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430 DALL’ ALPI ALL’ETNA.
tiche, da cui ogni cosa fu rovesciata, il « firmamento greco » rimase, e rimase parimente « il
« popolo semigreco. »
A guardar bene, si conservò ancora perfino l’unione delle antiche fratrie, giacché anche
oggi ogni quartiere della città ha le sue particolari Confraternite compattamente unite in sé
stesse. Nel dialetto popolare risonano ancora moltissime voci greche corrotte, è vero, ma fa-
cilmente riconoscibili dallo studioso. Più numerose traccie d’antichità si trovano nei costumi,
negli usi, nei pregiudizj del popolo , il quale porta ancora oggi il bambino neonato intorno
al fuoco sacro e, appunto come facevano i Greci, lo avvolge entro strette fasce : oggi ancora
sagrifica alla dea, che presiede alle nascite , abbruciando 1’ ombilico del neonato commisto a
farina sopra un tondo. Esso addormenta ancora, come negli antichi tempi, i bambini, cullan-
doli e accompagnandosi con una monotona ninna-nanna. La levatrice ha ancora le stesse man-
sioni d’ una volta e il pedagogo , che accompagna i ragazzi alla scuola, rassomiglia appuntino
all’ antico.
Se i fanciulli fanno lor giuochi, giuocano ancora, come due o tre mila anni or sono, il
giuoco greco delle cinque pietre, che tu puoi vedere in un antico dipinto pompeiano del Mu-
seo , ove sono rappresentati i figli di Medea, e poi su tutti i quadrivj della città, ove fanno
gazzarra i figli dei lazzaroni. Essi gettano cinque pietruzze o scheggie ad un tempo nell’ aria
e le raccolgono colla superficie esterna della mano. Altri quadri antichi ti mostrano un giuoco,
che oggi è assai usitato col nome di mora o tocco. Dai Greci, maestri perfetti di mimiche
danze, appresero i Napoletani la espressiva loro tarantella, e gli strumenti che vi si suonano,
come quelli che si adoprano nelle liete feste d’Ottobre, sono d’origine greca; la siringa for-
mata di canne palustri, il flauto di legno di lauro, le castagnette, il timpano strepitoso e per-
fino una specie di sistro, che i fanciulli chiamano tricca bailacca, sono tutti di provenienza
greca. Con questi strumenti e munito d’ogni specie di amuleti, tra i quali non deve mancare
mai il Fallo venerato, il popolo visita le sue Madonne dell’^Arco e del Monte Vergine, come
ne’ tempi ellenici frequentava le orgie festive di Dionisio e di Cibele. Con codesti strumenti
esso fa un frastuono infernale, cantando antiche canzoni licenziose sotto le finestre delle vec-
chie , a cui nell’inverno della loro vita viene il ghiribizzo di passare a nuove nozze; e ciò
facevano anche i Greci.
Anche i rapsodi antichi rappresentano ancora con molta dignità, ammirati dal popolo, che
volentieri li ascolta, la loro parte al Aiolo o lungo la riviera, dove abitano quelli che più
propriamente attendono alla pesca. Si chiamano cantastorie e portano ancora, come i loro pre-
decessori ellenici, uno speciale bastone; e come quelli mantennero vivi i canti d’Omero, que-
sti tengono desta la memoria delle poesie dell’Ariosto e del Tasso, che il popolo, amante del
ritmo, non si stanca mai di ascoltare. Gli sono rimasti del pari vivissimi il grande amore pel
teatro e le feste e la passione pei canti romorosi.
La vita intima, la vita dell’anima, quale la sentono le popolazioni d’ origine germanica,
manca affatto al Napolitano, Tutto ciò che sta fuori di lui, lo interessa, e questo interesse
è diventato nel popolo più basso una curiosità indomabile. Due persone altercano sul mer-
cato, due fanciulli, giuocando, vengono alle mani, un gattino scherza sulla via, un canarino é
scappato di gabbia - e tosto si forma un crocchio di curiosi, che in breve son centinaia, in-
torno all’insignificante oggetto, del quale si discute ad alta voce e con caloroso interessamento.
Parimente la gente si ferma ad ammirare un lumicino colorato, un bel viso, il ricco abito di
un signore ; la voce , che gli sta pronta nella strozza, deve uscirne , deve uscirne con tutta
forza , e chi non trova 1’ occasione da ciò nella vendita delle sue cianciafruscole grida egual-
 
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