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NAPOLI NOBILISSIMA
parla più al sentimento nascosta lì dietro nel silenzio, che
se stesse al centro della cappella, nella luce, nella gloria
dell’opera compiuta. Quale che sia il giudizio artistico su
di essi, i sepolcri dei tre fratelli s’impongono con la loro
tragico uniformità I1), con quelle tre teste tutte rivolte in
alto, invocanti la giustizia chiesta indarno alla terra. E chi
ha il culto sacro delle forme pure, del disegno corretto
e severo, può a ragione compiacersi di tale effetto d’in-
sieme come un trionfo della semplicità: per difetto di
semplicità nell’architettura, la cappella dei Sanseverino
non riuscì vera e grande opera d’arte; invece, grazie a
lei, resterà sempre un monumento vivo di dolore.
Nicola del Pezzo.
LA QUADRERIA DEL PRINCIPE DI SCILLA
La famiglia Ruffo di Calabria nel secolo XVIII, come
molte altre famiglie doviziose e nobili napoletane, possedè
una ricca collezione di quadri, pregevolissima pe’ dipinti
di celebri autori e per le opere dei migliori della Scuola
Napoletana.
Di questa pinacoteca non è fatto alcun cenno nelle me-
morie storiche di quel tempo, forse perchè restò chiusa per
molti anni nello storico castello di Scilla, che D. Guglielmo
Ruffo, Duca di Guardialombarda per la moglie D. Silvia
della Marra, divenuto nel 1704, per successione di suo
zio D. Francesco Maria Ruffo, Principe di Scilla e posses-
sore del suo ricco stato di Calabria, prescelse a sua stabile
dimora. E venuto a morte, non seppe meglio dimostrare
il suo grande attaccamento a questo tesoro artistico con
premurosa cura e grandissimo dispendio raccolto e custo-
dito, se non istituendone un maiorascato pe’ suoi discen-
denti, a’ quali, non solo pose il divieto dell’alienazione per
qualsisia causa, ma ingiunse l’obbligo di conservare la qua-
dreria nel luogo ove si trovava, considerando quanto mag-
gior lustro provenisse da questa collezione di opere d’arte
all’avito castello.
La raccolta comprendeva 295 quadri, così distinti: di
soggetti sacri 132, tra’ quali figuravano lavori di Raffaello,
di Rubens, del Tintoretto, del Veronese, di Tiziano, di
Carlo Dolci e dello Spagnoletto; di autori incerti 15; di
ritratti 21; di battaglie 7; di uccelli e pesci 53; di frutta
e fiori 67. A volerne indagare l’origine, ci pare che si
possa senza tema di errare attribuirla al Principe D. Ti-
berio Ruffo, che ebbe in grande onore le arti belle e spe-
li) Frizzoni, Arte italiana del Rinascimento.
cialmente la pittura e verso gli artisti fu munificentissimo;
prova ne sia l’ospitalità da lui data ad un pittore fiam-
mingo a noi sconosciuto, dal quale poi si fece ritrarre in-
sieme con D. Agata Branciforte sua moglie.
A’ quadri già posseduti dalla famiglia, aggiunti quelli
che il Principe D. Tiberio fece suoi, alcuni di antichi pit-
tori, altri commessi al pennello di eccellenti pittori del
tempo, il numero delle tele divenne presto considerevole.
Più copiosa e più splendida rese la raccolta il figlio
D. Guglielmo Principe di Scilla, che non fu secondo al
padre nel culto per le arti belle; egli fece anche riedificare
e riccamente decorare l’antica chiesa di S. Pietro Apo-
stolo sul piano di Aspromonte, nel suo feudo di Calabria,
e vi pose una pregevole scultura della scuola del Bernini
rappresentante il santo titolare della Chiesa (*).
