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— 149 —
quella medesima dell'autore, la cui credenza di quanta fiducia sia degna noi ora
cerchiamo. È innegabile, che costui scrivendo dell' Urbano vissuto ai tempi della
martire Cecilia, cade in qualche inesattezza dimostrante, che ce ne parla secondo
la sua opinione, non con le vere parole della storia contemporanea. Egli dice, che
Urbano depose la santa inter collegas suos episcopos, ubi omnes sancii martyres et con-
fessores sunt collocati. Quando Urbano papa viveva, il solo Zefirino poteva essere
stato deposto nella cripta dalle recitate parole accennata. Laonde cotesto linguaggio
attribuisce ai tempi della santa e dell' Urbano contemporaneo di lei ciò che si ve-
deva nel secolo quarto o nel quinto, ma che non si poteva leggere nelle memorie
del terzo esordiente. Pure scusabile sembrerà a taluni la notata inesattezza; avendo
Zefirino medesimo prescelto la cripta predetta ad accogliere i successivi depositi
pontificali; e polendo perciò Urbano avere voluto quivi onorare la martire di sepol-
tura presso uno dei colleghi antecessori e presso i futuri colleghi successori. Ma la
probabilità e il valore di siffatte scuse scema in ragione del numero e della gra-
vità dei passi, che richiedono il soccorso di benigna interpretazione. La grande
macchina di guerra adoperata da coloro, che impugnano gli atti di s. Cecilia, è
la persecuzione quivi narrata contro i Cristiani sotto il pontificato di Urbano. Il
quale cadde nell'impero di Alessandro Severo amicissimo della chiesa. Si risponde,
che malgrado la protezione del principe le leggi contro i fedeli vigevano, ed erano
talvolta eseguite da magistrati fanatici e sanguinari. Negli atti però la persecu-
zione è descritta come feroce, quotidiana e non paga dell' estremo supplizio, rifiu-
tante ai martiri perfino la sepoltura. Non è giusto il negare, che tempi sì fieri
sono difficili a comporre con l'indole di quelli verso la chiesa benigni di Ales-
sandro Severo. L'autore degli atti esplicitamente non nomina quest'imperatore;
solo implicitamente al regno di lui assegna la storia dei nostri martiri, dappoiché
crede Urbano, uno degli attori di essa, essere il papa. La quale credenza dal de-
scritto stato della persecuzione è resa giustamente sospetta di qualche errore ; e
in luogo di impugnare la veracità sostanziale del racconto è ragionevole il cercare,
se la data dei fatti non debba forse essere trasferita a tempi diversi da quelli di
Alessandro Severo.

Alessandro imperò Solo ; il prefetto di Roma negli interrogatorii dei martiri Ti-
burzio, Valeriano e Cecilia parla sempre a nome di più imperatori. A questa os-
servazione è stato opposto, che il magistrato non potendo invocare ordini speciali
di Alessandro Severo a danno dei Cristiani, invocò in genere le leggi dei romani
principi contro la nuova religione. La risposta in se è ottima; e pure nel caso
presente non mi appaga. Amachio (così nei prolegomeni ho corretto lo strano co-
gnome Almachio) parla con formole indicanti propriamente gli ordini dei principi
viventi : Domini nostri invictissimi principes jusserunt, ut Qui se non negaverint esse
Christianos puniantur, qui vero negaverint, dimittantur. Gli imperatori viventi si ap-
pellavano domini nostri ed invictissimi; i trapassati erano divi, e l'epiteto invicti
non soleva loro essere ordinariamente attribuito. Amachio poi dice: et vivificandi
et mortificandi mihi ab invictissimis principibus potestas est data, cui Cecilia risponde
ripetendo due volte nel senso medesimo il plurale principes e conchiude : impera-
tores lui mortis ministrum te esse voluerunt. Qui non si tratta di leggi, ma di giù-
 
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