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Ietfara (Giovenazzi Ama XXXIV, 3 Momm. I. N.
n. 3765 ), nella quale è L. OFDIVS. L.F. PET.N.
Il Giovenazzi lo ha paragonato il primo con Ofidius,
ed Aufidius, e stimo che a ragione riguardo al pri-
mo. So che altri si allontana da questa opinione, ma
io leggo nella lapida forse Puteolana del Museo Spi-
nelli :
MVINICIVSML-
GAHA
M • VINCIVS -il'Li
KAIETTANVSV1XANXV
M -VINCIVS M L FELIX
La copia del Guarnii, e quindi del Mommsen (n.
3437) malamente trascrive per tutto VINICIVS. Pa-
ragono il Vestricio di un anello trovalo probabil-
mente in Capri nel 1808 , T. VESTRICI APHNI,
col hVH^IQIT^D del cippo Avellano, poi Obdius
con Obidius, Numsius con Numisius , Caldius con
Calidius, Vicrius con Vicirius, Decrius con Decirius,
Casnius (da monumento inedito) con Casinius, e mi
par vero, che si usava talvolta questa sincope. Qualche
ripugnanza sol trovo di accomodarmi a creder lo stes-
so Ofdius ed Ovidius; tuttocchè non ignori lo scam-
bio della F in 8, che sulla moneta di Nocera è solenne,
leggendosi WVH03TR8RAR , ed WA'HtETRÌRAR.
Segue il piccolo bronzo a regalarci nella parola
QV^lH3>l altre novità rilevantissime.
Fino alla scoperta della colonnetta di Macchia vi-
cino ad Agnone (Bull. Nap. IV. 71), il l era occor-
so solo nelle monete della guerra Sociale, messovi
però in segno numerico, siccome lo Y, del quale non
si hanno ancora riscontri d'uso alfabetico. Laonde il
Mommsen dubitò di ammetterlo nell' alfabeto usuale
( Bull. Nap. V. p. 44 ), non bastando a farvelo acco-
gliere l'uso che ivi se ne fà di sigla prenominale, sic-
come al K latino die' egli, non fu sufficiente servire
al prenome Kaeso, onde entrasse nei dritti di lettera
alfabetica Latina. Dunque sicuri finalmente dell'indo-
le di questo elemento, vediamo di definirne l'uso pri-
mitivo. Gli alfabeti danno al zeta un valore di sibilan-
te , ma non di doppia. Questo suono non mancò agli
Etruschi, non ai Greci italioti, non ai Messapi, e lo
rilevo ancora nei graffiti sui fondi di vasi dei sepolcri
Campani, e su di una parete pompeiana , che dici-
frerò in altro luogo. I Romani, a giudizio dei Gram-
matici, tardi lo adottarono, ma la testimonianza di
Velio Longo, che lo aveva trovato nei carmi Salia-
ri, prova che l'alfabeto con che erano scritti, non
era ancora Romano. Da questo lato la questione in-
torno alla origine del ^ non riguarderebbe più la for-
ma materiale dell'elemento, sibbene l'impiego che se
ne faceva in quei primi tempi.
Se Medenlius fu l'antico nome di Mezenlius (Pri-
scian. L. 1. cap. ult. 551. Putsch.), per lo contrario
Giove che nell'antica lingua del Lazio fu scritto DIO-
VE (Orellin. 1287. Ball. Insiti. 1846. p. 90. Quin-
di. List. Orai. I. c. IV. ), in un singoiar contrapcso
di telaro del Chircheriano tuttavia inedito , è ZIOVI.
Nella lingua Arabica è un suono di dentale sibilante,
che potrebbe dare qualche idea della pronunzia del
Zctha primitivo di questi popoli italici ; non è un S
nè un D chiaro, ma un suono medio tra l'uno e l'al-
tro (dtha). A dir preciso è un D aspirato , al quale
i Sanniti Frentani aggiungono 1' ^, come i Greci anti-
chi, dopo inventate le cifre ge Y scrivono X* e
Adunque 0V*lH3>l è lo stesso che CENZOR, sicco-
me COSA,eCOZA, MALIES e MALIEZA sulle mo-
nete. La lingua Sannitica fra i Lucani pronunzia CEN-
STUR, tuttocchè facciasi grande inpiego del Z per S
in parecchi vocaboli della tavola Bantiua. Ciascuno
sarebbesi aspettato un plurale in luogo di QV^lH3)l
come ^I3)ll5i3m , nondimeno la forma più frequen-
te di questo plurale è MEDIS pel bronzo di Anti-
no , **I^3W nella lapida Nolana ( Momm. Unt.
Dial. p. 178), MEAAElS nella Mamertina (Mom.
op. cit. p. 193.). Dell'ultimo vocabolo di tutta la leg-
genda ci è rimasta la prima parte nelle quattro lettere
TTRn. Stando al paragone di *H3TRn sul cippo no-
lano, il senso del quale non può esser controverso, e
di HRHRTRn del bronzo di Agnone, parmi assai
verosimile, che il nuovo vocabolo debba avere quel
medesimo senso causativo, corrispondente alla forma
Hiphil degli Ebrei, e che i Latini diedero appunto alla
voce Palare ( = facere ut quid pateat), Apcrìre. Se
altri coll'esempio di Petom (—quatuor=Tirop%) osco
stima derivarlo dal greco Ttdtnrw ( = 7raWw ) figo,
Ietfara (Giovenazzi Ama XXXIV, 3 Momm. I. N.
n. 3765 ), nella quale è L. OFDIVS. L.F. PET.N.