Ma nè le severe disposizioni del maiorascasto, nè le no-
bili tradizioni di famiglia valsero a salvare dalla dispersione
la preziosa raccolta del Principe di Scilla: molti quadri fu-
rono mano mano venduti, altri andarono dispersi, non po-
chi furono danneggiati dal tempo e dall’azione delle brezza
marina, essendo il castello di Scilla sul lido del mare;
quelli che furono trasportati a Napoli dopo la morte del
pronipote di D. Guglielmo Ruffo nell’aprile 1848, furono
venduti al pubblico incanto sulla stima che ne fece il
Cav. Camillo Guerra dell’istituto di Belle Arti.
Confrontando i due inventarli, quello che fu fatto dopo
la morte del Principe D. Guglielmo e quello del Cavaliere
Guerra, appare manifesto quale scempio ne fu fatto, e con
un senso di profonda melanconia consideriamo chiusa la
via a qualunque indagine sulla sorte toccata a quelle opere
insigni che erano elencate nel primo inventario e che nel
secondo non più appariscono.
Non sarà privo d’interesse avere sott’occhio i due in-
ventarli, quello redatto alla morte dell’Eccellentissimo D.
Guglielmo Ruffo, Principe di Scilla, cui va aggiunto l’elenco
di una ricca collezione di archibugi appartenuta al mede-
simo Principe (2 3), e l’altro del Cav. Guerra del 7 febbraio
1853 (3), che noi per far cosa grata agli studiosi di patrie
memorie qui pubblichiamo.
Eustachio Rogadeo di Torrequadra.
Quindeci quadri originali di Francesco di Muro con la cor-
nice nera a tre ordini d’oro di palmi 403, delli quali uno rap-
presenta S. Michele Arcangelo, l’altro l’Angelo Custode, l’altro
S. Gennaro, l’altro S. Nicola di Bari, l’altro S. Gregorio Tauma-
turgo, l’altro S. Pietro Apostolo, l’altro S. Pietro d’Alcantara,
(1) V. le Notizie storiche della città di Scilla pel Canonico Giovanni
Minasi.
(2) Dal suo testamento fatto nel castello della città di Scilla il 27
marzo, X indiz., 1747, esistente nel Processo del Grande Archivio di
Napoli, n. 8767.
(3) Protocollo del not. cav. Gaetano Martinez di Napoli.
NAPOLI NOBILISSIMA
parla più al sentimento nascosta lì dietro nel silenzio, che
se stesse al centro della cappella, nella luce, nella gloria
dell’opera compiuta. Quale che sia il giudizio artistico su
di essi, i sepolcri dei tre fratelli s’impongono con la loro
tragico uniformità I1), con quelle tre teste tutte rivolte in
alto, invocanti la giustizia chiesta indarno alla terra. E chi
ha il culto sacro delle forme pure, del disegno corretto
e severo, può a ragione compiacersi di tale effetto d’in-
sieme come un trionfo della semplicità: per difetto di
semplicità nell’architettura, la cappella dei Sanseverino
non riuscì vera e grande opera d’arte; invece, grazie a
lei, resterà sempre un monumento vivo di dolore.
Nicola del Pezzo.
LA QUADRERIA DEL PRINCIPE DI SCILLA
La famiglia Ruffo di Calabria nel secolo XVIII, come
molte altre famiglie doviziose e nobili napoletane, possedè
una ricca collezione di quadri, pregevolissima pe’ dipinti
di celebri autori e per le opere dei migliori della Scuola
Napoletana.
Di questa pinacoteca non è fatto alcun cenno nelle me-
morie storiche di quel tempo, forse perchè restò chiusa per
molti anni nello storico castello di Scilla, che D. Guglielmo
Ruffo, Duca di Guardialombarda per la moglie D. Silvia
della Marra, divenuto nel 1704, per successione di suo
zio D. Francesco Maria Ruffo, Principe di Scilla e posses-
sore del suo ricco stato di Calabria, prescelse a sua stabile
dimora. E venuto a morte, non seppe meglio dimostrare
il suo grande attaccamento a questo tesoro artistico con
premurosa cura e grandissimo dispendio raccolto e custo-
dito, se non istituendone un maiorascato pe’ suoi discen-
denti, a’ quali, non solo pose il divieto dell’alienazione per
qualsisia causa, ma ingiunse l’obbligo di conservare la qua-
dreria nel luogo ove si trovava, considerando quanto mag-
gior lustro provenisse da questa collezione di opere d’arte
all’avito castello.
