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QyU ARTO.
LXXXVI.
Quinci vedendo che fortuna arriso
Al gran principio di su e frodi avea,
Prima che'l suo pensier le sia preciso,
Dispon di trarre al fine opra si rea 3
E far con gli atti dolci, e col bel viso,
Più che con l'arti lor Circe o Medea ;
E in voce di Sirena ai suoi concenti
Addormentar le più svegliate menti.
LXXXVII.
Usa ogn' arte la donna , onde sia colto
Nella sua rete alcun novello amante :
Nè con tutti, nè sempre un stelso volto
Serba j ma cangia a tempo atti e sembiante.
Or tien pudica il guardo in se raccolto ;
Or lo rivolge cupido e vagante.
La sferza in quegli, il freno adopra in questi,
Come lor vede in amar lenti o presti.
LXXXVIII.
Se scorge alcun che dal suo amor ritiri
L'alma, e i pensier per diffidenza asfrene ;
Gli apre un benigno riso, e in dolci giri
Volge le luci in lui liete e serene :
E cosi i pigri e timidi deliri
Sprona, ed affida la dubbiosa spene :
Ed infiammando le amorose voglie,
Sgombra quel gel che la paura accoglie.
LXXXIX.
Ad altri poi, eh' audace il segno varca,
Scorto da cieco e temerario duce,
De' cari detti, e de' begli occhi è parca,
E in lui timore e riverenza induce :
Ma fra lo sdegno, onde la fronte è carca,
Pur anco un raggio di pietà riluce 5
Sicch' altri teme ben, ina non dispera :
E più s'invoglia , quanto appar più altera.
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