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orth. c. IV), a norma dei quali si legge nelle lapidi
CAIIVS, RAIIVS, MAIIYS (\. segni ecc. p. 16, e
Marmi Felsin. p. 518), e SABINEIIVS (Momms. m-
scr. Helv. 43), POMPEIIVS, OPETREIIVS, CANV-
LEllYS (segni ecc. ibid.); il qual uso non sembra
così recente come dimostrerebbero gli esempi alle-
gali del settimo e ottavo secolo di Roma, perchè ne
troviamo qualche traccia ancora nei secoli preceden-
ti. Prendo in tal senso l'ultimo vocabolo della epi-
grafe pubblicala dal eh. Eroli (meni. slor. di Narni
p. 249), sul quale non so che cosa siasi deciso in
Germania: il eh. Henzen certamente non seppe che
dire. Ivi si legge:

<N • IVNIO

< vnoBvmios

Cioè a quanto ne pare a me: CN • IVNIOs G • L •
POBLE1IOS. È questo un t breve seguito da un
i lungo che ne appoggia e distende con forza la pro-
nunzia, facendo le veci perciò di un digamma, sotto
il qual nome impropriamente intendiamo non solo il

F ma il r e IT, lettere enfatiche dell'indole mede-
sima che il F eolico ed il Vu latino.

In una epigrafe scritta con tanta cura non doveva
mancare al certo in questa età l'uso de' segni su cer-
te vocali naturalmente lunghe e scritte perciò in
prima con ortografia diversa. Si legge quindi notato

w

il segno predetto sopra FATVS che prima si scrisse
FAATVS (cf. Fabretti inscr. ci. V, 388). Per analo-
gia a tal legge porta il segno PROPERA'VIT e NOLI
non perchè si usò prima PROPERAAVIT e NOOLI,
di che non abbiamo riscontro, ma perchè derivano
da una contrazione.

Venendo ora alla frase ne giovi ricordare quanto ho
altra volta avvertito (v. bull, dell'Instit. 1861, p. 34,
35) intorno ai repertorii degli antichi epigrammi:
poiché vediamo in fatti qui riprodursi il notissimo
Te lapis obleslor leviter super ossa residas: il penta-
metro poi qui si varia nella frase e nel concetto,
non altrimenti che in altri si è osservato; ed è bene
a tal proposito recare un epitaffio tratto tempo fa dal-
la vigna Amendola, ove tra le altre cose si leggeva a
quanto ricordo (il calco è ora in mano del sig.Henzen):

Te lapis OBTESTOB LEVITER SVPER OSSA RESIDAS
Ai dolor UH sii QVA REQVIENS HOM1NI EST.

Quanto al dolere noli frater faciundum fuiUprope-
ravit aetas volait hoc falus meus, piacemi recare alcu-
ni confronti. Tolgo il primo dalle efemeridi Romane
t.VI, p. 247 (Cf. Marini Arv. 1, 237), ove si legge:

NOLITE DOLERE ■ EVENTVM MEVM
PROPERAV1T AETAS HOC DEDiT FATVM MIHI

e prendo il secondo dalla misceli, filol. crii, del Fea
1838, p. 159, che ripete il concetto medesimo:

NOLITE DOLERE PARENTES
HOC FACIVNDVM FV1T

e richiamo l'epigrafe atinate di Lucio Seppio edita
da me nei segni ecc. p. 11, che reca queste parole:

NOLI DOLERE MATER FACTVT MEO
HOC TEMPVS VOLVlT HOC FV1T FATVS MEVS

ed una di Piacenza che sopra tutte si avvicina alla
nostra (Murat. 2062, 5):

DOLERE MATER NOLI FACIVNDVM HOC FVIT
PROPERAV1T AETAS VOLVIT HOC FATVS MEVS.

E ciò basti aver detto intorno a questo epigramma.

2. Dopo la publicazione dei miei graffiti essendosi
destala per tutto l'attenzione a questa classe di leg-
gende, sarà utile che io rettifichi due epigrafi già
edite in Francia nella vecchia revue archéologique, la
prima dal sig.r Barone Chaudruc de Crazannes (voi.
XII, p. 175) l'altra dal eh. de Longpérier (anno VI,
p. 555 ). Poco dirò della prima perchè mi trovo ora
prevenuto dal eh. lahn che 1' ha spiegata in un suo
articolo publicato in Lipsia 12 decembre, non so in
qual anno nè in qual periodico, perchè ne ebbi la co-
 
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