DI LEON BATTISTA ALBERTI
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porre qualche cosa, come egli ste(To afferma: & hebbe 1*ingegno così
facile, che parve ugualmente nato ad ogni sorte di disciplme: ne si
sa se fusse meglio oratore o poeta, se più eccellente scrittore Latino
o Toscano, se più valesse nelle scienze pratiche o speculative, c
se con più gravità ragionasse delle cose rilevate, o con più leggia-
dria & urbanità delle ordinane , e basse.
Si legge eh’ una volta Lorenzo de’ Medici, vero Mecenate del
suo secolo, per passar con manco fastidio i più gran caldi dell’ esta-
te, fece nella selva di Camaldoli una ragunata di personaggi illu-
stri in ogni sorte di letteratura, fra quali Marsilio Ficino, Donato
Acciaioli, Leon Battisfa Alberti, Alamanno Rinuccino, e Cnssoforo
Landino erano i principali. Qual fusse la conversàtione di si dotte
persone ogn’ uno Telo può immaginare. Ma più di nissun altro si fece
ammirare Y Alberti, il quale con diseorsi rilevati, e pieni di sublime
dottrina fece vedere a pieno che nell’ Eneide sotto la seorza di va-
rie , e vaghe fintioni, si naseondevano i più alti segreti della filo-
sofìa, e che Virgilio era un vero, e reale filosofo, ma veslito fan-
tashcamente e da poeta. Così sodi ragionamenti fecero tal impressio-
ne nell’animo de gli ascoltanti, che Cristoforo Landino (eh’in quel-
la occasione volse essere il segretario dell’ assemblea) gli regissrò tutti
in un libro, e ne formò poi quell’ opera che si vede ifampata in
lingua Latina sotto nome di Queslioni Camaldolensi : nelle quali ver-
so il fi ne cosi scrive il Landino: H&c junt qua de plunmis longeque ex-
cellentionbus, qu£ Leo- ‘Baptijìa Albertus memonter, dducide, ac copioje, in
tantorum njtrorum conj'ejj'u dtjputautt, memimjje uolui.
Lasciò l’Alberti molte belle compolitioni in Latino & in Tosca-
delle quali si vedrà qui di sotto un copioso ìndice. Fra le ope-
no
re Latine è digna d’eterna lode, e si può paragonare con tutta
r antichità, quella eh’è intitolata il Momo, la quale per la sua ec-
cellenza, nel medesimo anno 1520. fu Ifampata due volte in Roma.
E veramente in quella con sfraordinaria vaghezza, e non pemato ar-
tifino, scherzando, ridendo, burlando, si spiegano in quattro libri
quelle cose , che gli altri con maniere gravi, e severe senderò della
silosofia morale, essendosi però egli principalmente proposfo di toc-
care quelle che a formare un perfetto, & ottimo principe s’aspetta-
no, e cognoscere i costumi di quelli che gli vanno attorno. Bella
è ancora Y operetta chiamata Trivia , ovvero delle cause attenenti a
senatori, e quella eh’ egli intitolò Ve iure, cioè dell’ amministrar la
giusfitia , delle quali non so per qual cagione Cosìmo Bartoli, che
traslatò in lingua Italiana, e fece stampare in un volume molti opu~
feoh di Leon Battifìa Alberti, n abbia fatto il quinto e sedo libro
del Momo, ovvero del Principe. Scrisie un libretto di favole, nelle
quali si dice che nella bizzarria de’concetti habbia superato Esopo.
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porre qualche cosa, come egli ste(To afferma: & hebbe 1*ingegno così
facile, che parve ugualmente nato ad ogni sorte di disciplme: ne si
sa se fusse meglio oratore o poeta, se più eccellente scrittore Latino
o Toscano, se più valesse nelle scienze pratiche o speculative, c
se con più gravità ragionasse delle cose rilevate, o con più leggia-
dria & urbanità delle ordinane , e basse.
Si legge eh’ una volta Lorenzo de’ Medici, vero Mecenate del
suo secolo, per passar con manco fastidio i più gran caldi dell’ esta-
te, fece nella selva di Camaldoli una ragunata di personaggi illu-
stri in ogni sorte di letteratura, fra quali Marsilio Ficino, Donato
Acciaioli, Leon Battisfa Alberti, Alamanno Rinuccino, e Cnssoforo
Landino erano i principali. Qual fusse la conversàtione di si dotte
persone ogn’ uno Telo può immaginare. Ma più di nissun altro si fece
ammirare Y Alberti, il quale con diseorsi rilevati, e pieni di sublime
dottrina fece vedere a pieno che nell’ Eneide sotto la seorza di va-
rie , e vaghe fintioni, si naseondevano i più alti segreti della filo-
sofìa, e che Virgilio era un vero, e reale filosofo, ma veslito fan-
tashcamente e da poeta. Così sodi ragionamenti fecero tal impressio-
ne nell’animo de gli ascoltanti, che Cristoforo Landino (eh’in quel-
la occasione volse essere il segretario dell’ assemblea) gli regissrò tutti
in un libro, e ne formò poi quell’ opera che si vede ifampata in
lingua Latina sotto nome di Queslioni Camaldolensi : nelle quali ver-
so il fi ne cosi scrive il Landino: H&c junt qua de plunmis longeque ex-
cellentionbus, qu£ Leo- ‘Baptijìa Albertus memonter, dducide, ac copioje, in
tantorum njtrorum conj'ejj'u dtjputautt, memimjje uolui.
Lasciò l’Alberti molte belle compolitioni in Latino & in Tosca-
delle quali si vedrà qui di sotto un copioso ìndice. Fra le ope-
no
re Latine è digna d’eterna lode, e si può paragonare con tutta
r antichità, quella eh’è intitolata il Momo, la quale per la sua ec-
cellenza, nel medesimo anno 1520. fu Ifampata due volte in Roma.
E veramente in quella con sfraordinaria vaghezza, e non pemato ar-
tifino, scherzando, ridendo, burlando, si spiegano in quattro libri
quelle cose , che gli altri con maniere gravi, e severe senderò della
silosofia morale, essendosi però egli principalmente proposfo di toc-
care quelle che a formare un perfetto, & ottimo principe s’aspetta-
no, e cognoscere i costumi di quelli che gli vanno attorno. Bella
è ancora Y operetta chiamata Trivia , ovvero delle cause attenenti a
senatori, e quella eh’ egli intitolò Ve iure, cioè dell’ amministrar la
giusfitia , delle quali non so per qual cagione Cosìmo Bartoli, che
traslatò in lingua Italiana, e fece stampare in un volume molti opu~
feoh di Leon Battifìa Alberti, n abbia fatto il quinto e sedo libro
del Momo, ovvero del Principe. Scrisie un libretto di favole, nelle
quali si dice che nella bizzarria de’concetti habbia superato Esopo.
Com-