n6
NAPOLI NOBILISSIMA
cernente si possa immaginare, di una di quelle cornici a
punte aguzze, i cui modelli si ritrovano in santa Maria
la Nuova di Melfi e in santa Maria degli Angeli della
stessa Atella.
Santa Maria di Vitalba — Fotografia di V. Bocchetta.
I.
Vitalba richiama al pensiero una di quelle terre medie-
vali dell’Italia Meridionale, da gran tempo scomparse, e
delle quali oggi si conosce il solo nome. Durante il se-
colo XI, nelle bolle papali di Giovanni XIX (1025), di
Alessandro II (1062) e di Urbano II (1089) del duomo
di Bari, riferite dall’UGHELLi, essa è indicata — con Ci-
sterna — tra le più antiche sedi vescovili del Vulture,
suffraganee di Canosa (D; al 1131 un Unfredo di Vitalba
è fra’ sottoscrittori di un diploma della badia di Cava,
citato dal Di Meo, dato da San Pietro di Olivola in quel
di Sant’Agata di Puglia. Nel catalogo de’ baroni normanni
(1154-69) è segnata come feudo separato e distinto, te-
nuto in demanio da Riccardo di Baivano, figlio di Gilberto
gran conestabile del Regno e padre di Gilberto costruttore
di santa Maria di Perno, — a cui ed egli e la nuora Mar-
gherita e il nipote Guglielmo di Monteverde (se sono
vere alcune scritture del secolo XII, conservate, in copie
legali, presso l’Archivio di san Severino in Napoli (2))
(1) Cod. Dipi. Bar., voi. I, pp. 21, 42 e 61, Bari, 1897. Cfr. Pflung-
Hartung, Acta Pontif. Rom. ined., voi. II, parte I, e Db Blasiis, Arch.
stor. per le prov. nap., an. IX, fase. IV, p. 756. — Di Farnolfo, vescovo
di Cisterna nel 1054, v. Sancì Petri Damiani, Opus., XIX.
(2) Commessione Feudale, Processo pel Comune di Atella, n. 5538,
col titolo: Processus originalis compositionis inter Principes Torellae et
Mclfiae, voi. 1021, ff. 267, 269, 271, 273, 281, 286. Le scritture origi-
nali della chiesa di Santa Maria di Perno, già appartenenti al mona-
stero del ss. Salvatore del Goleto, e quindi alla Casa dell’Annunziata
di Napoli, commendataria della badia di Montevergine, andarono per-
sarebbero stati larghi di concessioni in beni rustici: del
testamento di Guglielmo, dato nel 1230, è parola in una
pergamena, non originale, della Società di storia patria
Napoletana I1). Tempore imperatoris, un Guido Filangeri par-
rebbe ne fosse stato, per poco, il signore: da lui i ve-
scovi di Rapolla tenevano di aver ragione su parte delle
loro decime ecclesiastiche, nella bagliva di Vitalba. Tra
le prime inchieste angioine di Basilicata (1273-79), essa
non comparisce più come centro abitato; unita al vicino
feudo di Armaterra (un borgo e una torre nel vallone di
Pietracupa, a manca del torrente Vónghia), è posseduta,
ratione maritagi sive dotis, da Giovanni Gaulart, milite e
familiare di Carlo I, perchè sposo di Altruda di Drogone,
signora della valle ex successione domine Isabelle matris sue
et domini Guillelmi de Monteviridi avi sui. Riceduta alla Cu-
ria, passò nel 1284 al castellano di Minervino, Gerardo
d’Ivort, dalla cui vedova, moglie in seconde nozze di Pie-
tro di Villaperosa, fu nel 1303 riacquisita al fisco e —
non più ornai se non villa sen casale exabitatum — com-
presa in quella grande baronia vallis Vitis Albe de lustitia-
riatu Basilicate, che insieme con San Fede et sua pertinenza
(Ruvo del Monte) venne data, successivamente, agli ultimi
tre figli di re Carlo II, — Raimondo Berengario, Pietro
e Giovanni. Solo Rapone, con la chiesa di san Tommaso
del Cerrùtolo, non tornò più a’ signori della valle, e, per
un pezzo, il piccolo feudo delle Caldane, lassù a’ molini
di San Cataldo, donde si valicava l’Appennino e si scen-
deva a Santa Sofia apud Labellam, restò ancora staccato
da Vitalba, fornendo remi de’ suoi boschi alle galee del
l’Adriatico. Dominava d’ognintorno la ròcca di San Fele,
duro carcere al primo e rea tomba al secondo de’ due
Enrichi, figli di Federigo, — ultimo rifugio, nel 1254, de’
ribelli contro Manfredi, al quale tenne fede, e allora e poi,
un Francesco di Armaterra. Quella ròcca, oggidì rasa al
suolo, fu fatta restaurare nel 1270 da Carlo I, e durò a
lungo sotto la dipendenza della Curia regia.
