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— 195 —

carme posto nella cripta papale, che ha relazione spontanea col primo distico del
secondo epigramma : Olim sacrilegam quam misit Graecia turbam, Martyrii meritis
ìiunc decorata nilet. La notata relazione però prova soltanto, che secondo ogni appa-
renza e il damasiano esametro e gli anonimi carmi parlano della medesima fami-
glia di martiri; venuti dalla Grecia a Roma pagani, e in Roma convertiti al
cristianesimo, uccisi per la confessione della loro novella fede e i cui sepolcri
furono uno dei precipui santuarii della necropoli callistiana. Ma il testo dei due
recitati epigrammi, eccetto il solo emistichio quam misit Graecia turbam. niun'altra
reminiscenza offre dello stile damasiano, né del frasario costante adottato dal poeta
pontefice; che compose i suoi versi d'un quasi centone di emistichii e di modi
ognora ricorrenti. Ne Damaso amò verseggiare in distici, avendo scritto quasi
sempre in esametri. Laonde panni da escludere al tutto l'ipotesi, che a sì famoso
autore attribuirebbe i due carmi.

Non perciò li giudicheremo di tarda età ; nò poco conto terremo della loro
testimonianza. Anzi l'esame intrinseco ed estrinseco dei due epigrammi mi per-
suade molta essere la loro antichità. In primo luogo osservo, che né il dettato
né il metro hanno sapore della barbarie, che in Roma tanto prevalse fino dal
secolo settimo '; e della quale eloquenti esempi e tipi caratteristici sono gli epi-
grammi dei musaici delle nostre basiliche e gli elogi metrici sepolcrali dei pon-
tefici e d' altri grandi personaggi morti in Roma nei secoli settimo e ottavo. Le
notizie poi, che i due carmi epilogano, bastano ad insegnarci, che essi alludono
ad atti più pieni e più antichi di quelli, il cui testo nel solo codice di s. Maria
ad martyrcs è conservato. Ciò sarà palese dalla lettura di quel testo che darò alla
luce nel capo seguente. Intanto proporrò i principali punti, nei quali le due epi-
grafi metriche variano dagli atti a noi pervenuti. L'elogio d'Ippolito, Adria e
Paolina ci narra che dalla Grecia a Roma venne una compagnia (turba) o famiglia
di pagani, i quali in mezzo al mare (atterriti da qualche tempesta) fecero voto al
Dite inferno, a Giove Stigio (funereo Iovi). Ippolito primo di quella turba rinun-
ciò all' idolatria, si ritirò a vita solitaria monachi ritu nelle grotte ; ove preparava
ai fedeli il cimitero (dulce cubile), operando forse coi fossori o promovendone a
sue spese il lavoro. Dulce cubile è parafrasi poetica e di antico sapore del voca-
bolo coemeterium, che in Africa fu volto nel latino accubito riunì ": e nella metrica
epigrafe di Severo diacono del papa Marcellino nel precedente libro illustrata il
sepolcrale cubiculum si dice fatto: quo membra dulcia sonino per longum tempus factori
et radici servet. Di questi fatti nel metrico elogio con parole di sì antico sapore
accennati manca la narrazione negli atti. I quali cominciano ex abrupto dall'epoca,
in che Ippolito già era cristiano; e soltanto nel seguito del racconto poche frasi
d'un dialogo di lui con Paolina alludono all' essere essi venuti di Grecia a Roma
pagani ed al voto da loro promesso in mare da sciogliersi in Capitolio, né si dice
a quale divinità. La differenza che corre tra cotesto vago linguaggio e gli ordinati
e precisi cenni del carme è evidente. L'Ippolito, che il carme parlando dei tempi

i Vedi Inscr. chrisl. T. I p. 590 e seg.
a Vedi T. I pag. 86.
 
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