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SECONDO.
XXX.
Alza Sofronia il viso , e umanamente
Con occhi di pietate in lui rimira.
A che ne vieni, o inisero innocente?
Qual consiglio o furor , ti guida o tira ?
Non son io dunque senza te possente
A so(tener ciò che d'un noni può l'ira ?
Ho petto anch' io , eh' ad una morte crede
Di badar solo, e compagnia non chiede.
XXXI.
Così parla all' amante, e noi dispone
Si, ch'egli si disdica , o pensier mute.
O spettacolo grande, ove a tenzone
Sono amore e magnanima virtute !
Ove la morte al vincitor si pone
In premio ; e '1 mal del vinto è la sallite !
Ma più s'irrita il Re, quant'ella, ed elso
Ev più collante in incolpar se stesso.
XXXII.
Pargli che vilipeso egli ne resti,
E che 'n disprezzo suo sprezzin le pene.
Credali , dice , ad ambo , e quella e questi
Vinca, e la palma sia qual si conviene.
Indi accenna ai sergenti, i quai son pretti
A legar il garzon di lor catene.
Sono ambo stretti al palo stesso, e volto
EN il tergo al tergo, e'1 volto aseoso al volto.
XXXIII.
Comporto è lor d'intorno il rogo ornai,
E già le fiamme il mantice v'incita:
Qiiando il fanciullo in dolorosi lai
Proruppe, e disse a lei, eh' è seco unita :
Questo dunque è quel laccio, ond'io sperai
Teco accoppiarmi in compagnia di vita?
Questo è quel foco , ch'io credea che i cori
Ne dovesse infiammar d'eguali ardori?
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