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D E C IMO QUARTO.
lxx.
Un' isoletta, la qual nome prende
Con le vicine sue dalla Fortuna.
Quinci ella in cima a una montagna ascende
Disabitata, e d'ombre oscura e bruna.
E per incanto a lei nevose rende
Le spalle, e i fianchi : e senza neve alcuna
Gli lascia il capo verdeggiante e vago:
E vi fonda un palagio appressb un lago.
lxxi.
Ove in perpetuo Aprii molle amorosa
Vita seco ne mena il suo diletto.
Or da cosi lontana, e così ascosa
Prigion trar voi dovete il giovinetto:
E vincer della timida e ge losa
Le guardie , ond' è difeso il monte e '1 tetto.
E già non mancherà chi là vi scorga,
E chi per l'alta impresa arme vi porga.
lxxii.
Troverete, del fiume appena sorti,
Donna giovin di viso , antica d' anni :
Ch'a' lunghi crini in su la fronte attorti
Fia nota, ed al color vario de' panni.
Questa per l'alto mar fia che vi porti
Più ratta che non spiega aquila i vanni,
Più che non vola il folgore : nè guida
La troverete al ritornar men fida.
lxxiii.
A piè del monte, ove la maga alberga,
Sibilando strisciar novi Pitoni,
E cinghiali arrizzar l'aspre lor terga,
Ed aprir la gran bocca orli e leoni
Vedrete ^ ma scuotendo una mia verga,
Temeranno appreisarsi ove ella suoni.
Poi via maggior (se dritto il ver s'estima)
Troverete il periglio in su la cima.
( in )
 
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