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etc. Ora certo è questo il processo logico e naturale dello svi-
luppo del culto. Senonchè il Giove palatino ci si presenta di-
rettamente in uno stadio, che non è quello che si afferma essere
stato il primitivo. Il Giove che si venera sul Palatino è parti-
colarmente e solamente un Dio della guerra e degli eserciti,
sia che lo si adori come Dio della Vittoria in genere, sia che
10 si invochi più precisamente come colui che ferma l'impeto del
nemico. Tale aspetto, come si è visto, non è estraneo al Giove
osco e a quello umbro, ma, mentre in essi è soltanto secondario,
tiene invece, sembra, il primo posto nel Giove palatino. Il quale
d'altra parte non ci si presenta per nulla nell'aspetto di Dio del
cielo o della natura in generale. È infatti da notare come, mentre
sugli altri colli di Roma conosciamo, ad esempio, un » Juppiter
Fagutal » sull' Esquilino, un « Juppiter Viminus » sul Viminale,
un « Juppiter Caelius » e « Cacunus » sul Celio (1), che, a parte
11 loro carattere locale, sono divinità naturali, in quanto si ricol-
legano ad aspetti e ad esplicazioni delle forze della natura, di un
Giove analogo non abbiamo invece alcuna memoria sul Palatino.
Ciò vuol dire che la concezione della Divinità suprema
presso gli abitanti del Palatino o fu radicalmente diversa o ebbe
uno svolgimento più rapido e più profondo che presso gli abitanti
degli altri colli, nel senso che tale Divinità presso di loro o
ebbe subito e soltanto il carattere di Divinità della guerra, ovvero
dimise, più presto e più completamente che presso gli altri, il
primitivo carattere di Divinità naturale (2). E quale possa essere
stata la causa di questa particolare concezione o svolgimento si
deduce facilmente, considerando lo speciale sviluppo della città
del Palatino, che da un complesso di circostanze, che non è qui
(') Aust, loc. cit., col. 652 segg. l'ais, op. cit., p. 691 seg.
(!) Il l'iganiol nel suo recente volume Etsai sur les origina de Rome,
esposizione di idee talvolta invero assai bizzarre e discutibili, ritiene il
culto del Dio vincitore come una derivazione del culto preistorico del sommo
Dio patrizio, l'Etere e il Fuoco (p. 289 segg.).
etc. Ora certo è questo il processo logico e naturale dello svi-
luppo del culto. Senonchè il Giove palatino ci si presenta di-
rettamente in uno stadio, che non è quello che si afferma essere
stato il primitivo. Il Giove che si venera sul Palatino è parti-
colarmente e solamente un Dio della guerra e degli eserciti,
sia che lo si adori come Dio della Vittoria in genere, sia che
10 si invochi più precisamente come colui che ferma l'impeto del
nemico. Tale aspetto, come si è visto, non è estraneo al Giove
osco e a quello umbro, ma, mentre in essi è soltanto secondario,
tiene invece, sembra, il primo posto nel Giove palatino. Il quale
d'altra parte non ci si presenta per nulla nell'aspetto di Dio del
cielo o della natura in generale. È infatti da notare come, mentre
sugli altri colli di Roma conosciamo, ad esempio, un » Juppiter
Fagutal » sull' Esquilino, un « Juppiter Viminus » sul Viminale,
un « Juppiter Caelius » e « Cacunus » sul Celio (1), che, a parte
11 loro carattere locale, sono divinità naturali, in quanto si ricol-
legano ad aspetti e ad esplicazioni delle forze della natura, di un
Giove analogo non abbiamo invece alcuna memoria sul Palatino.
Ciò vuol dire che la concezione della Divinità suprema
presso gli abitanti del Palatino o fu radicalmente diversa o ebbe
uno svolgimento più rapido e più profondo che presso gli abitanti
degli altri colli, nel senso che tale Divinità presso di loro o
ebbe subito e soltanto il carattere di Divinità della guerra, ovvero
dimise, più presto e più completamente che presso gli altri, il
primitivo carattere di Divinità naturale (2). E quale possa essere
stata la causa di questa particolare concezione o svolgimento si
deduce facilmente, considerando lo speciale sviluppo della città
del Palatino, che da un complesso di circostanze, che non è qui
(') Aust, loc. cit., col. 652 segg. l'ais, op. cit., p. 691 seg.
(!) Il l'iganiol nel suo recente volume Etsai sur les origina de Rome,
esposizione di idee talvolta invero assai bizzarre e discutibili, ritiene il
culto del Dio vincitore come una derivazione del culto preistorico del sommo
Dio patrizio, l'Etere e il Fuoco (p. 289 segg.).