DUODECIMO.
lxxviii.
Ma dove ( o lassb me ) dove restaro
Le reliquie del corpo bello e cado?
Ciò eh' in lui sano i miei furor lasciaro >
Dal furor delle fere è forsè guado ?
Ahi troppo nobil preda ! ahi dolce, e caro
Troppo, e pur troppo prezioso pasto!
Ahi sfortunato! in cui l'ombre e le selve
Irritaron me prima, e poi le belve.
lxxix.
Io pur verrò là dove sete, e voi
Meco avrò, s' anco sete, amate spoglie.
Ma s'egli avvien che i vaghi membri suoi
Stati sian cibo di ferine voglie ;
Vuò che la bocca stessa anco me ingoi,
E'1 ventre chiuda me che lor raccoglie»
Onorata per me tomba e felice,
Ovunque sia, s'esser con lor mi lìce.
lxxx.
Così parla quel misero ; e gli è detto,
Ch'ivi quel corpo avean per cui si duole.
Rischiarar parve il tenebroso aspetto,
Qual le nubi un balen che paiTi, e vole :
E dai riposi sollevò del letto
L'inferma delle membra e tarda mole :
E traendo a gran pena il fianco lasTo,
Colà rivolse vacillando il passo.
lxxxi.
Ma come giunse, e vide in quel bel seno,
Opera di sua man, l'empia ferita :
E quasi un ciel notturno anco sereno,
Senza splendor la faccia scolorita ;
Tremò così che ne cadea, se meno
Era vicina la fedele aita.
Poi disse : o viso, che puoi far la morte
Dolce -y ma raddolcir non puoi mia sorte.
( h8 )
lxxviii.
Ma dove ( o lassb me ) dove restaro
Le reliquie del corpo bello e cado?
Ciò eh' in lui sano i miei furor lasciaro >
Dal furor delle fere è forsè guado ?
Ahi troppo nobil preda ! ahi dolce, e caro
Troppo, e pur troppo prezioso pasto!
Ahi sfortunato! in cui l'ombre e le selve
Irritaron me prima, e poi le belve.
lxxix.
Io pur verrò là dove sete, e voi
Meco avrò, s' anco sete, amate spoglie.
Ma s'egli avvien che i vaghi membri suoi
Stati sian cibo di ferine voglie ;
Vuò che la bocca stessa anco me ingoi,
E'1 ventre chiuda me che lor raccoglie»
Onorata per me tomba e felice,
Ovunque sia, s'esser con lor mi lìce.
lxxx.
Così parla quel misero ; e gli è detto,
Ch'ivi quel corpo avean per cui si duole.
Rischiarar parve il tenebroso aspetto,
Qual le nubi un balen che paiTi, e vole :
E dai riposi sollevò del letto
L'inferma delle membra e tarda mole :
E traendo a gran pena il fianco lasTo,
Colà rivolse vacillando il passo.
lxxxi.
Ma come giunse, e vide in quel bel seno,
Opera di sua man, l'empia ferita :
E quasi un ciel notturno anco sereno,
Senza splendor la faccia scolorita ;
Tremò così che ne cadea, se meno
Era vicina la fedele aita.
Poi disse : o viso, che puoi far la morte
Dolce -y ma raddolcir non puoi mia sorte.
( h8 )