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C v4 N T 0

XLII.
Il primo cavalier , eh' ella piagarle ,
Fu l'erede minor del Rege Inglese.
De' suoi ripari appena il capo ei traile,
Che la mortai percossa in lui diseese.
E che la delira man non gli trapasTe,
Il guanto dell'acciar nulla contese^
Sicché inabile all' arme ei si ritira
Fremendo, e meno di dolor, che d'ira.
XLIII.
Il buon Conte d' Ambuosa in ripa al fosTo,
E su la scala poi Clotareo il Franco:
. Qilegli morì trafitto il petto e '1 dolio :
Quelli dall'un pasìato all'altro fianco.
Sospingeva il monton, quando è percolTo
Al signor de' Fiamminghi il braccio manco
Sicché tra via s'allenta, e vuol poi trarne
Lo llrale , e reità il ferro entro la carne.
XLIV.
All' incauto Ademar, eh' era da lunge
La fera pugna a riguardar rivolto,
La fatai canna arriva , e in fronte il punge
Stende ei la delira al loco ove fu colto,
Quando nova saetta ecco sorgiunge
Sovra la mano, e la configge al volto :
Onde egli cade, e fa del sangue sacro
Su l'arme femminili ampio lavacro.
XLV.
Ma non lungi da' merli a Palamede,
Mentre ardito disprezza ogni periglio,
E su per gli erti gradi indrizza il piede,
Cala il settimo ferro al deliro ciglio:
E trapalsando per la cava sede,
E tra i nervi dell' occhio, esee vermiglio
Diretro per la nuca : egli trabocca,
E more appiè dell' alsalita rocca.
 
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