Su quasi tutta la baronia, corsa —■ non sine ignominia
nostri nominis et honoris — da’ banditi, perchè chiusa tra
le regie foreste di Lagopesole e del Gàudo ad oriente e
le terre badiali di Monticchio e del Goleto ad occidente,
vantava diritti di ogni genere, per sè e per i vassalli di
Rionero e di Barile, il vescovo di Rapolla; evidentemente,
l’antica diocesi di Vitalba, annessa alla chiesa di Rapolla —
forse — ab antiquis catholicorum regum Sicilie temporibus,
ossia, sino dal regno di re Ruggero, doveva comprendere
dute nell’anno 1843 (G. B. D’Addosio, Sommario delle pergamene con-
servate nell’Archivio della Reai Santa Casa dell’Annunziata, p. VI). Il no-
tamente di esse è tuttora neWlnventario generale dell’Archivio della
Reai Santa Casa, fol. 203 a 205.
(1) Perg., fascio III, n. 52.
NAPOLI NOBILISSIMA
cernente si possa immaginare, di una di quelle cornici a
punte aguzze, i cui modelli si ritrovano in santa Maria
la Nuova di Melfi e in santa Maria degli Angeli della
stessa Atella.
Santa Maria di Vitalba — Fotografia di V. Bocchetta.
I.
Vitalba richiama al pensiero una di quelle terre medie-
vali dell’Italia Meridionale, da gran tempo scomparse, e
delle quali oggi si conosce il solo nome. Durante il se-
colo XI, nelle bolle papali di Giovanni XIX (1025), di
Alessandro II (1062) e di Urbano II (1089) del duomo
di Bari, riferite dall’UGHELLi, essa è indicata — con Ci-
sterna — tra le più antiche sedi vescovili del Vulture,
suffraganee di Canosa (D; al 1131 un Unfredo di Vitalba
è fra’ sottoscrittori di un diploma della badia di Cava,
citato dal Di Meo, dato da San Pietro di Olivola in quel
di Sant’Agata di Puglia. Nel catalogo de’ baroni normanni
(1154-69) è segnata come feudo separato e distinto, te-
nuto in demanio da Riccardo di Baivano, figlio di Gilberto
gran conestabile del Regno e padre di Gilberto costruttore
di santa Maria di Perno, — a cui ed egli e la nuora Mar-
gherita e il nipote Guglielmo di Monteverde (se sono
vere alcune scritture del secolo XII, conservate, in copie
legali, presso l’Archivio di san Severino in Napoli (2))
(1) Cod. Dipi. Bar., voi. I, pp. 21, 42 e 61, Bari, 1897. Cfr. Pflung-
Hartung, Acta Pontif. Rom. ined., voi. II, parte I, e Db Blasiis, Arch.
stor. per le prov. nap., an. IX, fase. IV, p. 756. — Di Farnolfo, vescovo
di Cisterna nel 1054, v. Sancì Petri Damiani, Opus., XIX.
