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I

C v4 N T 0
XLII.
Silvestre cibo, e duro letto porse
Quivi alle membra mie posa e risioro.
Ma poi ch'accesi in Oriente scorse
I raggi del mattin purpurei, e d'oro3
Vigilante ad orar subito sorsè
L' uno e l'altro Eremita, ed io con loro.
Dal santo vecchio poi congedo tolsi,
E qui, dove egli consigliò, mi volsi.
XLIII.
Qui si tacque il Tedesco, e gli rispose
II pio Buglione : o cavalier, tu porte
Dure novelle al Campo e dolorose ,
Onde a ragion si turbi e si sconforte :
Poiché genti sì amiche, e valorose
Breve ora ha tolte, e poca terra alsorte:
E in guisa d'un baleno il Signor vostro
S'è in un sol punto dileguato, e mostro.
XLIV.
Ma che ? felice è cotal morte e scempio,
Via più eh' acquisto di provincie e d'oro :
Ne dar Y antico Campidoglio esempio
D'alcun può mai sì glorioso alloro.
Elsi del Ciel nel luminoso tempio
Han corona immortai del vincer loro.
Ivi cred' io, che le sue belle piaghe
Ciascun lieto dimostri, e se 11' appaghe.
xlv.
Ma tu eh' alle fatiche, ed al periglio
Nella milizia ancor resti del mondo ;
Devi gioir de' lor trionfi, e '1 ciglio
Render, quanto conviene, ornai giocondo.
E perchè chiedi di Bertoldo il figlio,
Sappi, eh' ei fuor dell' ode è vagabondo ;
Nè lodo io già , che dubbia via tu prenda,
Pria che di lui certa novella intenda.
 
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