MISCELLANEA
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mento hanno sopra tutto carattere decorativo : non
senza evidente allusione al tormento dei supplizi ed
alla fede dei martiri alla cui commemorazione le vesti
rosse sono destinate. Ma i crogioli intercalati a tale
Velo. Verona, Santo Stefano
rappresentazione dimostrano con sicurezza l’origine
principesca di quegli indumenti, che forse vennero
usati da qualche membro della famiglia Gonzaga con-
sacratosi alla carriera ecclesiastica, o per lo meno fu-
rono fatti eseguire d’ordine di quei signori.
La circostanza che la chiesa di Santo Stefano è de-
dicata precisamente al primo martire cristiano e fe-
steggia quindi la commemorazione del proprio titolare
coi rossi indumenti, farebbe pensare ad una originaria
Cappuccio del piviale. Verona, Santo Stefano
destinazione alla chiesa stessa dei paramenti in que-
stione. Ma nè verso il principio del secolo xvn —
epoca cui essi possono venir assegnati — nè in età
posteriore sono note’ relazioni di alcuna sorte fra i
Gonzaga e la chiesa di Santo Stefano in Verona. Per
cui sarà più prudente riconoscere come mantovana
la provenienza dei nostri paramenti, i quali forse ven-
nero in origine destinati a quel tempio di Santa Bar-
bara — martire pur essa — in Mantova, cui tanto stret-
tamente si collega il nome dei Gonzaga.
Di poco tempo anteriore è anche un piviale della
parrocchia medesima di Santo Stefano, il quale non
dimostra alcuna attinenza palese coi Gonzaga, ma
merita tuttavia qualche considerazione nei riguardi
dell’arte.
E parimenti di raso rosso, ma privo di qualsiasi
decorazione, tranne nel largo bordo superiore e nel
cappuccio. Si questo come quello sono occupati da
un grazioso arabesco, foggiato di ritagli di stoffe in
seta di vario colore, ma di tinte per lo più molto
tenui, riportati sul raso e filettati in oro. Nel mezzo
del cappuccio figura una sigla che accoppia le tre
lettere S ■ M • C, ma della quale non è agevole indo-
vinare il significato. (Forse Monasterium Sanctae Cru-
cis? o Sancia Catharina Martyr?).
Giuseppe Gerola.
Note su Alessandro Vittoria. — Alessandro Vit-
toria, giunto da Trento, sua patria, a Venezia nel lu-
glio del 1543, trovò paterna accoglienza presso Jacopo
Sansovino, a cui Tiziano lo aveva personalmente pre-
sentato: dopo aver trascorso quasi otto anni in affet-
tuosa consuetudine di vita e di lavoro col maestro
suo, il Vittoria ne lasciò improvvisamente la « bot-
tega » nel 1551, disgustato ed incollerito: quale la
ragione?
Dicono i biografi del Vittoria, che il giovane sco-
laro fosse stato costretto a rompere d’un tratto i vin-
coli d’affetto e di riconoscenza, che lo legavano a
maestro, suo benefattore, perchè troppo meschina-
mente Jacopo Sansovino lo ricompensava dell’opera
sua, e perchè inoltre il maestro, forse alquanto geloso
dei rapidi progressi del giovane artista, lo trattava con
modi assai scortesi. Non è a meravigliarci, osserva il
Ceresole,1 di assistere a questo spiacevole alterco fra
maestro e scolaro, se pensiamo con quale tenue com-
penso Tacopo Sansovino avesse retribuito il Vittoria,
per le quattro figure di fiumi da lui eseguite nel 1551,
ad ornamento degli archivolti delle due finestre cen-
trali della Libreria. Pensate, annota il Ceresole, che
al Vittoria in tale occasione furono dati 50 ducati, la
quale somma tradotta in moneta attuale corrisponde
a 465 lire! Ma in verità l’osservazione del Ceresole
perde ogni valore qualora si noti che lo stesso Vit-
toria riceveva dalle mani dello stesso Sansovino, tre
anni dopo, proprio al momento della riconciliazione,
60 ducati (558 lire) quale compenso per la fattura delle
1 Cerksole. — Alessandro Vittoria in L’Art, 1885, tomi
XXXVIII-XXXIX.
L’Arte. XII, 9.
