CORRIERI
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nell’ampio cielo luminoso e Pascolo del Ziigel, così
bene movimentato e robusto.
* * *
Le opere di scultura veramente notevoli, per gran-
diosità di dimensioni e di concezione, in questa ot-
tava Esposizione di Venezia, davvero non sono ab-
bondanti. Ma ad onor nostro, l’Italia non è al disotto
delle altre nazioni, anzi, per numero e per bontà di
opere, sembrami che questa volta abbia il primato e
che in questa mostra si raffermi quel risveglio nell 'arte
della creta che già si è andato manifestando tra i no-
stri giovani, attraverso una grande nobiltà di intenti
e una grande serietà di lavoro.
Il gesso intitolato La cieca, di Bernardo Balestrieri
è, ad esempio, di così drammatica verità in quegli
occhi senza sguardo e senza luce, come forse nessuna
altra opera di scultura, eccezion fatta per quella già
nota del Van Biesbroeck Ai nostri morti, che valse,
nella precedente esposizione del 1903, tante lodi al-
l’autore.
E così la bella collezione di animali del Bugatti
— non raccolta in un’unica sala, non si sa il perchè —
non cede in nulla al Cane vagabondo del Roth, al Ca-
vallo dell’Haseltine, di cui ricordo i Giuocatori di Polo
esposti a Roma, ai Cani del Troubetzkoy, nè alla bel-
lissima Bestia per fontana del Ligeti, di uno sguardo
così profondo, nè agli Animati del Behr o al Capriolo,
dall’occhio lucente e impaurito, deil’Hahn.
Anche le targhe, forse di modellato troppo anatomico
del Brozzi, sembratimi contribuire al successo italiano,
come, e ancor più, i tre bellissimi ritratti dello Xi-
meties, dei quali quello del pittore Dall’Oca Bianca,
oltre che di rassomiglianza perfetta, è di una fattura
Zanetti-Zilla : Velieri
così vibrante di vita che sembra debba muoversi ed
animarsi ogni tratto.
Un bel bronzo è Reietta dell’Alberti, i due di ani-
mali di Sirio Tofanari, Pìidicitia del De Dotto e la
dolcissima Prece umile del Meneghello, così come il
Lavery-Poi inni ia
gesso del Cataldi e quelli del Graziosi, del Prilli e del
Regosa, nomi già noti assai favorevolmente, ai quali
ben pochi scultori stranieri saprei opporre, se non il
Glicenstein, che ormai consideriamo di cuore come
uno dei nostri, e la Bauer che ha due bei fanciulli,
e l’Erzia, russo che in Ultima notte, ha saputo espri-
mere tutto lo spasimo di un condannato alla morte,
con intuizione che in Russia, purtroppo, deve riuscire
meno difficile e meno rara che altrove.
Anche nella sala degli Stati Uniti, dove nessuna
modernità sembrami vibrare nelle opere di pittura,
ho ammirato invece alcuni bronzi, pieni di qualità
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nell’ampio cielo luminoso e Pascolo del Ziigel, così
bene movimentato e robusto.
* * *
Le opere di scultura veramente notevoli, per gran-
diosità di dimensioni e di concezione, in questa ot-
tava Esposizione di Venezia, davvero non sono ab-
bondanti. Ma ad onor nostro, l’Italia non è al disotto
delle altre nazioni, anzi, per numero e per bontà di
opere, sembrami che questa volta abbia il primato e
che in questa mostra si raffermi quel risveglio nell 'arte
della creta che già si è andato manifestando tra i no-
stri giovani, attraverso una grande nobiltà di intenti
e una grande serietà di lavoro.
Il gesso intitolato La cieca, di Bernardo Balestrieri
è, ad esempio, di così drammatica verità in quegli
occhi senza sguardo e senza luce, come forse nessuna
altra opera di scultura, eccezion fatta per quella già
nota del Van Biesbroeck Ai nostri morti, che valse,
nella precedente esposizione del 1903, tante lodi al-
l’autore.
E così la bella collezione di animali del Bugatti
— non raccolta in un’unica sala, non si sa il perchè —
non cede in nulla al Cane vagabondo del Roth, al Ca-
vallo dell’Haseltine, di cui ricordo i Giuocatori di Polo
esposti a Roma, ai Cani del Troubetzkoy, nè alla bel-
lissima Bestia per fontana del Ligeti, di uno sguardo
così profondo, nè agli Animati del Behr o al Capriolo,
dall’occhio lucente e impaurito, deil’Hahn.
Anche le targhe, forse di modellato troppo anatomico
del Brozzi, sembratimi contribuire al successo italiano,
come, e ancor più, i tre bellissimi ritratti dello Xi-
meties, dei quali quello del pittore Dall’Oca Bianca,
oltre che di rassomiglianza perfetta, è di una fattura
Zanetti-Zilla : Velieri
così vibrante di vita che sembra debba muoversi ed
animarsi ogni tratto.
Un bel bronzo è Reietta dell’Alberti, i due di ani-
mali di Sirio Tofanari, Pìidicitia del De Dotto e la
dolcissima Prece umile del Meneghello, così come il
Lavery-Poi inni ia
gesso del Cataldi e quelli del Graziosi, del Prilli e del
Regosa, nomi già noti assai favorevolmente, ai quali
ben pochi scultori stranieri saprei opporre, se non il
Glicenstein, che ormai consideriamo di cuore come
uno dei nostri, e la Bauer che ha due bei fanciulli,
e l’Erzia, russo che in Ultima notte, ha saputo espri-
mere tutto lo spasimo di un condannato alla morte,
con intuizione che in Russia, purtroppo, deve riuscire
meno difficile e meno rara che altrove.
Anche nella sala degli Stati Uniti, dove nessuna
modernità sembrami vibrare nelle opere di pittura,
ho ammirato invece alcuni bronzi, pieni di qualità