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De gli Antichi. 405
FORTVNA,
colei che tanto^e fotta in croce % Marte-»
Par da color , che le deurian dar lode*
Dandole biasmo a torto » e mala voce •
BOsì dice Dante della Fortuna, da che ha
voluto cominciare, douendo già proporre
la sua imagine»conciosia che à cortei dan-
no i mortali colpa di tutto quello, che
intrauiene fuori del loro penCamehto, re-
candoli a male spesso quello,che più tost®
gran bene dourebbono giudicare . E par®
che vogliono che i’acquisto , la perdita
de gli honori,& delle ricchezze venghi dal
ìa Fortuna, & il riuolgimento di tutte le cole moda nè. Onde il #***£&■
Tetrarca nella Canzone,
Tacer non foffb , e temo a &c*
fa , che ella così gli dice di se stessa :
Io fon d'altro poter, che tu non credi »
E so far lieti e trittì in vn momento ;
Più leggiera che vento'.
E re££° * e volito quanti al mondo vedi»
Et quindi naseono gli infiniti biasmi, ch’ella disè ode poi tur»
lo il dì; percioche pare, che quelle cose,le quali dimandiamo
beni di Fortuna , radino per lo più a chi n’è men degno , Se che
ne resti miseramente prruatorhi piu gli meriterebbe. I che se sia
bene,ò malejascio considerare à chi può vedere quanti noiolì pen-
sieri, quanti sranagli,e quanti pericoli portino secoibeni di que-
llo mondo : imperoche pochi sono » che mettano mente a que-
$0; ma ricerchiamo quali tutti Tempre di hauerne j e penh no®
C c z p otiam®
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