Il Giovenazzi lo ha paragonato il primo con Ofidius,
ed Aufidius, e stimo che a ragione riguardo al pri-
mo. So che altri si allontana da questa opinione, ma
io leggo nella lapida forse Puteolana del Museo Spi-
nelli :
MVINICIVSML-
GAHA
M • VINCIVS -il'Li
KAIETTANVSV1XANXV
M -VINCIVS M L FELIX
La copia del Guarnii, e quindi del Mommsen (n.
3437) malamente trascrive per tutto VINICIVS. Pa-
ragono il Vestricio di un anello trovalo probabil-
mente in Capri nel 1808 , T. VESTRICI APHNI,
col hVH^IQIT^D del cippo Avellano, poi Obdius
con Obidius, Numsius con Numisius , Caldius con
Calidius, Vicrius con Vicirius, Decrius con Decirius,
Casnius (da monumento inedito) con Casinius, e mi
par vero, che si usava talvolta questa sincope. Qualche
ripugnanza sol trovo di accomodarmi a creder lo stes-
so Ofdius ed Ovidius; tuttocchè non ignori lo scam-
bio della F in 8, che sulla moneta di Nocera è solenne,
leggendosi WVH03TR8RAR , ed WA'HtETRÌRAR.
Segue il piccolo bronzo a regalarci nella parola
QV^lH3>l altre novità rilevantissime.
Fino alla scoperta della colonnetta di Macchia vi-
cino ad Agnone (Bull. Nap. IV. 71), il l era occor-
so solo nelle monete della guerra Sociale, messovi
però in segno numerico, siccome lo Y, del quale non
si hanno ancora riscontri d'uso alfabetico. Laonde il
Mommsen dubitò di ammetterlo nell' alfabeto usuale
( Bull. Nap. V. p. 44 ), non bastando a farvelo acco-
gliere l'uso che ivi se ne fà di sigla prenominale, sic-
come al K latino die' egli, non fu sufficiente servire
al prenome Kaeso, onde entrasse nei dritti di lettera
alfabetica Latina. Dunque sicuri finalmente dell'indo-
le di questo elemento, vediamo di definirne l'uso pri-
mitivo. Gli alfabeti danno al zeta un valore di sibilan-
te , ma non di doppia. Questo suono non mancò agli
Etruschi, non ai Greci italioti, non ai Messapi, e lo
rilevo ancora nei graffiti sui fondi di vasi dei sepolcri
Campani, e su di una parete pompeiana , che dici-
frerò in altro luogo. I Romani, a giudizio dei Gram-
matici, tardi lo adottarono, ma la testimonianza di
Velio Longo, che lo aveva trovato nei carmi Salia-
ri, prova che l'alfabeto con che erano scritti, non
era ancora Romano. Da questo lato la questione in-
torno alla origine del ^ non riguarderebbe più la for-
ma materiale dell'elemento, sibbene l'impiego che se
ne faceva in quei primi tempi.
Se Medenlius fu l'antico nome di Mezenlius (Pri-
scian. L. 1. cap. ult. 551. Putsch.), per lo contrario
Giove che nell'antica lingua del Lazio fu scritto DIO-
VE (Orellin. 1287. Ball. Insiti. 1846. p. 90. Quin-
di. List. Orai. I. c. IV. ), in un singoiar contrapcso
di telaro del Chircheriano tuttavia inedito , è ZIOVI.
Nella lingua Arabica è un suono di dentale sibilante,
che potrebbe dare qualche idea della pronunzia del
Zctha primitivo di questi popoli italici ; non è un S
nè un D chiaro, ma un suono medio tra l'uno e l'al-
tro (dtha). A dir preciso è un D aspirato , al quale
i Sanniti Frentani aggiungono 1' ^, come i Greci anti-
chi, dopo inventate le cifre ge Y scrivono X* e
Adunque 0V*lH3>l è lo stesso che CENZOR, sicco-
me COSA,eCOZA, MALIES e MALIEZA sulle mo-
nete. La lingua Sannitica fra i Lucani pronunzia CEN-
STUR, tuttocchè facciasi grande inpiego del Z per S
in parecchi vocaboli della tavola Bantiua. Ciascuno
sarebbesi aspettato un plurale in luogo di QV^lH3)l
come ^I3)ll5i3m , nondimeno la forma più frequen-
te di questo plurale è MEDIS pel bronzo di Anti-
no , **I^3W nella lapida Nolana ( Momm. Unt.
Dial. p. 178), MEAAElS nella Mamertina (Mom.
op. cit. p. 193.). Dell'ultimo vocabolo di tutta la leg-
genda ci è rimasta la prima parte nelle quattro lettere
TTRn. Stando al paragone di *H3TRn sul cippo no-
lano, il senso del quale non può esser controverso, e
di HRHRTRn del bronzo di Agnone, parmi assai
verosimile, che il nuovo vocabolo debba avere quel
medesimo senso causativo, corrispondente alla forma
Hiphil degli Ebrei, e che i Latini diedero appunto alla
voce Palare ( = facere ut quid pateat), Apcrìre. Se
altri coll'esempio di Petom (—quatuor=Tirop%) osco
stima derivarlo dal greco Ttdtnrw ( = 7raWw ) figo,