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D A L L’ A L P I A L I? E T N A.
Anch’oggi più o meno son i medesimi i confini d’Italia; i quali noi con rapido passo va-
licheremo, accennando qua e là ciò che parrà meglio degno di considerazione.
Noi non scriviamo una storia. Essa fu tolta a narrare da quel grande milanese ch’é Cesare
Cantò, il quale agli storici antichi di tanto andò innanzi coll’ ingegno e col sapere, di quanto
un piccolo ed imperfetto abbozzo sorpassa ben compito lavoro.
E che scriverem noi, e che fornirem noi? Una semplice guida? No, la guida d’Italia, quale
si porge agli stranieri che traggono a vedere il nostro bel giardino, è libro muto, e privo di poe-
sia e di vita: noi offrendo il bel panorama de’nostri monumenti, delle nostre incantevoli ve-
dute faremo di accompagnare cotesta manifestazione dell’ arte e della natura colla parola dei-
fi artista e dell’ ammiratore.
Starà bene sul nostro labbro la lode di noi stessi? Non siam noi che ci diciamo l’encomio
colla presunzione dell’orgoglioso, é la natura che ci fa lieti di quest’asserzione nella quale non
è orgoglio, perché non ci siam fatta da noi questa bella regione, nè meritammo prima di na-
scere di averla a patria.
Del resto accetteremo lungo il nostro cammino la scorta di tre dotti stranieri contempo-
ranei, i signori Carlo Stieler, Edoardo Paulus, e Voldemaro Kaden , che godono grande fama
in Germania.
Fingiamoci viaggiatori : diamo uno sguardo alle grandi vie che conducono in Italia, pur
troppo queste vie ci riducono a mente tristi memorie; su d’esse son pur anco le orme de’no-
stri invasori, che questi fornirono i solchi che noi chiamiamo col nome di vie. Le vie son
fatte per venire a noi: e la bellezza del nostro paese pur troppo chiamò cotesti importuni vi-
sitatori, i quali con gioia desolarono la nostra patria e si tolsero diletto di riscaldarsi al sole
che vivo rifulge per mezzo al nostro cielo di zaffiro.
Ma eccoci in su la prima via. Siamo al Monte Cenisio : monte delle, ceneri, mons cinerurn ;
il quale vuoisi togliesse nome da molti boschi che gli facevan corona, e d’ ogni parte lo cin-
gevano, i quali ora sono ridotti in cenere. Eccovi d’innanzi le alpi Cozie, e le tacite e mae-
stose cime del Caro, della Levanna, del Monginevro e del gran Paradiso : in mezzo ad esse
s’eleva il Cenisio : egli forma il nodo del Passo ove si toccano le alpi Grigie e le alpi Cozie.
Quivi è quel deserto cui traversa l’antica via detta Signoria, che dalla Francia mette in Italia.
Veggonsi sul Passo scogli affranti, rupi scheggiate, orridi e pittoreschi scogli, quasi sempre ve-
lati da grigie nubi, e coperti di dense nevi. I loro nomi selvaggi sono Rocciamelone e la
Ronche.
Il Moncenisio é il re delle alpi: egli ha la sua bella vegetazione ; tra i cespugli che lo cin-
gono vedesi levar il capo la graziosa betulla, la rosa delle alpi, la quale sorge frammezzo alle
fenditure del monte e di buon grado s’unisce alla viola del Cenisio. Questi fiori stan lì solitari,
e non han la ventura di esser scelti a ornamento de’ giovinetti nelle feste, ma nella loro soli-
tudine sono pur belli e hanno la loro poesia.
Per altro qui tutto é grave spettacolo e il silenzio vien rotto a quando a quando dalla
precipite valanga di neve che rotola di balzo in balzo e dal fischio de’venti. Da un lato della
via vedesi il piccolo lago dalle smorte acque, vicino al quale sorge la Cenisia. Le nevi coprono
per sette mesi dell’anno le sue grigie mura. Dalla parte d’Ovest, sulla riviera del lago, in mezzo
alla cupa solitudine siede il piccolo ospizio fondato dai Carolingi, e rimesso a nuovo dal Bo-
naparte che piaceasi per questo chiamarsi 1’ erede di Carlo Magno. Ivi furono un giorno rac-
colti in caserma migliaia di soldati, e la fantasia ti dipinge vivamente al guardo le moltitudini
armate che vi passavano e ti fa udire il rumor grave delle artiglierie , che traevano quivi per
D A L L’ A L P I A L I? E T N A.
