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(QUINTO.
XIV.
Onde così rispose : i gradi primi
Più meritar , che conseguir delio $
Né, purché me la mia virtù sublimi,
Di scettri altezza invidiar degg'io.
Ma s'all'onor mi chiami , e che lo (timi
Debito a me , non ci verrò restio :
E caro esser mi dee, che mi sia mostro
Sì bel segno da voi del valor noslro.
xv.
Dunque io noi chiedo, e noi rifiuto : e quando
Duce io pur sia, sarai tu degli eletti.
Allora il lascia Eustazio, e va piegando
De' suoi compagni al suo voler gli asfetti.
Ma chiede a prova il Principe Gernando
Quel grado, e bench'Armida in lui saetti ,
Men può nel cor superbo amor di donna,
Ch'avidità d'onor, che se n'indonna.
XVI.
Sceso Gernando è da' gran Re Norvegi,
Che di molte provincie ebber l'impero5
E le tante corone, e scettri regj
E del padre, e degli avi il fanno altero.
Altero è V altro de' suoi proprj pregi
Più che dell' opre, che i paisati fero 5
Ancor che gli avi suoi cento e più lustn
Stati sian chiari in pace , e 'n guerra illufiri.
XVII.
Ma il barbaro Signor, che sol misura,
Quanto l'oro, e'1 domino oltre si stenda,
E per se stima ogni virtute oscura,
Cui titolo regal chiara non renda j
Non può soffrir, che in ciò, ch'egli procura
Seco di merto il cavalier contenda :
E se ne cruccia sì, eh' oltra ogni segno
Di ragione il trasporta ira e disdegno.
 
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