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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 12.1909

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8o

BIBLIOGRAFIA

sione dell’arte riberiana: il Vaccaro e il Preti la ri-
sentono assai; Salvatore Rosa come incisore si ispira
del tutto su Ribera. Anche i bolognesi non sfuggirono
all’influsso del Ribera; che è poi chiaramente visibile
in Spagna nel Pereda, in Alonzo Cano, in Juan de
Sevilla, e persino nei grandissimi, in Velasquez, in
Murillo, in Zurbaran, Ed infatti lo Spagnoletto apri
veramente una nuova via all’arte nazionale spaglinola,
accoppiando così mirabilmente il naturalismo all’in-
tensità dell’affetto.

Antonio Munoz.

Laudedeo Testi : Storia della Pittura Vene-
ziana. Parte Prima: Le Origini. Bergamo,
1909.

Avviene, a chi legge un libro che abbia un difetto
grave ed evidente, di pensare su per giù : qualunque
sia il numero e la qualità dei pregi, questi vengono
offuscati dal difetto. E su questo giudizio il pensiero
si adagia, e sottintende che i pregi in quel lavoro non
mancano; anzi quanto più grave è il difetto, tanto
più l’anima misericordiosa dei lettori è disposta ad
ammettere grandi i pregi sottintesi. Se non isbaglio,
un ragionamento siffatto è quello dei lettori del libro
del Testi; perchè la prevalenza e la personalità della
polemica e la volgarità del linguaggio sono troppo
evidenti per non capire che si legge un libro non di
storia dell’arte, bensì di sfoghi dell’Autore. Io non
voglio fare altrettanto, e chiedo agli studiosi di storia
dell’arte: Pregi, in questo libro, ce ne sono?

L’ideale dell’Autore, manifestato nella prefazione
è di fare « non solo la storia, ma l'archivio, il cata-
logo della pittura veneta ». Voglio essere condiscen-
dente, e mi fermo prima sulla parte erudita.

Il valore di un archivio è quello di darci notizie
ignote. Non una che non sia stata pubblicata già il
Testi ci ha dato. E come avrebbe potuto, se nell’Ar-
chivio di Stato di Venezia non ha studiato mai, 1 e
si è limitato, per due o tre questioncelle, a chiedere
recentemente informazioni per lettera al personale
dell'Archivio stesso? Non aveva dunque alcuna pre-
parazione archivistica per raggiungere lo scopo.

E ne aveva una paleografica? Quello che egli ha
scritto sulla firma : ìohes baili, di un quadro del museo
di Verona, c’illumina. Perchè dissi nel mio lavoro su
« Le origini della Pittura Veneziana », che essa era
falsa, apriti cielo! il Testi arriva a parlare di un
mio « odio belluino .... pei libri, per la paleografia »
(pag. 348), di documenti che « ricacciano nel nulla le
fantasticherie del Venturi » (pag. 350) ecc. ecc., e di cose
peggiori che trascuro, per avvertir subito il lettore
che la firma è semplicemente falsa. Alle ragioni pa-

1 II,che non gli toglie di citare talora l’Archivio di Stato diretta-
mente, senza far parola della fonte a cui ha attinto.

leografiche (l’incertezza dei contorni delle lettere, il
modo di fare i punti come accenti, l’imitazione del
gotico quale si è usata nella scrittura corale sino al
secolo xviii, la posizione della scritta e la sua identità
con la firma pure falsa di un pittore di tempo di-
verso qual fu Bartolomeo Badile); dopo la pubblica-
zione del Testi il Gerola ha aggiunto ragioni storiche
inconfutabili che dimostrano la firma esser falsissima. 1
S’intende che il Testi nel contradirmi non s’era neppur
provato a fare una dimostrazione paleografica ; gli era
bastato citare documenti che non aveva, e scaraven-
tarmi contro l’ingiuria. È permesso ora di chiedere
chi di noi ha l'odio belluino per la paleografia? Nè
il T. si ferma, ma aggiunge (pag. 34S), poiché il Bia-
dego e il Simeoni hanno da tempo pubblicato notizie
sul pittore Giovanni Badile: « Con qual pronte può
dire il V. nell’anno 1907 che sul Badile non abbiamo
notizie?» Eppure, signor Testi, Lei sa bene che ri-
tenevo apocrifa quella firma, che ora è dimostrata
tale, e che non parlavo di Giovanni Badile, ma di

un «così detto Baili », cioè dell’anonimo autore della
tavola. Con qual fronte, dunque? dirò a mia volta.

A parte i metodi polemici, con una simile prepa-
razione che poteva dire il Testi di nuovo sulla vita
degli artisti veneziani ?

Il tener conto di tutto quanto, buono o cattivo, è
stato pubblicato su di essi e il confronto dei testi fra
loro, han tatto sì che egli ha potuto correggere alcune
date. Se non che appena corrette, appena aggiunta
una notiziola sfuggita all’attenzione comune, non ci
vede più dalla gioia, non connette più.

Udite quel che potè fare Lionello Venturi (pag. 335J?
« Dimenticò, ed è eirrore imperdonabile in libro spe-
ciale, che Niccolò eseguì per la chiesa di San Pietro
in Castello in Verona una tavola con la scritta: Ni-
cholaus Filius Magistri Petri Pictor Pinxit LIoc Opus
Veneciis. Opera non dipinta in Verona, chè allora si
potrebbe supporre una residenza nella città e un in-
flusso locale.... Tutti gli scrittori d’arte dimentica-
rono la tavola, la quale pur dimostrava come non già
Verona influiva su Venezia, ma questa su quella ».

È troppo! La tavola non esiste pih\ se ne conserva
soltanto l’iscrizione riportata dal Maffei ; non se ne co-
nosce nulla, nulla, nulla se non che fu spedita da Ve-
nezia a Verona. Verona, che fu la prima città del

1 Madonna Verona, II, 190S, p. 1É6 e seg. : Questioni storiche
d’arte veronese..
 
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