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Maffei, Scipione; Vallarsi, Jacopo [Oth.]; Berno, Pierantonio [Oth.]
Verona Illustrata (Parte Prima): Contiene L'Istoria Della Città E Insieme Dell'Antica Venezia: Dall'Origine Fino Alla Venuta In Italia Di Carlo Magno — In Verona: Per Jacopo Vallarsi, e Pierantonio Berno, 1732

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Dell'istoria di Verona
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Libro quarto
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https://doi.org/10.11588/diglit.62317#0051
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L I B R. O

Nel? uso continuato di ammettere alla
Republica /picca la differenza dell’ institu-
,to Romano dal Greco ; imperochè gli Ate-
niesi ancora ammiseroda principio in comu-
nanza coloro, che nell’Attica ripararono da
varie parti, talché per la gran moltitudine
fu lor forza di mandameli’ Ionia colonie, co-
me si ha da Tucidide: ma avverte Io Sco-
liate di quell’Istorico, che così non fece-
ro poi più in avvenire. Però Dionigi Alicar-
nasseo lodò in quello assai più la liberalità
de’Romani, che la parlimonia de’Greci.
In fatti quinci Hi, elicgli Ateniesi non si-
gnoreggiaron mai che una piccola parte di
Grecia, dove i Romani l’Italia tutta, e do-
po l’Italia tant’altro mondo. Lodando Ci-
cerone i Padovani,' dell’ aver contra Anto-
nio somministrato a i duci Romani dena-

ro, soldati, ed armi, dicedi essì, e degli
a^r* l°r prossimi, non efier maraviglia , che
«jì\cow- sofser fedeli, dopo che fi era lor partecipata la
Rel>ublica, quando tali erano flati anche per
R'tiubiica l’avanti . Di quanto benefizio riuseissè a
Pfisesefo Roma, l’aver vincolati in tal modo que-
lli paesi nostri, l’Imperador Claudio-pres-
so Tacito fece con quelle parole gran tem-
po dopo teflimonianza in Senato: quando

Apn.i.n. surono ricevuti a cittadinanza iTraspadani,
jkruimJs', allora fu fi abile la quiete interna, ed allora con-
cimTras- tra gli efierni fiorimmo. La sece altresì Cice-
rone Per tutta Gallia cisalpina, quando
i-eceptì. confessò, esser’ erta II sior d’Italia, e dell’
iiie ssoì' imperio del popolo Romano l'ornamento, eilfo-
faiìa, fiegno. E da ciò veramente ben si raccoglie,
-uiudfir- cjie p jq Roma d’ampliar fe stessacon
impera la comunicazion di fe flessa, fu il maggior
popuii Ro- fegreto, che la Polìtica inventasse mai. Ecco
’iudofiad *n virtù di questo quella Gallia, che per
meniti m tante età fu il terrore e il pericolo del popo-
lo Romano, divenuta l’ornamento suo, ed

il sollegno. Ben però dille altrove I* issesso
prò Baib. Tullio: quello che principalmente fondò l'impe-
rio nofiro, e il nome del popolo Romano ampli-
ficò y su fenza dubbio alcuno l'avere il fio ndat or
primo di quefia Città Romolo , infognato nell'
accordo co' Sabini, doverfi quefia Città accre-
scere anche col riceverci dentro i nemici', per la
cui autorità, ed efempio non fi è ìntermefio mai
da' noflri Maggiori di comunicare, e dì donar
la Cittadinanza. Altri in oggi perla muta-
zion delle idee lì crederebbe , che ne fos-
sero venuti a perdere i Romani nativi col
darli a tanti il lor grado; quando all’incon-
tro tornava tutto quello in esaltazion loro:
mentre la fedia del Romano Imperio
fu sempre Roma; il nome del domi-
nio sempre Romano; il fondo della Repu-
blica sempre i Romani naturali; onde tan-
to era farli molti compagni, e per conse-
guenza interessar molti nella difesa, e nel-
Ver.Illufi. Parici.

QU A R T O.



la gloria della Romana Republica, quan-
to un moltiplicar gl’ iflrumenti di lor gran-
dezza.
Che se con tutto ciò corruppe!! poi an-
che quel governo, e cadde finalmente l’im-
perio a terra, non così bella, e lana idea,
nè il savio ed ammirabile instituto ne fu-
rono in colpa ? ma bensì il modo, che
nell’efeguirlo si tenne. Conciofiachè otti-
mo fosse bensì l’aggregare alla cittadinan-
za le Città in corpo , non essèndovi altro
modo di vincolar tutti, ma non già lode-
vole, l’ ammetter per quello tutti gli uomi-
ni di quelle Città a i Comizj , vale a dire
in Consiglio a Roma. Una moltitudine in-
finita, e indeterminata, che veniva a rad-
doppiare il difetto pur troppo per se nocivo
del popolar governo, non potea non pro-
durre gli sconcerti che poi produsse, e non
accelerar quella corruzione, per cui dege-
nerò in Principato. Però Celare, che da i
replicati esempi di quello errore n’avea im-
parato gli effètti, con la mente a suoi fini
si adoprò fin da principio per l’aggregazione
de’Traspadani . Non fu veduto in que’
tempi, come si poresse senza minima alte-
razion del sistema far godere a tutti una
/ussiciente parte dell’ onore , e del grado.
Non Hi considerato , che ammettendo ne’
Comizj, a proporzione della grandezza, e
del merito d’ogni Città, o Regione aserit-
ta , /blamente uno , o due , e non più di
quattro Soggetti, da quelle slesse Città, o
Regioni solennemente eletti , non potea
da una parte generar novità alcuna ii pic-
col numero, perchè paragonato a quel de*
Romani non si rendea sensibile ; e dall’al-
tra il generai concorso delle Città , e de’
paesi nella creazion di coloro , che doves-
sero goder tanta dignità , e rapprefentare
in Roma le lor veci , ballava per tener
paghi i popoli, e perchè si credesser tenuti
a dar volentieri quando occorresse le sostan-
ze tutte, ed il sangue per confervar la Pa-
tria comune, e la comune Republica. Non
pensarono i Romani ancora gli altri bene-
fizj che confeguiti ne sarebbero ; d’avere
in Roma il sior degli uomini saggi dell’
Italia tutta ; d’averci Labilmente tante o-
norate famiglie di più : e d’ eccitar le Cit-
tà in tal modo a gareggiar tra loro nelle
più ardue occasioni .Che avrebber’eglindet-
to que’famosi saggi del mondo civile, fe a-
vessero veduto l’ordine di comporre una
Republica generale, tenuto a moderni tem-
pi da Sguizzeri ,e dagli Olande!! ?e se n’a-
vessèr veduto gli essetti , di far torto, che
piccol tratto equivaglia a un Regno ? e che
avrebber detto osservando il modo , con
che nell’ Inghilterra senza confusionc alcuna
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