La raccolta comprendeva 295 quadri, così distinti: di
soggetti sacri 132, tra’ quali figuravano lavori di Raffaello,
di Rubens, del Tintoretto, del Veronese, di Tiziano, di
Carlo Dolci e dello Spagnoletto; di autori incerti 15; di
ritratti 21; di battaglie 7; di uccelli e pesci 53; di frutta
e fiori 67. A volerne indagare l’origine, ci pare che si
possa senza tema di errare attribuirla al Principe D. Ti-
berio Ruffo, che ebbe in grande onore le arti belle e spe-
li) Frizzoni, Arte italiana del Rinascimento.
cialmente la pittura e verso gli artisti fu munificentissimo;
prova ne sia l’ospitalità da lui data ad un pittore fiam-
mingo a noi sconosciuto, dal quale poi si fece ritrarre in-
sieme con D. Agata Branciforte sua moglie.
A’ quadri già posseduti dalla famiglia, aggiunti quelli
che il Principe D. Tiberio fece suoi, alcuni di antichi pit-
tori, altri commessi al pennello di eccellenti pittori del
tempo, il numero delle tele divenne presto considerevole.
Più copiosa e più splendida rese la raccolta il figlio
D. Guglielmo Principe di Scilla, che non fu secondo al
padre nel culto per le arti belle; egli fece anche riedificare
e riccamente decorare l’antica chiesa di S. Pietro Apo-
stolo sul piano di Aspromonte, nel suo feudo di Calabria,
e vi pose una pregevole scultura della scuola del Bernini
rappresentante il santo titolare della Chiesa (*).
Ma nè le severe disposizioni del maiorascasto, nè le no-
bili tradizioni di famiglia valsero a salvare dalla dispersione
la preziosa raccolta del Principe di Scilla: molti quadri fu-
rono mano mano venduti, altri andarono dispersi, non po-
chi furono danneggiati dal tempo e dall’azione delle brezza
marina, essendo il castello di Scilla sul lido del mare;
quelli che furono trasportati a Napoli dopo la morte del
pronipote di D. Guglielmo Ruffo nell’aprile 1848, furono
venduti al pubblico incanto sulla stima che ne fece il
Cav. Camillo Guerra dell’istituto di Belle Arti.
Confrontando i due inventarli, quello che fu fatto dopo
la morte del Principe D. Guglielmo e quello del Cavaliere
Guerra, appare manifesto quale scempio ne fu fatto, e con
un senso di profonda melanconia consideriamo chiusa la
via a qualunque indagine sulla sorte toccata a quelle opere
insigni che erano elencate nel primo inventario e che nel
secondo non più appariscono.
Non sarà privo d’interesse avere sott’occhio i due in-
ventarli, quello redatto alla morte dell’Eccellentissimo D.
Guglielmo Ruffo, Principe di Scilla, cui va aggiunto l’elenco
di una ricca collezione di archibugi appartenuta al mede-
simo Principe (2 3), e l’altro del Cav. Guerra del 7 febbraio
1853 (3), che noi per far cosa grata agli studiosi di patrie
memorie qui pubblichiamo.
Eustachio Rogadeo di Torrequadra.
Quindeci quadri originali di Francesco di Muro con la cor-
nice nera a tre ordini d’oro di palmi 403, delli quali uno rap-
presenta S. Michele Arcangelo, l’altro l’Angelo Custode, l’altro
S. Gennaro, l’altro S. Nicola di Bari, l’altro S. Gregorio Tauma-
turgo, l’altro S. Pietro Apostolo, l’altro S. Pietro d’Alcantara,
(1) V. le Notizie storiche della città di Scilla pel Canonico Giovanni
Minasi.
(2) Dal suo testamento fatto nel castello della città di Scilla il 27
marzo, X indiz., 1747, esistente nel Processo del Grande Archivio di
Napoli, n. 8767.
(3) Protocollo del not. cav. Gaetano Martinez di Napoli.