Anch’oggi più o meno son i medesimi i confini d’Italia; i quali noi con rapido passo va-
licheremo, accennando qua e là ciò che parrà meglio degno di considerazione.
Noi non scriviamo una storia. Essa fu tolta a narrare da quel grande milanese ch’é Cesare
Cantò, il quale agli storici antichi di tanto andò innanzi coll’ ingegno e col sapere, di quanto
un piccolo ed imperfetto abbozzo sorpassa ben compito lavoro.
E che scriverem noi, e che fornirem noi? Una semplice guida? No, la guida d’Italia, quale
si porge agli stranieri che traggono a vedere il nostro bel giardino, è libro muto, e privo di poe-
sia e di vita: noi offrendo il bel panorama de’nostri monumenti, delle nostre incantevoli ve-
dute faremo di accompagnare cotesta manifestazione dell’ arte e della natura colla parola dei-
fi artista e dell’ ammiratore.
Starà bene sul nostro labbro la lode di noi stessi? Non siam noi che ci diciamo l’encomio
colla presunzione dell’orgoglioso, é la natura che ci fa lieti di quest’asserzione nella quale non
è orgoglio, perché non ci siam fatta da noi questa bella regione, nè meritammo prima di na-
scere di averla a patria.
Del resto accetteremo lungo il nostro cammino la scorta di tre dotti stranieri contempo-
ranei, i signori Carlo Stieler, Edoardo Paulus, e Voldemaro Kaden , che godono grande fama
in Germania.
Fingiamoci viaggiatori : diamo uno sguardo alle grandi vie che conducono in Italia, pur
troppo queste vie ci riducono a mente tristi memorie; su d’esse son pur anco le orme de’no-
stri invasori, che questi fornirono i solchi che noi chiamiamo col nome di vie. Le vie son
fatte per venire a noi: e la bellezza del nostro paese pur troppo chiamò cotesti importuni vi-
sitatori, i quali con gioia desolarono la nostra patria e si tolsero diletto di riscaldarsi al sole
che vivo rifulge per mezzo al nostro cielo di zaffiro.
Ma eccoci in su la prima via. Siamo al Monte Cenisio : monte delle, ceneri, mons cinerurn ;
il quale vuoisi togliesse nome da molti boschi che gli facevan corona, e d’ ogni parte lo cin-
gevano, i quali ora sono ridotti in cenere. Eccovi d’innanzi le alpi Cozie, e le tacite e mae-
stose cime del Caro, della Levanna, del Monginevro e del gran Paradiso : in mezzo ad esse
s’eleva il Cenisio : egli forma il nodo del Passo ove si toccano le alpi Grigie e le alpi Cozie.
Quivi è quel deserto cui traversa l’antica via detta Signoria, che dalla Francia mette in Italia.
Veggonsi sul Passo scogli affranti, rupi scheggiate, orridi e pittoreschi scogli, quasi sempre ve-
lati da grigie nubi, e coperti di dense nevi. I loro nomi selvaggi sono Rocciamelone e la
Ronche.
Il Moncenisio é il re delle alpi: egli ha la sua bella vegetazione ; tra i cespugli che lo cin-
gono vedesi levar il capo la graziosa betulla, la rosa delle alpi, la quale sorge frammezzo alle
fenditure del monte e di buon grado s’unisce alla viola del Cenisio. Questi fiori stan lì solitari,
e non han la ventura di esser scelti a ornamento de’ giovinetti nelle feste, ma nella loro soli-
tudine sono pur belli e hanno la loro poesia.
Per altro qui tutto é grave spettacolo e il silenzio vien rotto a quando a quando dalla
precipite valanga di neve che rotola di balzo in balzo e dal fischio de’venti. Da un lato della
via vedesi il piccolo lago dalle smorte acque, vicino al quale sorge la Cenisia. Le nevi coprono
per sette mesi dell’anno le sue grigie mura. Dalla parte d’Ovest, sulla riviera del lago, in mezzo
alla cupa solitudine siede il piccolo ospizio fondato dai Carolingi, e rimesso a nuovo dal Bo-
naparte che piaceasi per questo chiamarsi 1’ erede di Carlo Magno. Ivi furono un giorno rac-
colti in caserma migliaia di soldati, e la fantasia ti dipinge vivamente al guardo le moltitudini
armate che vi passavano e ti fa udire il rumor grave delle artiglierie , che traevano quivi per