(2) Commessione Feudale, Processo pel Comune di Atella, n. 5538,
col titolo: Processus originalis compositionis inter Principes Torellae et
Mclfiae, voi. 1021, ff. 267, 269, 271, 273, 281, 286. Le scritture origi-
nali della chiesa di Santa Maria di Perno, già appartenenti al mona-
stero del ss. Salvatore del Goleto, e quindi alla Casa dell’Annunziata
di Napoli, commendataria della badia di Montevergine, andarono per-
sarebbero stati larghi di concessioni in beni rustici: del
testamento di Guglielmo, dato nel 1230, è parola in una
pergamena, non originale, della Società di storia patria
Napoletana I1). Tempore imperatoris, un Guido Filangeri par-
rebbe ne fosse stato, per poco, il signore: da lui i ve-
scovi di Rapolla tenevano di aver ragione su parte delle
loro decime ecclesiastiche, nella bagliva di Vitalba. Tra
le prime inchieste angioine di Basilicata (1273-79), essa
non comparisce più come centro abitato; unita al vicino
feudo di Armaterra (un borgo e una torre nel vallone di
Pietracupa, a manca del torrente Vónghia), è posseduta,
ratione maritagi sive dotis, da Giovanni Gaulart, milite e
familiare di Carlo I, perchè sposo di Altruda di Drogone,
signora della valle ex successione domine Isabelle matris sue
et domini Guillelmi de Monteviridi avi sui. Riceduta alla Cu-
ria, passò nel 1284 al castellano di Minervino, Gerardo
d’Ivort, dalla cui vedova, moglie in seconde nozze di Pie-
tro di Villaperosa, fu nel 1303 riacquisita al fisco e —
non più ornai se non villa sen casale exabitatum — com-
presa in quella grande baronia vallis Vitis Albe de lustitia-
riatu Basilicate, che insieme con San Fede et sua pertinenza
(Ruvo del Monte) venne data, successivamente, agli ultimi
tre figli di re Carlo II, — Raimondo Berengario, Pietro
e Giovanni. Solo Rapone, con la chiesa di san Tommaso
del Cerrùtolo, non tornò più a’ signori della valle, e, per
un pezzo, il piccolo feudo delle Caldane, lassù a’ molini
di San Cataldo, donde si valicava l’Appennino e si scen-
deva a Santa Sofia apud Labellam, restò ancora staccato
da Vitalba, fornendo remi de’ suoi boschi alle galee del
l’Adriatico. Dominava d’ognintorno la ròcca di San Fele,
duro carcere al primo e rea tomba al secondo de’ due
Enrichi, figli di Federigo, — ultimo rifugio, nel 1254, de’
ribelli contro Manfredi, al quale tenne fede, e allora e poi,
un Francesco di Armaterra. Quella ròcca, oggidì rasa al
suolo, fu fatta restaurare nel 1270 da Carlo I, e durò a
lungo sotto la dipendenza della Curia regia.
Su quasi tutta la baronia, corsa —■ non sine ignominia
nostri nominis et honoris — da’ banditi, perchè chiusa tra
le regie foreste di Lagopesole e del Gàudo ad oriente e
le terre badiali di Monticchio e del Goleto ad occidente,
vantava diritti di ogni genere, per sè e per i vassalli di
Rionero e di Barile, il vescovo di Rapolla; evidentemente,
l’antica diocesi di Vitalba, annessa alla chiesa di Rapolla —
forse — ab antiquis catholicorum regum Sicilie temporibus,
ossia, sino dal regno di re Ruggero, doveva comprendere
dute nell’anno 1843 (G. B. D’Addosio, Sommario delle pergamene con-
servate nell’Archivio della Reai Santa Casa dell’Annunziata, p. VI). Il no-
tamente di esse è tuttora neWlnventario generale dell’Archivio della
Reai Santa Casa, fol. 203 a 205.
(1) Perg., fascio III, n. 52.