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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 7.1898

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Napoli nobilissima. Rivista di Topografia ed arte napoletana. Fasc. II
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Fiordelisi, Alfonso: Dove mangiavano i nostri nonni
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Notizie ed osservazioni
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https://doi.org/10.11588/diglit.70010#0046

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NAPOLI NOBILISSIMA

di liquori e vini forestieri ». E l’avviso finiva così : « l’abitazione
composta di dodici stanze offre bella veduta, magnifica loggia e
ampio giardino ».
Ma a Ferdinando Autiero, che « esercitava un’osteria al pa-
lazzo così detto di D. Anna », spettò l’onore nel 1821 di inau-
gurare « il locale detto di Frisio, sulla spiaggia di Posillipo »;
al quale tutte le migliaia di banchetti politici, scientifici e arti-
stici, non sono ancora riusciti a scemare quel fascino, che da
quasi un secolo esercita su ogni buon napoletano.
Alfonso Fiordelisi.

NOTIZIE ED OSSERVAZIONI
Conferenza Molmenti.
P. G. Molmenti ha fatto il giorno 13 febbraio al Circolo Filolo-
gico una conferenza dal titolo: Due età e due arti.
Dal resoconto e dai brani di essa, pubblicati sul Corriere di Napoli
del giorno dopo, togliamo:
« Nell’età di mezzo l’uomo non aveva valore se non come mera-
« bro di una famiglia, di una corporazione, di un popolo. Anche nel-
« l’arte medioevale si hanno, è vero, esempi d’indipendenti persona-
le lità: la scultura del Pisano, l’architettura dei due Masucci, e la pit-
ie tura di Giotto...
ee II chiarissimo conferenziere studia quindi le produzioni varie
ee dell’arte nel Rinascimento, l’influenza dell’umanesimo su di esse, i
« sommi artisti del tempo: il Brunelleschi, Michelangiolo, Raffaello;
« e,progredendo s’intrattiene con predilezione sul Solario, lo Zingaro, che
ee egli chiama il cronista immortale del popolo napoletano, e sul Carpac-
ci ciò di Venezia, che può ben dirsi un fratello del primo nel duplice amor
11 sacro dell’arte e della patria. L’opera del Solario e del Carpaccio por-
li tano l’impronta del paese loro, ed in essi, più che in altri, l’arte prende
11 il colore del luogo... ».
Siamo così daccapo coi due Masucci, non mai esistiti, e con lo Zin-
garo napoletano : errori no, ma spropositi che quasi non abbiamo vo-
glia di più correggere. Il Molmenti ha scoverto poi di suo che l'ar-
chitettura dei due Masucci si colloca accanto alla scultura di Niccolò
Pisano e alla pittura di Giotto!; e che lo Zingaro è il cronista (!) im-
mortale (!!) della vita napoletana (III), ossia quello Zingaro veneziano
(« Antonio da Solario venetus »), la cui opera consiste in una serie
di scene della vita di San Benedetto, nelle quali si notano pochi ca-
ratteri locali, ma questi, a giudizio dei critici, ci trasportano fuori di
Napoli e ci riportano appunto alla regione veneta! Ed il Molmenti,
che gode non piccola e non immeritata reputazione di storico d’arte,
ed è per giunta veneziano, doveva venire, da Venezia a Napoli, a
recitare questa infilzata di vecchie falsità, cento volte dimostrate e con-
futate, e di poco leggiadre invenzioni sue personali!
*
* #
I MARMI PEL PALAZZO REALE DI PORTICI.
II nostro collaboratore Del Pezzo, trattando del Reai Palazzo di
Portici, nel fascicolo undecimo, anno V, di questa rivista, scrisse che
i marmi per l’adornamento delle scalinate e delle sale vennero da
Carrara e da una cava presso Capua. Nuovi documenti da lui tro-
vati ora nei fasci 19 e 20 dei Siti Reali all’Archivio di Stato, aggiun-
gono altri particolari. Apprendiamo che si usarono anche le cave di
Vitulano e di Gesualdo e che si voleva spogliare e in parte si spo-
gliarono monumenti antichi e fino alcune chiese. A Benevento furono
nel 1751 comprate cinque colonne di broccatello antico, e due di

