbe in mano il redat-
tore di siffatta scrittura, nella famiglia medesima dei Cecilii cristiani poterono es-
sere conservate. Le prime parole del prologo quasi mi farebbero sospettare, che
uno di costoro quivi parli dicendo: Humanas laucles et mortalium infulas videmus
aut aere inciso conscriplas aut auro radiantibus litteris ad posteritatis memoriam coni'
mendatas : et ista attendens miror quare non erubescimus militum Christi victorias si-
lenzio tegere, et non ad laudem imperatoris eorum__ schedulis saltem vilibus tradere.

L'autore aveva dinanzi agli occhi i diplomi di bronzo affissi sulle pareti degli atrii
di nobile casa, e le pergamene scritte in lettere d'oro; e si vergognava, che mentre
tanta pompa facevasi dei fugaci titoli degli umani onori, nemmeno in vili schede
le vittorie imperiture dei militi di Cristo fossero registrate. Cotesta vergogna non
può alludere a generale negligenza verso tutti i martiri ; le gesta di molti tra questi
essendo certamente già state scritte e magnificate, quando l'ignoto autore imprese
a divulgare quelle di s. Cecilia. Perciò il rossore, il rimprovero, il paragone tra
la pompa delle mondane glorie e la noncuranza delle cristiane mi sembrano un
esordio speciale e proprio al caso della nobile martire; ed è naturale il pensare,
che o uno dei discendenti di lei così abbia scritto, o almeno ad essi lo scrittore
abbia inteso fare alcuna allusione. Comunque ciò sia, le memorie del martirio
di Cecilia e di Valeriano, Tiburzio, Massimo giacevano quasi neglette, quando il
loro editore ne compose la narrazione a noi pervenuta. In quelle memorie era
chiara ed espressa la storica data dei fatti ?

L'autore del secolo quinto non mi sembra averne avuto limpida e piena notizia.
Egli ne consoli nomina ne imperatori; in tutto il racconto però fa operare Urbano
vescovo, quem papam siium Christiani nominant, come pastore della chiesa romana.
Laonde stimo impossibile il dubitare, se egli abbia o no creduto quell' Urbano
essere il papa successore di Callisto. Ma intorno a questa credenza di lui doman-
deremo, se possiamo e dobbiamo in essa ciecamente fidare. Il compilatore della
vita di Urbano papa nel libro pontificale terminato circa il 530 conferma la nar-
razione degli atti di s. Cecilia. La materia però di quel libro in parte è tolta dagli
atti dei martiri ; e così la testimonianza della vita citata facilmente si risolve in
 
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