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LXXXVI.
Taciti se ne gian per l'aria nera5
Quando al Garzon si volge il Vecchio, e dice
Veduto hai tu della tua stirpe altera
I rami, e la vetusla alta radice.
E sebben'ella dell'età primiera
Stata è fertil d'eroi madre, e felice;
Non è, nè fia di partorir mai {lanca $
Che per vecchiezza in lei virtù non manca
LXXXVII.
O come tratto ho fuor del fosco seno
Dell' età prisca i primi padri ignoti ;
Così potessi ancor scoprire appieno
Ne' secoli avvenire i tuoi nipoti -y
E pria ch'elsi apran gli occhi al bel sereno
Di quella luce, fargli al mondo noti;
Che de' futuri eroi già non vedresti
L'orditi men lungo, o pur men chiari i gesti
LXXXVIII.
Ma l'arte mia per se dentro al futuro
Non scorge il ver, che troppo occulto giace
Se non caliginoso, e dubbio e scuro,
Quali lunge per nebbia incerta face.
E se cosa qual certo io m'aisicuro
Affermarti, non sono in quello audace j
Ch' io l'intesi da tal, che senza velo
I secreti talor scopre del Cielo.
LXXXIX.
Quel eh'a lui rivelò luce divina,
E eh' egli a me seoperse, io a te predico.
Non fu mai greca, o barbara, o latina
Progenie in quello, o nel buon tempo antico.
Ricca di tanti eroi, quanti deslina
A te chiari nipoti il Cielo amico:
Ch'agguaglieran qual più chiaro si noma
Di Sparta, di Cartagine, e di Roma.
( 203 )
 
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