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mento hanno sopra tutto carattere decorativo : non
senza evidente allusione al tormento dei supplizi ed
alla fede dei martiri alla cui commemorazione le vesti
rosse sono destinate. Ma i crogioli intercalati a tale
Velo. Verona, Santo Stefano
rappresentazione dimostrano con sicurezza l’origine
principesca di quegli indumenti, che forse vennero
usati da qualche membro della famiglia Gonzaga con-
sacratosi alla carriera ecclesiastica, o per lo meno fu-
rono fatti eseguire d’ordine di quei signori.
La circostanza che la chiesa di Santo Stefano è de-
dicata precisamente al primo martire cristiano e fe-
steggia quindi la commemorazione del proprio titolare
coi rossi indumenti, farebbe pensare ad una originaria
Cappuccio del piviale. Verona, Santo Stefano
destinazione alla chiesa stessa dei paramenti in que-
stione. Ma nè verso il principio del secolo xvn —
epoca cui essi possono venir assegnati — nè in età
posteriore sono note’ relazioni di alcuna sorte fra i
Gonzaga e la chiesa di Santo Stefano in Verona. Per
cui sarà più prudente riconoscere come mantovana
la provenienza dei nostri paramenti, i quali forse ven-
nero in origine destinati a quel tempio di Santa Bar-
bara — martire pur essa — in Mantova, cui tanto stret-
tamente si collega il nome dei Gonzaga.
Di poco tempo anteriore è anche un piviale della
parrocchia medesima di Santo Stefano, il quale non
dimostra alcuna attinenza palese coi Gonzaga, ma
merita tuttavia qualche considerazione nei riguardi
dell’arte.
E parimenti di raso rosso, ma privo di qualsiasi
decorazione, tranne nel largo bordo superiore e nel
cappuccio. Si questo come quello sono occupati da
un grazioso arabesco, foggiato di ritagli di stoffe in
seta di vario colore, ma di tinte per lo più molto
tenui, riportati sul raso e filettati in oro. Nel mezzo
del cappuccio figura una sigla che accoppia le tre
lettere S ■ M • C, ma della quale non è agevole indo-
vinare il significato. (Forse Monasterium Sanctae Cru-
cis? o Sancia Catharina Martyr?).
Giuseppe Gerola.
Note su Alessandro Vittoria. — Alessandro Vit-
toria, giunto da Trento, sua patria, a Venezia nel lu-
glio del 1543, trovò paterna accoglienza presso Jacopo
Sansovino, a cui Tiziano lo aveva personalmente pre-
sentato: dopo aver trascorso quasi otto anni in affet-
tuosa consuetudine di vita e di lavoro col maestro
suo, il Vittoria ne lasciò improvvisamente la « bot-
tega » nel 1551, disgustato ed incollerito: quale la
ragione?
Dicono i biografi del Vittoria, che il giovane sco-
laro fosse stato costretto a rompere d’un tratto i vin-
coli d’affetto e di riconoscenza, che lo legavano a
maestro, suo benefattore, perchè troppo meschina-
mente Jacopo Sansovino lo ricompensava dell’opera
sua, e perchè inoltre il maestro, forse alquanto geloso
dei rapidi progressi del giovane artista, lo trattava con
modi assai scortesi. Non è a meravigliarci, osserva il
Ceresole,1 di assistere a questo spiacevole alterco fra
maestro e scolaro, se pensiamo con quale tenue com-
penso Tacopo Sansovino avesse retribuito il Vittoria,
per le quattro figure di fiumi da lui eseguite nel 1551,
ad ornamento degli archivolti delle due finestre cen-
trali della Libreria. Pensate, annota il Ceresole, che
al Vittoria in tale occasione furono dati 50 ducati, la
quale somma tradotta in moneta attuale corrisponde
a 465 lire! Ma in verità l’osservazione del Ceresole
perde ogni valore qualora si noti che lo stesso Vit-
toria riceveva dalle mani dello stesso Sansovino, tre
anni dopo, proprio al momento della riconciliazione,
60 ducati (558 lire) quale compenso per la fattura delle
1 Cerksole. — Alessandro Vittoria in L’Art, 1885, tomi
XXXVIII-XXXIX.
L’Arte. XII, 9.