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ROBERTO PAPI NI
liquida di una sorta di pozzolana. Talora la tarsia si trova fatta con una pasta imitante
approssimativamente il colore del marmo verde, composta di pece greca, verde montano e
polvere di vetro applicata a caldo nelle incisioni fatte secondo il disegno; ma a questo arti-
ficio si ricorse generalmente allorché in tempi più tardi per la caduta dei pezzetti di marmo
si vollero restaurare tali opere di intarsio.
Uno degli esempi più antichi di un simile lavoro si può riconoscere in un piccolo pulpito
ignorato nella pieve di San Lorenzo a Signa. Questo pulpito, molto semplice nella sua deco-
razione, è a pianta rettangolare e composto di sette rettangoli di marmo bianco incorniciati
con grosse e rozze cornici di verde dellTmpruneta ; ognuno dei rettangoli è poi intarsiato
a disegni geometrici assai semplici eseguiti con lavoro grossolano e mal restaurati in tempi
assai recenti sostituendo una specie di pasta nero-verde alle parti mancanti. Per la forma
dei capitelli e delle cornici e per la sagoma alquanto tozza, questo piccolo pulpito mostra
evidente la sua arcaicità di concezione e di lavoro, sì che, per l’imitazione dalle forme
romane, specie del San Giovanni, esso può essere considerato come un esempio del fatto
che la tradizione a bianco e nero si mantenne
viva in Toscana fino al primo apparire del-
l’arte romanica.
Quantunque sia difficile stabilire una cro-
nologia anche approssimativa per lo svolgersi
dei motivi decorativi di cui andiamo parlando,
data la assoluta mancanza di qualsiasi docu-
mento o memoria (nella maggior parte dei
casi), pure, considerando che le transenne e gli
amboni di una stessa chiesa, e talora anche di
una stessa città, eran fatti dalla stessa mano
o per lo meno sotto la stessa direzione, cer-
cheremo di stabilire con opportuni raffronti una
specie di evoluzione nei motivi medesimi.
Confrontando infatti le cornici dell’archi-
trave di Sant’Andrea in Pistoia, scolpito da
Gruamonte e Adeodato circa il 1166, con le
formelle che abbiamo già visto appartenere alla
transenna del Duomo di Pisa, resulterà evi-
dente la grandissima somiglianza che esiste fra
di loro tanto nel disegno quanto nella tecnica
dell’esecuzione. In entrambe le opere lo stesso intreccio a volute di tralci che si annodano
e che si svolgono, le stesse foglie con le costole grosse e con quei frequenti fori di trapano
che dànno all’opera l’apparenza di un paziente traforo. Il lavoro di Pisa, come quello che
doveva essere più vicino al pubblico, è assai più accurato e minuto, forse anche un poco
più evoluto se si osserva che talora qualche cornice non è. più fatta secondo la tecnica di
Gruamonte e dei suoi, ma piuttosto ad imitazione assai buona di qualche cornice classica.
Non v’è quindi dubbio che le formelle appartengano allo stesso gruppo di sculture a
cui appartiene l’architrave di San Andrea, gruppo che il Venturi 1 ha già circoscritto nei
suoi giusti limiti. Non solo infatti le cornici rassomigliano in modo quasi identico a quelle
di Gruamonte, ma le stesse figure che abbiamo visto sostituire i rosoni nelle formelle, ricor-
dano quelle che maestro Enrico scolpì nei capitelli degli stipiti sempre in San Andrea di
Pistoia: una simile rotondità quasi deforme delle teste, una simile schiacciatura del volto
dagli occhi grandi e dalla bocca semiaperta, una simile fattura, a tagli crudamente incisi, per
le pieghe delle vesti.
1 Venturi, L’arte romanica, Milano, Hoepli, 1904.
ROBERTO PAPI NI
liquida di una sorta di pozzolana. Talora la tarsia si trova fatta con una pasta imitante
approssimativamente il colore del marmo verde, composta di pece greca, verde montano e
polvere di vetro applicata a caldo nelle incisioni fatte secondo il disegno; ma a questo arti-
ficio si ricorse generalmente allorché in tempi più tardi per la caduta dei pezzetti di marmo
si vollero restaurare tali opere di intarsio.
Uno degli esempi più antichi di un simile lavoro si può riconoscere in un piccolo pulpito
ignorato nella pieve di San Lorenzo a Signa. Questo pulpito, molto semplice nella sua deco-
razione, è a pianta rettangolare e composto di sette rettangoli di marmo bianco incorniciati
con grosse e rozze cornici di verde dellTmpruneta ; ognuno dei rettangoli è poi intarsiato
a disegni geometrici assai semplici eseguiti con lavoro grossolano e mal restaurati in tempi
assai recenti sostituendo una specie di pasta nero-verde alle parti mancanti. Per la forma
dei capitelli e delle cornici e per la sagoma alquanto tozza, questo piccolo pulpito mostra
evidente la sua arcaicità di concezione e di lavoro, sì che, per l’imitazione dalle forme
romane, specie del San Giovanni, esso può essere considerato come un esempio del fatto
che la tradizione a bianco e nero si mantenne
viva in Toscana fino al primo apparire del-
l’arte romanica.
Quantunque sia difficile stabilire una cro-
nologia anche approssimativa per lo svolgersi
dei motivi decorativi di cui andiamo parlando,
data la assoluta mancanza di qualsiasi docu-
mento o memoria (nella maggior parte dei
casi), pure, considerando che le transenne e gli
amboni di una stessa chiesa, e talora anche di
una stessa città, eran fatti dalla stessa mano
o per lo meno sotto la stessa direzione, cer-
cheremo di stabilire con opportuni raffronti una
specie di evoluzione nei motivi medesimi.
Confrontando infatti le cornici dell’archi-
trave di Sant’Andrea in Pistoia, scolpito da
Gruamonte e Adeodato circa il 1166, con le
formelle che abbiamo già visto appartenere alla
transenna del Duomo di Pisa, resulterà evi-
dente la grandissima somiglianza che esiste fra
di loro tanto nel disegno quanto nella tecnica
dell’esecuzione. In entrambe le opere lo stesso intreccio a volute di tralci che si annodano
e che si svolgono, le stesse foglie con le costole grosse e con quei frequenti fori di trapano
che dànno all’opera l’apparenza di un paziente traforo. Il lavoro di Pisa, come quello che
doveva essere più vicino al pubblico, è assai più accurato e minuto, forse anche un poco
più evoluto se si osserva che talora qualche cornice non è. più fatta secondo la tecnica di
Gruamonte e dei suoi, ma piuttosto ad imitazione assai buona di qualche cornice classica.
Non v’è quindi dubbio che le formelle appartengano allo stesso gruppo di sculture a
cui appartiene l’architrave di San Andrea, gruppo che il Venturi 1 ha già circoscritto nei
suoi giusti limiti. Non solo infatti le cornici rassomigliano in modo quasi identico a quelle
di Gruamonte, ma le stesse figure che abbiamo visto sostituire i rosoni nelle formelle, ricor-
dano quelle che maestro Enrico scolpì nei capitelli degli stipiti sempre in San Andrea di
Pistoia: una simile rotondità quasi deforme delle teste, una simile schiacciatura del volto
dagli occhi grandi e dalla bocca semiaperta, una simile fattura, a tagli crudamente incisi, per
le pieghe delle vesti.
1 Venturi, L’arte romanica, Milano, Hoepli, 1904.