verde antico furono tolte dalla cattedrale di Ravello. Anche la catte-
drale di Napoli fu messa a contribuzione. L’arcivescovo Spinelli aveva
fatto trasportare segretamente a Roma sette colonne che erano appar-
tenute a questo tempio; tre di verde antico, due di bianco e nero, e
due di alabastro. Il marmoraio incaricato della vendita le offrì allo
scultore Canart, che era stato inviato dal Re a procurare marmi. Dopo
aver esaminate le sette colonne, il Canart scelse le due di bianco e
nero, ma non si rileva che le abbia spedite a Napoli insieme con
quelle che erano depositate a palazzo Farnese. Molte altre si vole-
vano comprare dalle chiese di Lucerà, di Troia, di Canosa, di Oria.
Lo stesso Canart in compagnia del padre Enrico Pini visitò a que-
sto scopo gran parte del regno, e mette conto di riportare integral-
mente la curiosa relazione che essi inviarono al Marchese Acciaiuoli
Intendente di Casa Reale:
« Ill.mo Signore,
« Ritornati da Oyra ove ci siamo portati in ubbidienza dei reali
ordini conferitici da V. S. Ill.ma per riconoscere le quattro colonne
di quella cattedrale che stanno in animo di vendersi da quel vescovo
e vedere se possono convenire a S. M., ci troviamo in obbligo non
solo di riferire a V. S. Ill.ma il nostro sentimento rispetto all’accen-
nate colonne, ma di rappresentarle ancora tutto quanto abbiamo in-
contrato, e veduto in varie parti delle provincie di Capitanata, Puglia
e Lecce, che però siamo a dirle, e primieramente.
« Che giunti al ponte di Legno in quella salita, per andare a
Dente di Cane, ritrovassimo pietre dure come la qualità del diaspro,
che veramente sono plasme di vari colori specialmente le grosse di-
sperse per quelle campagne: nè vi mancano gialli di ordinaria du-
rezza, essendosi intanto portata una breccia delle prime.
« In quelle comarche non vi mancano pietre mischie, che sono
come un porfido bastardo, le quali hanno lo stesso colore ma non
già le macchie puntate, come il porfido suddetto: sono però di non
ingrata vista, e s’estendono in lunghezza al più palmi otto, però di
difficile condotta.
« Nelle campagne di Gesualdo si vedono alabastri gialli e altri
ondati che danno tra il bigio e bianco, dai quali possono aversi pezzi
bellissimi.
« Nella cattedrale di Troia e precisamente alle spalle del coro
vi sono tre colonne di verde antico d’altezza palmi 14(4 proporzio-
nata grossezza e d’ordine corintio. Una è di verde perfettissimo e pu-
lito e si giudica docati 32 a palmo. L’altra, avendo alcune breccie
biggie, che la deteriorano, come pure al piede una mancanza, sminui-
sce di merito, onde si stima per due. 22 a palmo. Queste colonne
sono facili a levarsi, nè si corre alcun pericolo di fabbrica. Quel Ve-
scovo con cui ci abboccassimo a Foggia ci disse, che volentieri avrebbe
dato le menzionate due colonne per beneficiare col ricavato di esse la
sopradetta cattedrale: solamente avrebbe atteso gli ordini per poi po-
ter scrivere a Roma affine di ottenere il solito assenso, come l’aveva
già ottenuto per un tronco di colonna parimenti di verde antico ve-
duto da noi in terra di lunghezza palmi 9, diametro palmi due, che
veniva destinato ad un marmoraio per due. 26 a palmo, il che ci fece
giudicare a proposito ordinare che detto tronco non venisse ad altri
ceduto sino a nuovo avviso. Questo tronco si può condurre sopra
carro matto da cannone, non arrivando il peso di un pezzo da 16.
Le due colonne superano il peso di un pezzo da 24; e volendole im-
barcare devono essere portate a Manfredonia, lungi da Troia trenta
migliaia, tutta buona strada, che dolcemente discende, e parte è pia-
nura. Volendole per terra sino a Napoli sono ottanta e più miglia di
cammino.
 
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